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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Scamparla bella

Se gli sguardi potessero uccidere, io sarei morto il 15 ottobre 1993.
Il giorno precedente a questa fatidica data Paolo Mantovani, storico presidente della Sampdoria, lasciò questo mondo. De mortuis nihil nisi bonum, questo lo so bene, ma quel giorno il bombardamento su quanto quel signore fosse un Grande Uomo e avesse compiuto Grandi Opere era insopportabile, soprattutto a Genova, che spesso si dimostra una città molto provinciale. Intendiamoci, io non ho mai conosciuto personalmente Paolo Mantovani e poteva benissimo essere una bravissima persona; però era un personaggio pubblico coinvolto nel mondo del calcio, mondo che ora come allora mi fa ribrezzo, e in quanto tale non era una persona che poteva essermi simpatica. Quindi, dopo mezza giornata che il mio amico Dr. Deejay mi bombardava sulle virtù di Mantovani, di fronte all’edicola alle fine di Viale Benedetto XV sono sbottato in un perentorio”Mantovani era un buffone!”. Un signore che passava di lì si volto di scatto, esclamo “Ehp!” e la sua espressione, sulle prime di pura sorpresa, si mutò rapidamente in un ghigno di profondo odio. Saggiamente, fischiettai e mi allontanai prima di essere linciato.

Da questa esperienza ho imparato tre cose:
a) Fischiettare la canzone dei Puffi è un salvacondotto senza pari.
b) L’edicola al fondo di Viale Benedetto XV a Genova è un posto pericoloso.
c) Mantovani era un buffone.

Misteri della vita LXXXV: Ehp!

Una delle interiezioni più diffuse nei vecchi fumetti italioti per bambini stile Trottolino, Braccio di Ferro, Geppo (sì, quelli che regalo a piene mani ai miei migliori commentatori) era “Ehp”, che indicava sorpresa e/o meraviglia. Era una parola che io, mentalmente, leggevo “Ecp”, probabilmente con lo stesso meccanismo di chi pronuncia “iamaca” la parola “Yamaha“.
Il significato della parola si deduceva puramente dall’abitudine e dal contesto, perché nessun essere vivente ha mai pronunciato suoni che assomiglino vagamente a “Ehp”, tranne Peter McBride di Venice (Wyoming) che ha inventato un linguaggio tutto suo in cui “Ehp” significa “Colui che attraversa il mare per scappare al controllore dell’autobus”. E’ una situazione che, in effetti, è capitata a Peter e potrebbe essere capitata più volte a Braccio di Ferro, ma non a Geppo né tantomento a Tarzanetto!

‘Nsomma, da dove hanno tirato fuori questa parola gli sceneggiatori di quei fumetti?

Grand Theft Auto

La prima automobile che ho guidato regolarmente era una Fiat 126bis color verde vomitino pallido. Non sono mai stato particolarmente affezionato a quel mezzo, poiché, nonostante l’indubbio fascino retrò, la facilità di parcheggio e il tocco di classe di metterci l’autoradio, era davvero molto poco affidabile (ho perso il conto delle volte che mi ha lasciato a piedi!) e anche un po’ pericolosa, vista la qualità della tenuta di strada e dei freni e la solidità della carrozzeria. E poi con una 126 mica si rimorchia tanto.

Una sera, nell’inverno 1993-1994, dovevo andare a vedere un concerto a Imperia con un amico (che poi sarebbe diventato mio nemico, ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta). Ci incontrammo, ci salutammo, decidemmo di andare con la mia macchina e, mentre lui andava a parcheggiare il suo mezzo, mi avviai verso la mia. Feci per aprire la portiere e…perpicchio pimpernacolo! La chiave non gira! Provo più volte, ma niente da fare. Mi rassegno al fatto che la serratura è rotta. Pazienza, ci penserò domani, per stasera faccio il giro dall’altra portiera e cerco di aprire. Niente da fare: dev’essersi rotta la chiave, non la serratura.

