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La mossa del fesso

Ogni città ha il suo carattere, nei riguardi del rispetto delle regole della strada. A Genova, ad esempio, i parcheggi sono molto fantasiosi (più che a Milano, ad esempio), i limiti di velocità piuttosto aleatori e, nel caso delle motorette, anche il concetto di “corsia” è piuttosto oscuro. Invece, nel complesso, la gente non passa mai col semaforo rosso. Non mi so spiegare il perché di questo atteggiamento, ma è rarissimo vedere qualcuno transitare col rosso anche nel caso di semafori pedonali deserti funzionanti di notte, caso in cui il buon senso potrebbe suggerire che fare uno strappo, pur tenendo alta l’attenzione, potrebbe non essere così grave.

Tuttavia, appena viene verde, le motorette, accumulatesi in prima fila durante il vermiglio periodo, scattano ratte. E non solo: i motorettisti spietati sanno che il via libera arriva quando scatta il rosso del semaforo “nemico” (cioè quello complementare al proprio); spiando quello, è possibile anticipare di un picosecondo la partenza. O almeno, questo è quello che i motorettisti più stolti credono. A Genova, infatti, diversi semafori hanno una seconda anomalia (oltre questa): c’è un periodo di latenza di un secondo o due in cui è rosso per tutti, probabilmente escogitato perché chi passa col giallo avanzatissimo non si scontri col motorettista troppo lesto a sfrecciare. La conseguenza è che, allo scattare del rosso corrispondente, molti motorettisti danno di gas: BRUM!, però, resosi conto che il proprio verde non è ancora attivo, e non volendo passare col rosso, rimangono con le pive nel sacco e non partono. Io chiamo questo atteggiamento mossa del fesso, e rido mentalmente molto forte ogni volta che mi capita di assistervi. Cioè, praticamente a ogni semaforo. Che ci volete fare, mi diverto con poco.

Misteri della vita CII: Gli Iron Maiden a Pietra Ligure

mvaperto.pngQuesta è difficile. Nel 1985 gli Iron Maiden rilasciarono il doppio disco dal vivo Live after Death. (*) Nell’edizione in vinile di questo album, aprendolo come un libro, ci si trovava di fronte ad un collage di fotografie tratte da quel tour mondiale, con in mezzo il pacchianissimo Eddie gigante costruito in occasione del World Slavery Tour.
Una di queste foto, mi pare nella zona in basso a destra, ritraeva gli Iron Maiden di fronte al mare, con una nave sullo sfondo, senza nessun indizio che suggerisse di che luogo si trattasse. Ebbene, si era diffusa la leggenda che quella foto fosse stata scattata a Pietra Ligure, in provincia di Savona. Ho sempre trattato questa leggenda come una bufala nata dal provincialismo di giovani metallari che volevano bullarsi del fatto che un gruppo della statura degli Iron Maiden fosse stato ritratto dalle nostre parti, ma poi, per caso, ho scoperto che gli Iron Maiden hanno davvero suonato a Pietra Ligure in quel tour, per la precisione il 22 agosto 1984. E quindi mi chiedo: in Live After Death, c’è davvero una foto dei nostri amici capelloni nell’amena cittadina ligure?

(*) Che, per quanto mi riguarda, rimane il miglior disco dal vivo di sempre. Perdonate questo sfogo.

Sabato 10, Lunedì 12

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Sabato 10
Qualche giorno fa, io e tutti gli altri abbiamo aperto una piccola casetta a due stanze. Però una non la usiamo, infatti l’abbiamo coperta con un armadio.
La chiamiamo “baracchetta”, be’, ora per far più breve, era sporca e l’abbiamo pulita.

Lunedì 12 luglio
Ieri nelle semi-finali del mondiale di calcio l’Italia ha vinto la coppa del mondo.
Tutte le macchine strombazzavano dappertutto.
Io e Chiara abbiamo suonato il campanello delle bici, insomma, tutti hanno fatto festa!

La “baracchetta” era costituita da un paio di stanze abbandonate nella casa di Daniele, casa mezza diroccata che infatti a breve verrà abbattuta per ricostruirla. Qui taccio il fatto che in realtà il nome e l’occupazione di quelle stanze erano opera della generazione precedente alla mia, quella di Dario e Cipulìn, e ne era testimonio il fatto che c’era scritto “buliccio” a pennarello sotto la finestra. E mi pare di ricordare che avessimo anche già trovato l’armadio a coprire la seconda stanza, e, anzi, fossimo dispiaciuti di non poterla utilizzare: due stanze sono meglio di una! Anche qua, infine, taglio breve verso il finale: ho l’impressione che, spesso, avrei avuto voglia di raccontare di più, ma avevo dei limiti di spazio imposti dalla maestra, o addirittura autoimposti. Ricordo infatti che, per stare nello spazio previsto, spesso cercavo dei sinonimi più brevi, in modo da poter raccontare più eventi nell’arco di una pagina: “auto” al posto di “automobile” o “macchina”, ad esempio.

