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Io e la sfiga: un pippone mentale

Alassio, fine anni ’70
Sono seduto sul cesso a casa mia, e all’improvviso scoppio a piangere. La mamma accorre spaventata.
– Che c’è, che c’è? Perché piangi?
– Perché sono sfortunato!
– Ma non è vero! Pensa che ci sono bambini che hanno fame e sono senza casa, e altri addirittura senza un braccio od una gamba, mentre su sei sano e va tutto bene.
– Sniff.

L’ argomento del "c’è sempre chi sta peggio di te, quindi non ti lamentare" è assai discutibile, e il riferimento ai bambini mutilati è piuttosto macabro, ma in effetti mia mamma deve aver pensato di avere un figlio rincoglionito. E anch’io, in seguito, riflettendo sull’aneddoto, mi sono chiesto il perché di quella scenata, e ho ipotizzato che si trattasse della nefasta influenza dei cartoni animati giapponesi del filone "orfani" e di un certo tipo di letteratura occidentale per ragazzi da cui i primi traevano ispirazione. Caratteristica di questo genere di opere è che le avversità sono le benvenute in quanto portatrici di virtù che vengono sviluppate nell’affrontarle. Dichiarandomi "sfortunato", automaticamente acquisivo le dette virtù.
Ma si tratta solo dell’inizio di un cervellotico rapporto con la sfiga. Crescendo, ho sviluppato una forte repulsione per ogni forma di superstizione, e in quanto tale anche la cosiddetta "sfortuna". Alle medie, metà anni ’80, era di moda "passarsi la sfiga" ("suora tua!"). Io mi divertivo a fungere da ricettacolo collezionandole: ero arrivato ad oltre quaranta sfighe, la maggior parte di suore, ma anche di carri funebri, di gatti neri e qualche preziosa Cinquecento Gialla.

Tuttavia, a diciassette anni ebbi una piccola rivelazione: per un’enorme botta di fortuna mi sono scampato il militare. Pur essendo felice di ciò, ho ipotizzato che, nella vita di una persona, la sommatoria di culo e sfiga debba essere pari a zero. Quindi, avendo io due braccia e due gambe e non dovendo fare il militare, ho temuto di avere una vita costellata di sfortuna.
La teoria può avere un fondamento concreto, se consideriamo la questione all’interno di un modello matematico probabilistico in cui gli eventi sono, appunto, gli eventi casuali della vita, con un segno positivo o negativo a seconda del fatto che si tratti di culo o sfiga. Tali eventi saranno sufficientemente numerosi da permettere di stabilire che ci sono grandissime probabilità che la sommatoria sarà prossima a zero. In realtà, trattandosi di eventi indipendenti, non è vero che la sfiga successiva sarebbe stata conseguenza del fatto che ho scampato la naia, esattamente come la mancata estrazione di un numero al lotto per cinquanta settimane non implica maggiori probabilità che esca nella cinquantunesima. Ma, in questo caso, si tratta di vedere la cosa nel suo complesso.
Al di là della quantificazione che può essere spinosa, il vero problema di quest’idea sta nella parola "casuali": cioè come stabilire cosa di quello che ci accade è frutto della sorte e cosa è conseguenza diretta o indiretta dei nostri atti. Ovviamente chi crede nella dottrina del karma dirà che tutto quello che ci capita è conseguenza delle nostre azioni in questa vita o in un’altra. Un cattolico, invece, affermerà che il discorso non ha senso perché l’esistenza di una persona va oltre la vita terrena che è finita, sia come durata sia come portata degli eventi buoni o cattivi, ed essendo nell’aldilà le quantità di gioia o di dolore infinite non ha senso stabilire una media. Un calvinista, infine, potrebbe dire che essendo noi predestinati, la quantità di sfiga e di culo è stata stabilita in anticipo, e quindi non è detto che valgano le leggi della probabilità se Dio ha deciso altrimenti.

Ma si può osare di più, se andiamo oltre il contesto di una singola persona e consideriamo l’intero mondo. In tal caso gli eventi si moltiplicano ulteriormente, dal punto di vista matematico la teoria ha un fondamento ancora più solido e le questioni etiche diventano meno rilevanti. Inoltre, e questo è ancora più interessante, se la sommatoria mondiale del culo/sfiga è prossima a zero, significa che per ogni persona particolarmente fortunata (è improbabile, ma qualcuno agli estremi della gaussiana c’è sicuramente) ci sarà qualcuno che sconta la sfiga da essa dribblata. Insomma, si tratta del Teorema di Gastone e Paperino.
Io non sono nè cristiano nè buddista, e nemmeno sono un ateo razionalista. Più semplicemente, ogni volta che prendo un due di picche, pesto una cacca per terra o scelgo la fila più lenta al casello, mi dico che magari alzarsi alle sei per marciare non sarebbe stato poi così male.