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Misteri della vita CV: Evil Marge Simpson

poster-uk.jpgNella sigla dei Simpson, che non linkerò perché intanto la conoscete a memoria tutti, Marge viene presentata come una cattiva madre, che prima si perde Maggie al supermercato (dove viene “passata” alla cassa), poi guida malissimo (tanto che sembra che sia Maggie stessa a condurre l’automobile), rischiando addirittura di investire Homer.
Nella serie, non c’è traccia di questa sua caratterizzazione. Come mai questa discrepanza?

Misteri della vita CIV: Le mamme dei SUV

mercoledi14.jpgSettembre, riniziano le scuole, aumenta il traffico verso le otto di mattina. La domanda sorge spontanea a chiunque inveisca bloccato nei pressi di un ingresso scolastico: è possibile che tutte le mamme che accompagnano i loro figlioli a scuola abbiano un SUV? O meglio, qual è la relazione di implicazione giusta: tutte le mamme con SUV accompagnano i loro figli a scuola o tutte le mamme che accompagnano i figli a scuola hanno un SUV? O forse più semplicemente sono io che le noto di più perché bloccano il traffico a distanza per un paio di quartieri (*) parcheggiando in seconda fila? O, ancora, sono io che me ne accorgo perché l’unica categoria di automobilisti che mi spaventa di più delle donne col SUV sono i ragazzetti col cappellino e la Golf?

Beh, scegliete una domanda e rispondete!

(*) Letteralmente: la scuola di via Cavallotti, a Genova Boccadasse, a causa della auto in doppia fila crea una coda che attraversa Boccadasse, Sturla e arriva quasi fino a Quarto.

Una strana famiglia

Warning: anche se uso il tag Odia gli stupidi in modo improprio, è roba molto volgare (ci chiamiamo “I budini molli”).

C’è una gaia canzoncina che mi ha sempre colpito. Cantatela tutti in coro sull’aria di La donna è mobile, dal Rigoletto:

La donna immobile
sul letto stava
col dito mignolo
se la grattava.
Arriva Pippo,
marito pazzo,
ci leva il dito
ci mette il cazzo.
Arrivo io,
che son suo zio,
ci levo il suo,
ci metto il mio.

Dai, via quella faccia scandalizzata, la conoscevate tutti, magari nella variante col dito indice al posto del dito mignolo. Purtroppo gli autori di capolavori come questo (o altri simili,  come il già esaminato dramma equatoriale) rimangono sconosciuti, perché ci sono un po’ di cose che vorrei capire. Focalizziamo. C’è mio nipote Giuseppe, detto Pippo, che ha una moglie sessualmente insoddisfatta. Sono cose che capitano, piccoli problemi quotidiani. Come faccia a stare immobile e contemporaneamente darsi da fare, è un piccolo mistero, ma in fondo possiamo prenderlo per buono, supponendo sia una sorta di iperbole. Quello che più mi turba è il fatto che Pippo, giunto sul luogo del misfatto forse per caso o forse no, venga ritenuto pazzo perché, vedendo sua moglie ricorrere all’autoerotismo, decida di compiere il proprio dovere coniugale.
A meno che, e questo è il dubbio che mi tormenta, non sia che
a) Pippo è pazzo indipendentemente dal fatto di togliere il dito e mettere il cazzo.
b) Pippo è marito di una donna che non è quella immobile sul letto.
…o tutti e due, ovviamente. In tal caso la graziosa canzoncina apre scenari più inquietanti di adulterio se non di stupro da parte di un malato di mente.

Ma la storia non è finita. La canzone è in crescendo: la prima strofa riguarda l’atto sessuale di una sola persona, la seconda di due. E’ inevitabile che nella terza si svolga un menage à trois, e come in quelle opere sperimentali in cui l’autore o il lettore all’improvviso entrano nella storia, ecco che arrivo io, in qualità di zio di Pippo (di Pippo, non della donna immobile, poiché subito dopo c’è un altro riferimento inequivocabile:”ci levo il suo”). E non trovo di meglio da fare che afferrare il batacchio di mio nipote, tutto intento a fare del dolce su e giù, e prendere il suo posto. Son cose che possono piacere, non lo metto in dubbio, ognuno ha i suoi gusti, e anche se vengo coinvolto mio malgrado non citerò in giudizio l’autore della canzone. Suppongo che alla fine, comunque, io e Pippo ci daremo il cinque.

Butters!

Per prepararvi a questo inconcludentissimo aneddoto, si sappiano le seguenti informazioni su di me:

L’autobus: la mia casa ad Alassio è in collina, situata a un paio di chilometri abbondanti di salita dal centro città. C’è un autobus che, con frequenza oraria, percorre la strada e un’opportuna fermata che fa al caso mio (la cosiddetta “fermata della Liggia”). Fin dall’età di 7-8 anni io prendevo questo autobus da solo, in realtà senza essere stato addestrato in modo completo. Infatti, nessuno mi aveva mai detto che per scendere alla Liggia dovevo suonare il campanello o, come si usa in provincia, chiedere all’autista di fermarsi. Per lungo tempo, ho avuto la fortuna che qualcun altro scendesse alla stessa fermata.