Ho però ancora una freccia al mio arco. La 126, ovviamente, non ha la chiusura centralizzata, quindi è possibile che il bagagliaio sia aperto. Verifico: bingo! Eh, sì: siamo nella sonnolenta provincia, sono altri tempi e io sono anche un pigrissimo distrattone che non chiude mai di dietro. A fatica mi introduco nel vano bagagli e con ancora più stento riesco a trascinarmi fino a davanti. E poi qualcuno, forse mio padre, ha avuto la brillante idea di mettere dei rami d’albero nel bagagliaio. Je possino, ma che gli salta in mente? Mi sistemo sul sedile anteriore, infilo la chiave di accensione e…non gira! Mentre sto per prorompere in una sonora invettiva contro il Creatore noto un dettaglio: un gagliardetto dell’Inter che scende dallo specchietto. Con un’enorme gocciolone di sudore sulla nuca sposto lo sguardo in avanti e vedo, un paio di posti più avanti, la mia macchina parcheggiata, senza che alcun giovane rincoglionito cerchi di scassinarla solo perché dello stesso modello e colore del proprio mezzo. Silenziosamente, ritornai nel bagagliaio, scusandomi mentalmente con il mio incolpevole papà e i suoi rami nel bagagliaio e fischettando andai a prendere la mia trappoletta.

Il concerto di quella sera fu mediocre, tanto che non ricordo manco chi suonasse. Potevo anche starmene a casa ed evitare tutto ‘sto casino. Diamine!

Ho visto cose

Ho vissuto 34 anni ricchi. Non ci credete? E allora sappiate che:

E ora ditemi: che me ne faccio dei raggi B e dei Bastioni di Orione con queste esperienze al mio attivo? C’è abbastanza da divertirsi con la mera umanità terrestre!

Avete di meglio da suggerire? Fatevi avanti!

E ora, qualcosa di completamente diverso


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Enciclopedia Stronza XXXV: Tenere il piede dentro le chiappe, Gayboy, FessaBuca

Tenere il piede dentro le chiappe: espressione idiomatica che si ritrova in molti luoghi sparsi in tutta Europa, sempre con significati differenti.
A Torino significa “affidarsi a qualcosa di sicuro, riparato”; a Napoli “essere affettuosi e cordiali con chi ti tratta male”; a Urbino “avere poca voglia di camminare”; a Genova “maledire il focacciaro che usa ingredienti di scarsa qualità”. Uscendo dall’Italia, a Berna viene interpretato come “avventurarsi un qualcosa di rischioso”, nella grassa Berlino invece significa “tenere da parte il boccone migliore del maiale per evitare di darlo all’ospite”; a Saragozza corrisponde alla pratica sessuale altrove nota come “cinepimastia”; ad Atene viene utilizzata per indicare “chi ha i calzettoni troppo pesanti”. Infine, in Belgio significa “tenere il piede dentro le chiappe”.

Gayboy: misconosciuta console clone del Gameboy lanciata dalla Fintendo nel 1992, nella speranza di sfruttare il successo dell’originale. Il Gayboy, che nella mente dei markettari della Fintendo doveva richiamare un bambino felice, fu un insuccesso: venne boicottato dai benpensanti che ritenevano che spingesse i giovani verso l’omosessualità, dalla comunità gay che riteneva il nome offensivo nei propri confronti e anche dai normali videogiocatori che sostenevano che fosse una pessima console. In effetti, lo era.

FessaBuca: a ridosso del lancio internazionale di FaceBook, gli ideatori del popolare social network pensarono di farne delle versioni locali per andare incontro a un pubblico più ampio possibile. La prima “versione nazionale” doveva essere quella italiana: optando per una traduzione un po’ maccheronica, in linea con un approccio spiritoso, il FaceBook italiano fu chiamato FessaBuca. Per ragioni che l’ufficio marketing non riuscì mai a spiegarsi, Fessabuca attirò nei primissimi giorni un’utenza costituita di soli pervertiti, sessuomani e pedofili. In fretta e furia, si decise di chiudere FessaBuca e il progetto di “internazionalizzare” FaceBook fallì miseramente.

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