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Momenti di umorismo parte III

Dopo la pipa e la barzelletta pelosa, a voi un’altra barzelletta orrenda. Anch’essa proviene da qualche momento oscuro della mia infanzia, ma purtroppo non riesco a ricordarne il responsabile; ho qualche sospetto sull’amico sassellino Marco B., detto Il pamparotto, ma non potrei giurarlo. Ma ora si spengano le luci, si zittiscano i cellulari e si ascolti attentamente “Il pappagallo insolente“.

Allora, c’è una signora che va a comprare un pappagallo. Il negoziante le dice: “Stia attenta, signora, che questo pappagallo ripete tutto quello che sente”. “No, va bene, va bene, non c’è problema”. Mentre lo porta a casa dal negozio, si mette a piovere e un signore che passava di lì dice “Minchia, piove!”. Poco dopo incrociano un tizio con un carro trainato da un cavallo che ad un certo punto crolla dalla fatica. Un passante suggerisce al padrone del cavallo: “Schiacciagli le palle che si rialza!”
Però , una volta a casa, il pappagallo continua a stare muto, tanto che la signora si preoccupa e decide di farlo benedire. Chiama il prete che viene a casa della signora e cosparge l’uccello di acqua santa, al che il pappagallo esclama: “Minchia, piove!”. Il prete allora sviene e il pappagallo dice “Schiacciagli le balle che si rialza”.

Appena smettete di ridere analizziamo la storiella. Nel frattempo canticchio un po’.

Firulì, firulà. Lallallerò lallallà. Puffa una canzon.

Su, ora basta ridere! L’introduzione della barzelletta è debole, manca della verve necessaria ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore. Mi è stata raccontata così, ma si potrebbe aggiungere qualche dettaglio. Ad esempio, potrebbe essere un pappagallo in svendita perché troppo insolente. Oppure la signora potrebbe cercare qualcosa di economico e gli viene rifilato quello. E’ invece ovvio che uno compra un pappagallo perché parla (almeno, nel mondo delle barzellette). A che serve quindi l’avviso del pappagallivendolo?
Della seconda scena, quella del tragitto verso casa, mi piace la scena del cavallo sfiancato, a metà strada tra Tex (“Ehi amigo, schiaccia le palle a quel mustang!”) e Cuore (“Vedi, Enrico, i patrioti del Risorgimento soffrirono molto più di quel cavallo, ma il nobile sentimento dell’Italia Unita fece come se venissero loro schiacciate le palle”), e apprezzo del senso pratico del passante che non si fa i cazzi suoi. Visto che pioveva, però, il cavallo poteva essersi rinfrescato.
L’apoteosi dell’imbecillità sta nella terza scena. Il pappagallo non parla, e la signora che fa? Lo riporta indietro al negozio? Si rivolge ad un veterinario? Tenta qualche tecnica logopedistica? Ne è felice perché non le rompe i marroni? No, niente di tutto questo: chiama un prete! Alla faccia dell’oscurantismo!Il personaggio del prete forse è ancora più surreale di quello della signora o del pappagallo: un uomo di chiesa che evidentemente non ha di meglio da fare che accorrere a benedire pappagalli che non parlano, usando per di più l’acqua santa (la cosa tra l’altro mi puzza un po’ di blasfemo…) e che soprattutto sviene quando sente una parolaccia. Io amo quest’uomo, lo voglio come zio!
Il difetto primario della barzelletta sta a questo punto nel finale: lo svenimento del prete crea una situazione surreale, e la prima frase pronunciata dal pappagallo prelude al finale in modo troppo plateale, e quindi il climax è anticipato. Una delle regole di base delle barzellette è che il finale deve essere in crescendo. E’ come se ne finale della barzelletta del Fantasma Formaggino si aggiungesse: “E il fantasma rimase con un palmo di naso”. Una chiusura in calare deve essere tagliata e se non è possibile, come nel caso della barzelletta oggetto dell’analisi, allora è un’antibarzelletta. Insomma, per che cacchio ridevate prima?