Il “Voi”: da bimbo ero un avido lettore, ben più di adesso: un buon 2-3 ore al giorno le dedicavo a fumetti e libri, spesso rileggendo le stesse cose. Di conseguenza, buona parte della mia conoscenza del mondo derivava dalla parola scritta, cosa che a volte poteva generare attriti con la realtà. Ovviamente non pensavo che esistessero davvero Topolinia e Paperopoli, ma il fatto che conoscessi pochissime parolacce ne era una prima conseguenza. Un’altra era che ero convinto che usare il “voi” come forma cortese fosse normale e perfettamente lecito, esattamente come lo è nell’italiano scritto.

Ecco, ora avete elementi sufficienti per godervi l’aneddoto.
Un giorno ero salito sull’autobus per tornare a casa, gaio della mia indipendenza. Come avrete probabilmente intuito, quel giorno nessuno doveva scendere alla Liggia, e l’autobus tirò dritto. Io mi spaventai un pochino, ma alla fermata dopo, per fortuna un signore doveva smontare dal mezzo e la corriera si fermò.  Ne approfittai e ratto come la folgore scesi anch’io, e mi convinsi che fosse cambiata la mappa delle fermate. Poco male, pensavo, qui è leggermente più lontana ma non sarà la fine del mondo. In un moto di solidarietà, quindi, chiesi a quel signore: “Anche voi non sapevate che era cambiata la fermata?”. Lui mi guardò come si guarda un fessacchiotto e rispose, affrettandosi per la sua strada: “No, io dovevo scendere qua”. E l’aneddoto finisce qua.

Fakt 7: Notizie dal fronte del fuoco

In questi giorni, vicino a Genova sta divampando un incendio piuttosto grande e piuttosto vicino alla città. Le conseguenze sono evidenti e molteplici: l’inquietante colore rossastro del cielo in una giornata altrimenti serena; il fumo che invade la città e fa respirare male; il rumore continuo dei Canadair nella loro opera di spegnimento; l’odore di portacenere che pervade gli ambienti chiusi come gli uffici; il traffico che si blocca nei punti “panoramici” per vedere l’incendio; l’impossibilità di stendere i panni a causa della cenere che piove sulla città.

Ma questi sono dettagli, la conseguenza più importante è quella che tutti tacciono:
Fakt 7: A stare a lungo vicino a un incendio, aumentano di molto le caccole nel naso.

Martedì 13, mercoledì 14

martedi13-1.jpgmartedi13-2.jpgmercoledi14.jpg

Martedì 13
Oggi al fiume abbiamo trovato un gamberetto di fiume. L’abbiamo messo in una pentola.
Qualche ora dopo gli è mancato l’ossigeno. Abbiamo detto alla nonna di cambiare l’acqua, ma ne ha solo tolta, perciò è morto.

Mercoledì 14 Luglio
Ieri ho scritto del gambero, no? Ebbene non sapevo dove era finito, oggi l’ho trovato appeso a un ramo di albero, l’ho seppellito ma poi per fare uno scherzo l’ho appeso di nuovo all’alberello.

Mentre aspetto che qualcuno mi faccia sapere come si dice “trilogia di due soli elementi”, queste giornate passeranno alla storia come “trilogia del gambero”. Bei tempi, il 1982, quando nei torrenti c’erano ancora i gamberi di fiume! Ovvio che ora non ci siano più, quei 20th Century Boys li pescavano e facevano fare loro delle morti orribili! Innanzitutto una precisazione: l’abbiamo messo in una pentola non significa che l’abbiamo cucinato o che avessimo intenzione di farlo. Probabilmente non ci è nemmeno passato per la testa di mangiarlo, anche se probabilmente sono bestie commestibili (anche se lungi dall’essere buone, credo), la pentola era solamente il posto dove conservarlo. E ora il mistero della nonna: sarà davvero successo che abbiamo detto alla nonna di cambiare l’acqua, ma lei l’ha solo tolta? E in tal caso, perché? Perché era malvagia? Probabilmente la risposta, vista dagli occhi di un adulto, è che è meglio liberarsi di quel cacchio di gambero prima possibile, ché fa un po’ schifo e poi la pentola mi serve per cuocere il coniglio per la cena. O magari la nonna voleva davvero cambiare l’acqua, ma a metà dell’operazione è successo qualcosa (che so, il coniglio era cotto) e si è distratta. Fatto sta, ed è la cosa che trovo più buffa, che è morto, e lo dico con un cinismo che mi stupisce.

Assai più inquietante, tuttavia, è il ritrovamento, apparentemente casuale, di un cadavere di gambero di fiume appeso a un albero l’indomani. Ignoro chi possa essere stato, forse io stesso durante un attacco di sonnambulismo, e quale ne fosse lo scopo; forse una sorta di avvertimento agli altri gamberi di fiume: “state lontani da qua, o finirete come me!”. Forse ancora più inquietante è il fatto che, dopo la pietosa sepoltura, ho riesumato quel povero disgraziato e l’ho riappeso, per fare uno scherzo spassoso: “Ehi, guardate, un gambero zombi!”. In effetti fa ridere, lo rifarei anche oggi.
Infine, dal lato formale, trovo assai interessante l’uso retorico della domanda iniziale. Avrei potuto dire “Il gambero di cui ho parlato ieri …”, ma ho preferito ammiccare al lettore. Un blogger in erba già ventidue anni prima di esserlo sul serio.