xxmiglia.com's
uFAQ
Scrivermi?
Categorie
Ricerca

Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Annecy 2008 parte seconda: Vincitori

E ora basta con le facezie, vi siete divertiti abbastanza: passiamo ad una serissima e precisa rassegna dei vincitori. La giuria quest’anno ha sorpreso distribuendo premi a corti che il mio entourage non aveva proprio preso in considerazione. Questo ovviamente non significa che il mio entourage sia fatto di incompetenti, diamine, ma piuttosto che la giuria è stata un po’ pazzerella e birichina. Giuro.

Iniziamo dagli ultra-minori. I films de command (prodotti fatti su commissione) ho smesso di vederli già da un po’, una volta resoplay-doh.jpgmi conto che mi ci facevo delle dormite inverosimili. Lo spot pubblicitario vincitore è stato Play-Doh, per la Sony Bravia (a sinistra), che hanno mostrato per intero e che in effetti è bello. A volte mi chiedo perché non vediamo mai gli spot migliori in Italia. Videoclip vincitore è stato invece Dry Clothes per gli Annuals, e il consueto ridicolo premio per il film educativo, scientifico o d’impresa (di solito ce ne sono due o tre in concorso) è andato a Factually Fun Idents X 9, della Bibigon. Sospetto che quest’ultimo premio venga dato come una sorta di incoraggiamento a far produrre questo tipo di film e quindi a trovare nuove fonti di finanziamento per l’animazione.

mootmoot.jpgAltri premi minori che non ho visto sono quelli televisivi. Non ho un granché di metro di giudizio, avendo visto poco, ma Ombretta, che la tivù se la sciroppa sempre tutta dall’inizio alla fine, sostiene che ci fosse di meglio. Speciale TV vincitore è stato il tedesco Engel zu Fuss, premio speciale (ricordo qua una volta per tutte che “premio speciale” è un modo carino per dire “quello che è arrivato secondo”) alla serie TV per Talented Mouse, inglese, e Cristallo per Moot Moot “L’enfer de la mode” (a destra), che dallo spezzone visto pare una gustosa parodia del mondo della moda interpretato da pecore.

oktapodi.jpgCome ho già detto, ho il cruccio di aver visto poco dei premi di scuola, però alla fine ho visto tre vincitori su sei. Il premio Canal+ Family, premio apparentemente minore ma di quelli che cacciano soldi, va a Oktapodi, Francia, di Julien Bocabeille, François-Xavier Chanioux, Olivier Delabarre, Thierry Marchand, Quentin Marmier, Emud Mokhberi (a sinistra. Oktapodi, non Mokhberi!), che è una rocambolesca storia d’amore tra polpi in una cittadina greca, realizzata in uno stile 3D di chiara impronta Gobélin.
I premio dei babanotti rincoglioniti “Prix du Jury Junior” va a Margot, Belgio, di Gerlando Infuso. E’ un prodotto belga nel senso più ampio e razzista del termine, abbastanza ben realizzato nelle sue marionetta ma molto noioso e mal narrato, tanto che me lo sono anche un po’ pisolato.
Passando ai premi della giuria, la menzione speciale è andata a Le voyageur, ancora belga, che non ho visto, di Johan Pollefort, mentre il premio speciale è andato a My Happy End, Germania, di Milen Vitanov, e questo l’ho visto e apprezzato myhappyend2.jpgparecchio (a destra). Parla della relazione di amicizia di un cane con la propria coda, vista come se fosse un essere quasi indipendente. Graficamente è realizzato con un tipo particolare 3D che sta andando di moda e che ricorda molto il tradizionale disegno su carta. Pare paradossale, ma funziona, è divertente e commovente.
Vincitore è stato Camera Obscura, Francia, di Matthieu Buchalski, Jean-Michel Drechsler, Thierry Onillon. Non l’ho visto, ma il 3D in cui è stato realizzato appare stiloso ed elegante.

diedreireuber.jpgE ora passiamo ai pezzi più importanti, quelli di cui ho visto tutto. Lungometraggi, premio del pubblico: Die Drei Räuber,I tre ladroni (a sinistra). Non l’ho visto. D’oh. Beh, dai, mettetevi voi nei miei panni; non è facile aver voglia di vedere un film la cui descrizione recita: “In una notte fredda e buia, tre briganti fermano una carrozza alla ricerca d’oro, ma fanno piuttosto la conoscenza di Tiffany, la piccola orfanella”. Quando però qualcuno lo ha visto e ha iniziato a girare voce che fosse un film ganz-ganz, non son più riuscito a recuperarlo. Pazienza.
La menzione speciale per il lungo è andata a Plympton, col suo Idiots & Angels (a destra). Questo film, a dir la verità, non è mai stato considerato come uno dei favoriti, in parte per la sciocca argomentazione “Plympton ha già vinto più volte”, e in idiotsandangels.jpgparte perché, in effetti, tale film ha qualcosa che non va. Idiots & Angels parla di un uomo squallido e cattivo a cui nascono le ali e che si trasforma in angelo. Ha una cifra più seria del solito Plympton, anche se non manca un certo umorismo nero di fondo e qua e là di situazioni un po’ schifose (il vero marchio di fabbrica di Bill!), è completamente privo di dialoghi ma la cosa non disturba, è ambientato quasi tutto in un due luoghi precisi ma la mancanza di azione non è un problema. E’ difficile dire cosa non vada in Idiots & Angels, perché è un film che emoziona, diverte ed è ben realizzato; però l’alchimia, in qualche modo, non funziona.
Il vincitore è stato Sita sings the blues, di Nina Paley, e direi che indubbiamente il film merita la vittoria, per la sua sita2.jpgoriginalità e per la cura della realizzazione. Sita sings the blues si svolge su tre piani differenti: un piano autobiografico, in cui Nina Paley racconta di una storia finita male con un tipo, uno leggendario, in cui l’autrice reinterpreta l’epopea indiana del Râmâyana ricalcandola sulle proprie esperienze, e un piano, come dire, “pseudo-narrativo” in cui alcuni indiani, conversando in modo apparentemente casuale, sita3.jpgtirano le fila del racconto. I rimandi incrociati quindi non mancano, e i tre piani sono disegnati in stile molto differente (a sinistra e destra due degli stili) e con tecniche di animazione diverse. Come se la struttura non fosse già abbastanza elaborata, le parti dedicate alla leggenda sono in musical, costellate di canzoni della cantante jazz anni ’20 Annette Hanshaw che più o meno si adattano alle situazioni, cosa che rende il cortocircuito ancora più straniante. Se vogliamo trovare un difetto, è che queste canzoni sono un po’ troppe e verso la fine stancano, ma per il resto è un film proprio bello, e c’è da sperare che possa godere di una distribuzione decente.

