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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Il sangue dei regazzini morti

A volte mi perdo ad immaginare che fine potrebbero aver fatto alcuni personaggi che ho incontrato nella mia esistenza, persone che pur essendo presenti nel mio ricordo hanno giocato un ruolo marginale nella mia vita. Purtroppo, questi figuri sono tutti morti.

Vincenzo: Vincenzo dimenticò ben presto i suoi effimeri compagni di classe di quella prima elementare in cui aveva passato tre mesi. Non che gli fossero antipatici, ma aveva altri problemi: ci vedeva malissimo, nonostante quegli occhiali spessi come una fetta di salame tagliata da un buongustaio, ed era anche un po’ sordo. Dato che il mondo esterno gli pareva così inaccessibile, Vincenzo si rifugiò in quello interno, passando sempre più tempo da solo, e per tenersi compagnia iniziò ad inventare storie: il suo piccolo manipolo di eroi spaziali del mondo di Qorx, combattenti contro l’ingiustizia, forse non brillava per l’originalità del soggetto, ma le trame erano così elaborate, gustose e ricche di colpi di scena che chiunque se ne sarebbe appassionato. Ogni giorno Vincenzo sbrigava più in fretta possibile tutte le stupide incombenze che il mondo richiedeva (la scuola, i compiti, il cibo, il sonno), così da poter rimanere sdraiato sul letto a fissare il soffitto, la sua posizione preferita per inventare storie. Purtroppo nessuno ha mai goduto delle storie di Vincenzo, perché se ne è andato silenziosamente come ha vissuto, all’età di sedici anni: troppo preso da Qorx, si è dimenticato di respirare.

Gianfranco: Gianfranco, all’età di cinque anni, era palesemente fermo alla fase orale. Crescendo, fece grossi progressi e giunse alla fase anale, precisamente il 16 ottobre 2001. Quell’inverno iniziò a segnarsi il chilometraggio e i tempi di percorrenza per ogni suo viaggio, annotando i dati in bella calligrafia su un elegante taccuino a quadretti  della Fabriano che portava sempre con sé. La moglie Mariachiara, un po’ preoccupata della cosa, taceva, limitandosi a confidarsi col parroco Don Lino in confessione. Quel sant’uomo non mancava mai di irritarsi perché lei divagava su questi dettagli invece di confessarle i peccati.
Gianfranco non sapeva perché, ma quando aveva un foglio di carta sottomano disegnava sempre una lumaca, e in qualche modo pensava sempre a questi strani animaletti. Erano la sua ossessione, lui ne era consapevole e ne era infastidito, tanto più che il suo "quaderno dei chilometri" era disseminato di gasteropodi! Un giorno stava guidando in una strada di montagna e decise all’improvviso di liberarsi di questa sua mania. "Se le lumache vanno lente", pensò, "basta che io vada veloce! E poi calcolerò la mia velocità media!". E accelerò, guidando come un pazzo e prendendo ogni curva al limite.
Per definizione, guidare al limite significa che è sufficiente un piccolo imprevisto perché succeda un disastro. E l’imprevisto in questione fu Pina la lumaca, che stava attraversando con calma, calma, calma. Gianfranco, emerse dalla sua frenesia quando la scorse, cercò di schivarla e finì fuori strada. Negli 1,28 secondi in cui la sua Golf rimase sospesa per aria, Gianfranco pensò con sollievo che le lumache non volano, e che finalmente era libero. Invero, lo era.

Fabio F .:nonostante quello che potesse sembrare a Stasso de’ Stassis, Fabio era un bambino assai generoso, e non cambiò crescendo. Tutti avevano un profondo rispetto per quest’uomo biondo, dall’aspetto pallido e gracile: i colleghi in Comune a cui non negava mai una mano per coprirli in pausa cappuccino, i numerosi amici che sapevano di poter contare sul suo aiuto disinteressato, le associazioni di volontariato a cui collaborava con lavoro e denaro, la moglie e i fligli che lo additavano come marito e padre esemplare. Eppure c’era un motivo di imbarazzo per chi stava intorno a Fabio: il gioco del calcio. Fabio amava giocare da attaccante e magari se la cavicchiava anche, ma tutte le sue azioni erano una fotocopia: impossessatosi del pallone, si dimenticava completamente dei compagni e partiva in dribbling. Scartava uno, due, magari tre avversari, ma poi perdeva il pallone e l’azione si spegneva. Fabio era bravino, ma non era certo Maradona! In nome dell’affetto per questa pasta d’uomo i suoi compagni di squadra sopportavano questa sua mania, ma dopo l’ennesima partitella persa a causa di Fabio, si scocciarono e smisero di farlo giocare. Fabio ne fu molto rattristato perché, vi sarà chiaro, la sua generosità poteva esistere solo se il suo egoismo si sfogava sul campo. Dopo qualche mese di astinenza dal dribbling, Fabio una sera si rivolse alla moglie con un pallido sorriso stanco e le disse: "Cara, mi dispiace, ma devo fare la cosa più egoista di tutte", e si uccise.

Il Bambino Cattivo : quel giorno al September Fest il Bambino Cattivo era felice. Non aveva ottenuto il palloncino, ma almeno aveva fatto piangere quel bambino dalla faccia un po’ fessa. Eppure, il giorno dopo per qualche strana ragione tutto iniziò ad andargli storto. Nulla di grave, ma tante, tante piccole scocciature: la gomma della bicicletta bucata, il quaderno coi compiti delle vacanze mangiato dal cane, il compito di tabelline a sorpresa già uno dei primi giorni di scuola (e il maestro aveva anche chiesto 7×8, che è la moltiplicazione più difficile dell’intera Tavola Pitagorica!), il vigile che sequestra il Tango nuovo, persino le carote per cena. Era inquieto, e cominciò a pensare che forse non avrebbe dovuto fare quel dispetto. Quante storie aveva letto di bambini monelli che poi vengono puniti! Decise quindi di cambiare vita, e come prima cosa, il giorno seguente, pensò di tornare alla sagra a cercare quel bimbo dalla faccia un po’ fessa per chiedergli scusa. Perso nelle sue riflessioni, non vide il camion della spazzatura che stava arrivando, e più non vide altro. Arrivato in cielo (tutti i bambini vanno in Paradiso, anche quelli cattivi), trovò ad aspettarlo il palloncino volato via. Sospirò e finalmente lo prese.