E ora veniamo alla seconda entry, quella che tutti stavate aspettando col fiato sospeso da due mesi (non siete ancora morti?). Non è difficile dedurre che io non seguissi il calcio, tanto che ero convinto che la coppa del mondo si vincesse dopo aver giocato la semifinale (anzi, semi-finale, scritto con trattino è più figo). Addirittura, quell’anno, la nazionale di calcio era venuta in ritiro ad Alassio, e a differenza di tutti i miei compagnucci di classe, non mi ero preoccupato di andare a vedere gli allenamenti. Alessandro, invece, passò i successivi 3 anni di elementari sfoggiando a ogni lezione di ginnastica la maglietta con tutti gli autografi dei calciatori, sempre più sbiaditi, e gli aneddoti per i quali giocava a ping-pong con Altobelli, a bocce con Rossi e tirava i rigori a Zoff sarebbero diventati sempre più barocchi. Tornando alla partita, non cito nemmeno squadra nemica e risultato, né parlo dell’emozione della vittoria: ciò che invece mi ha colpito è il fatto che tutti strombazzassero in giro… e se lo facevano in una frazione di Sassello che contava tipo 50 abitanti, figuriamoci nel resto del mondo! E poi io e mia sorella e che suoniamo il campanello della bici… non siamo teneri?

Communication FAIL

deiezioni.jpg

Questo cartello compare a Genova, sparso un po’ in tutta la città. Certo, Genova è una città in cui in effetti il problema delle popò di cane per le strade non è trascurabile: anche se ormai non raccoglierle è considerato un comportamento socialmente reprensibile, la gente continua a farlo di nascosto, quindi una campagna in questo senso può essere utile.

Tuttavia, è stupefacente in quanti modi questo cartello sia sbagliato.

Misteri della vita CI: Baciccia

Daniele, che era di Sassello, mi aveva insegnato la seguente filastrocca per deridere suo zio Baciccia (crossover!):
Baciccia
cugia dritta
gambe storte
tira ippa

Filastrocca nel buffo dialetto sassellese, a metà tra il ligure e il piemontese, suggeriva la somiglianza tra Baciccia e qualche sorta di animale. Ebbene, saranno trent’anni che mi chiedo cosa può voler dire l’ultimo verso. Pur immaginando che potrebbe essere una trascrizione non letterale, cosa può voler dire “tira ippa”?

La strage dei mangiapatate

(Chiamate il WWF, qua si parla di sterminio di massa di animali. E fa anche un po’ schifino.)

Sassello, 1984 o giù di lì
Quell’anno Baciccia (crossover con altro post!) aveva piantato le patate, nel campo che stava tra casa sua e i terreni della Cecchina. Poco lontano dalla casa degli zii di Lella, per capirci. Quel gruppo di giovani virgulti che scorrazzava per la campagna (cioè io col mio entourage), visitando quel campo, scoprì che era infestato dai mangiapatate. No, non si trattava di belgi, ma di una strana specie di insetti, non molto diversa dalle coccinelle ma col dorso a strisce di color nero e giallo chiaro: qualche tassonomista potrà forse scoprirne il nome scientifico, Google purtroppo non lo sa.
Ebbene, da bravi bimbi che eravamo decidemmo di liberare il campo di Baciccia da questi animaletti, pensando, forse a ragione, che fossero dei parassiti. Passammo quindi un allegro pomeriggio a raccoglierli, mettendoli in un sacchetto di plastica. Tale contenitore, man mano che il sole tramontava e si appropinquava l’ora di cena, divenne bello pieno e pesante. Sudati, sporchi e soddisfatti del nostro lavoro a questo punto ci ponemmo il problema: che  fare di tutte quelle bestiole? A liberarle si rischiava che tornassero a infestare i frutti della fatica di Baciccia, e poi dovevamo dare l’esempio a tutti i futuri mangiapatate. Appoggiammo il sacchetto per terra, e iniziammo a calpestarlo senza pietà, riducendo i malcapitati animaletti in poltiglia. Il sacchetto fu poi buttato nella spazzatura senza che nessuno osasse aprirlo.
Ed è da allora che i fantasmi di centomila mangiapatate infestano Sassello.

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