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Enciclopedia Stronza VII: Rivolta dei lustrascarpe, Scacciapanettoni, De Bruco

Rivolta dei Lustrascarpe: tumulto popolare scoppiato fra i lustrascarpe di Boston nel gennaio del 1906, provocato dall’istituzione dell’odioso balzello detto “tassa del lucido” (Shiny Tax). Tale provvedimento era stato escogitato dal governatore del Massachusetts per garantirsi un’adeguata fornitura di quaglie farcite, pietanza di cui era ghiotto, ed imponeva di versare all’erario un nichelino per ogni oggetto reso lucido da un lavoratore. Ovviamente la Shiny Tax andava a colpire soprattutto la sottopagata categoria dei lustrascarpe, che già faceva fatica a tirare avanti. Questi lavoratori quindi incrociarono le braccia e smisero di compiere il loro lavoro, lasciando così gli stivali dei gentiluomini del New England in balìa di fango e polvere per oltre un mese. Il governatore, dal canto suo, non aveva però alcuna intenzione di recedere, e la situazione rimaneva in stallo. La sommossa giunse al termine quando Lester Martin, un geniale ingegnere di New York, inventò un efficiente macchinario lustrascarpe automatico. Dato che l’impresa era compiuta da una macchina, la “tassa del lucido” non doveva essere corrisposta (cfr. Atti della Corte Suprema, febbraio 1906). Le scarpe dei signori per bene e la loro rispettabilità furono quindi salvaguardati, mentre i rivoltosi, non avendo più alcun potere contrattuale, vennero trucidati dalla polizia di Boston. I loro miseri averi furono venduti e utilizzati per l’acquisto di ulteriori quaglie per il governatore.

Scacciapanettoni: strumento domestico in uso a Vicenza e provincia. Lo scacciapanettoni più comune, quello in vendita nei negozi di casalinghi, è una barra di metallo semirigida lunga circa 40 cm e terminante con un fiore di plastica colorato (detto “biciùn“). Non mancano quelli artigianali, costruiti in legno o con biciùn elaborati, secondo la secolare tradizione vicentina. Lo scacciapanettoni è usato principalmente come decorazione o come spauracchio per i bambini (“Guarda che se non fai il bravo vado di là e prendo lo scacciapanettoni!”) ma verso Natale viene tirato fuori e utilizzato dalle famiglie festanti. Infatti, verso il termine dei luculliani pranzi natalizi, quando agli stomaci stremati viene proposto il panettone, i conviviali possono allontanare da sé il prelibato dolce con lo strumento apposito. A Vicenza si suol dire che Natale non è Natale senza la scena del capofamiglia che usa lo scacciapanettone e la matrona che si arrabbia.

De Bruco: poema latino in esametri, scritto fra il 123 ed il 70 a.C da Marco Aurelio Fellatino. L’opera in questione, della lunghezza di 746 pagine (o, secondo gli standard dell’epoca, 230 rotoli), consta di 22462 esametri e narra della vita di un unico bruco anonimo, dal suo concepimento fino alla sua morte, che avviene tragicamente ad opera di un corvo poco prima della metamorfosi in farfalla. I commentatori antichi e moderni apprezzano particolarmente il passaggio in cui Fellatino racconta minuziosamente il cammino del bruco da una foglia al tronco dell’albero, descrizione che occupa all’incirca 122 pagine, raggiungendo nell’esametro 1022 la punta massima del sublime. Le parole “et arbor fuit” ormai sono sinonimo di sollucchero poetico in tutto il mondo.
Nei salotti della Roma imperiale era di moda vantarsi di aver letto il poema per esteso, sebbene ciò molto spesso non fosse vero (un po’ come succede oggi con l’Ulisse di Joyce), e spesso anche gli intellettuali più in vista si limitavano a conoscerne i passaggi maggiormente significativi. Memorabile a tal proposito un intervento di Cicerone che, dinnanzi alla folla in ascolto, citò il poema come esemplificativo del caso di cui si stava discutendo. Per inciso, il celebre oratore si stava occupando di difendere un politico accusato di corruzione, ma nessuno osò chiedergli spiegazioni per non rischiare di dimostrare di non aver mai letto il De Bruco.