Ed eccoci ai premi dei cortometraggi in concorso, il piatto forte della serata.
E invece no, partiamo dai minori. Premio FIPRESCI (giornalisti) a Ona koja mjeri, Croazia, di Veljko Popovic (meglio noto come “il pirata Popov”, per l’abbigliamento pittoresco che sfoggia questo signore). E’ un corto che parla di una fila di persone che spingono un carrello in mezzo a un deserto, una chiara allegoria del consumismo. A noi pubblico non aveva colpito più di tanto, però il Pirata Popov è un signore buffo, quindi un po’ felici per lui lo siamo.
kfjgno5.jpgIl premio Sacem (equivalente della SIAE) per la miglior colonna sonora è andato a KJFG No 5, Ungheria, di Alexei Alexeev. Questo corto merita il link (e la fotina a sinistra) perché anche se si tratta di una semplice gag, è talmente gustosa e ben riuscita che ha fatto innamorare tutti. Si sperava in qualche premio per KJFG No 5, che comunque è il vincitore morale del festival, ma non si aspettava quello per la colonna sonora, poiché  in effetti (se l’avete visto lo capite) la colonna sonora è, ehm, spartana, anche se essenziale alla narrazione.
portaits.jpgPremio Jean-Luc Xiberras per l’opera prima è finito al curioso Portraits ratés à Sainte-Hélène, Francia, di Cédric Villain, a destra. Con piglio documentaristico fitto di ironia, il film racconta di come è vissuto Napoleone a Sant’Elena e delle vicissitudini dei calchi del suo viso dopo morto. Graficamente è essenziale ma colorato, e probabilmente è stata un’ottima scelta da parte della giuria.
Personalmente, invece, ho amato molto poco il corto scelto dal pubblico (malnato pubblico bue!), Skhizein, Francia, di Jérémy Clapin. Un signore viene colpito da un meteorite, e inizia a vivere a 92 centimetri da se stesso. Anche senza il titolo, non è difficile capire che si tratta di un’allegoria della schizofrenia. Non mi è piaciuto perché la realizzazione grafica mi è parsa sgraziata e poco consona al tema, e perché la narrazione è goffa e noiosa, nonostante qualche spunto interessante.
morana.jpgPassando finalmente ai premi della giuria, due son state le menzioni speciali. A sinistra, Morana, Croazia, di Simon Bogojevic Narath è un 3d pittorico, giocato su due piani: da un lato uno sciamano e dall’altro un frenetico mondo moderno, ma non è chiaro quale sia la parte onirica e quale la parte reale, o se siano entrambe reali, o entrambe oniriche. Al di là della bella realizzazione, il fascino del corto risiede in questa ambiguità.
berniesdoll.jpgSeconda menzione è andata a Berni’s Doll, Francia, di Yann J. (a destra), che sicuramente non ha vinto il premio per l’originalità del soggetto. Si tratta infatti di una rielaborazione del mito di Frankenstein attraverso le bambole gonfiabili. No, il premio è andato per l’ottima atmosfera di squallore, per l’humour nero, per il ritmo di narrazione compatto e preciso. Un buon lavoro.
ladama.jpgForse la sorpresa maggiore, foto a sinistra, è stata invece il Premio Speciale della giuria, andato a La dama en el umbral (La dama sulla soglia), Spagna, di Jorge Dayas. Si tratta di una storia “horror” in stile ottocentesco (Poe è il riferimento più immediato) che parla della storia di un capitano invitato ad una cena di un club molto particolare. Stupisce il secondo premio perché, pur essendo una storia intrigante e ben narrata, la realizzazione è in un 3d piuttosto povero e privo di fascino, e comunque perché di storie simili ne abbiamo già viste tante.

maison2.jpgNessuna sorpresa invece per il vincitore del Cristallo di Annecy, scelta concorde con la giuria dei babanotti: La maison en petits cubes (Giappone), di Kunio Kato. I giapponesi che fanno cortometraggi, di solito, producono stili profondamente diversi da quelli degli anime: anzi, probabilmente, in un paese che produce così tanta animazione, fare cortometraggi è un mezzo per esprimersi in un modo totalmente differente dallo stilmaison3.jpge imperante. Il lavoro di Kato obbedisce solo in parte a questa regola: non è un film estremo o sperimentale, è solo una narrazione pacata disegnata in toni pastello. La storia del vecchietto che costruisce piani alla sua casa sull’acqua man mano che sale il livello del mare ha conquistato tutti perché riesce a parlare della nostalgia di un periodo che non c’è più con grazia, commozione e usando un espediente narrativo originale e azzeccatissimo. Un plauso al timidissimo e giapponesissimo signor Kato.

(Next: Selezione sparsa di roba bella e roba brutta)