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Fakt 10: sogni di un divoratore di maiale in agrodolce

L’altra sera mi son fatto il maiale in agrodolce, tipo quello del cinese. E’ venuto un sacco buono, tanto che una delle prossime puntate dei Pinguini in cucina verteranno su questo manicaretto, ma, da bravo Golosastro, mi son fatto prendere la mano. Non pago di un’abbondante porzione, infatti, me ne sono concessa una seconda fino a terminare la padellata. “Chissà se scaldato domani viene bene…per non parlare di provare a surgelarlo! No, no, è meglio finirlo”, mi son detto furbescamente.

Il ventre teso come un tamburo poteva suggerirmi di avere un po’ esagerato, ma sono comunque andato a dormire alla mia solita ora. Non vi stupirà il fatto che ho avuto gli incubi. Io ho una scarsa attitudine al ricordare i sogni: nella stragrande maggioranza dei casi non ricordo assolutamente nulla, raramente ricordo un frammento di qualcosa che mi ha colpito particolarmente (“c’era un dinosauro”), mentre quando dormo male sogno insistentemente la stessa cosa.  In questo caso, il tema ricorrente era che dovessi vedere Lost, la serie tv. Non ricordo né perché né chi me lo suggerisse, ma mi sembrava proprio una bella idea, almeno nel mondo onirico. In realtà, forse anche in seguito al suggerimento dell’omino della sabbia, penso lo farò sul serio.

I sogni ricorrenti sono continuati finché, stremato, non mi sono deciso a svegliarmi e a fare qualcos’altro per spezzare il circolo onirico. Rendendomi conto che Babe Maialino coraggioso si stava vendicando, mi sono quindi alzato a farmi un bicchiere di bicarbonato, l’unica cosa che avessi in casa assimilabile a un digestivo. E sono entrato in paranoia: mi sono all’improvviso fissato che ci fossero i fantasmi in casa. Arrivato in cucina, ho infatti trovato l’anta di un armadio aperta, e mi son detto: “Dio mio! C’è un’anta aperta! Sono stati gli spettri!”. Prima che chiamiate i ghostbusters o decidiate di non mettere mai più piede a casa mia se non con un chierico almeno di 9. livello, sappiate che io lascio spesso l’anta di quell’armadio aperta, per distrazione o per pigrizia. Me ne son ricordato e mi son calmato, ma non è finita: ho chiuso lo sportello e ho cercato di focalizzare il perché fossi in cucina, e mi son ricordato che volevo il bicarbonato. Destino vuole che fosse proprio in quell’armadio infestato, l’ho riaperto, preso il rimedio della nonna, mi son girato per prendere un bicchiere, mi sono rivoltato…e l’anta era di nuovo aperta! Tuffo al cuore e terrore per qualche decimo di secondo prima di ricordarmi che, come da elenco delle azioni di due righe fa, non l’avevo richiusa io stesso, e non c’è stato alcun ectoplasma di mezzo. Questa volta richiudo la dispensa, sorbisco la bevanda e mi dico…”Beh, già che siamo in piedi mingiamo!” e vado in bagno a ottemperare ai bisogni fisiologici. Il problema, però, è che per tornare a letto dovevo passare dalla cucina: e se trovo l’anta aperta, questa volta che sono certo di averla chiusa? Timoroso ritorno di là… e ovviamente era chiusa. Mi dispiace, ma i fantasmi non esistono, se non questi, ovviamente.

Fakt 9:  troppo cibo fa venire gli incubi, anche da svegli

Martedì 27, lunedì 2

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27 luglio
Ieri 26 luglio era Sant’anna. Sant’anna è una piccolissima chiesa del piano.  Perciò Sant’anna è la festa del piano. Di solito per festeggiare fanno dei falò. Due anni fà hanno fatto un falò di almeno il doppio di quello di quest’anno noi non l’abbiamo visto bene perché eravamo andati a messa. A proposito di falò, abbiamo inventato il gioco del falò. Uno imita il falò e gli altri gli girano attorno. Perde quello che vieno toccato dal falò.

2 agosto
Ieri, siamo andati a fare un picnic nel bosco dopo aver mangiato un buon pranzo abbiamo scoperto, nel bosco, un laghetto nascosto. Non so perche di ciò, ma si chiama Lago dei Giardini.

Ma…che diamine! Cattivo Luca, sfaticato! Hai iniziato a saltare i giorni! Evidentemente dovevo  essermi un po’ stufato di fare il bravo bimbo e stare a casa a fare i compiti quando gli altri se ne andavano per villaggi abbandonati tra bisce, orologi e temporali. Tuttavia, la pagina del 27 luglio è più lunga del solito: forse mi sentivo un po’ in colpa, o forse percepivo l’importanza della festa di Sant’anna (la maestra si è ostinata a correggere la maiuscola, senza capire che è una parola sola con un apostrofo in mezzo. E comunque anche Piano, che è un toponimo, andava messo in maiuscolo, per Giove pianeta!) che, in una frazione con una trentina di residenti, era proprio il culmine della stagione e si festeggiava, come si sarà intuito dal fatto che ho ripetuto questa parola sei volte in tre righe, con dei falò. Certo che suona bene la parola falò, d’ora in poi ripeterò falò molto spesso. Dicevo, si festeggiava con dei falò, ma in seguito (magari prima o poi ne parlerò nello specifico) la festa andò oltre i falò, e si affiancò ai falò (che non sarebbero mai mancati) anche una specie di piccola sagra in cui io e il mio entourage, più grandicelli, avremmo collaborato. Invece Luca mai collaborò ai falò, perché, ciò lo so, subivano la concorrenza sleale della messa, uffa. Io volevo il falò.
Il gioco dei falò, invece, non lo ricordavo assolutamente, ma giocare al falò dev’essere stato piuttosto divertente, anche se non quanto assistere a un falò.

Passano un sacco di giorni, e torniamo alla normalità, senza i falò, ma con un picnic. Ripensandoci, però, probabilmente avevamo acceso un focherello, quindi, anche se non era un falò vero e proprio, almeno assomigliava a un falò. Chiedo aiuto ai miei lettori perché la parola che ho traslitterato come “bosco”, probabilmente “bosco” non è. Non credo che sia falò, ma per colpa delle dannate cancelline (ci aveva ragione la maestra a combatterle!) non riesco a decifrare. La parola mancante potrebbe svelare il mistero del Lago dei Giardini, che, da quel che ricordo, è tutto tranne che nascosto, e che quindi non è proprio una scoperta.

Ah, dimenticavo: falò.

Sondaggione robottone

Per rinfrancar lo spirto guerrier ch’entro mi  rugge tra un chili e una tartiflette (potete immaginare in cosa consistano i ruggiti), parliamo ancora di robottoni. Per rallegrarmi le colazioni in questo momento, dopo il più che deludente Danguard, sto ripassando Il Grande Mazinga, pur avendolo già visto in tempi relativamente recenti. Voi, gente che suppergiù condivide la mia generazione e la sa lunga nell’argomento, cosa consigliate da vedere dopo?

Tenete conto che dei seguenti vincoli:

Illuminatemi.

Pinguini in cucina I: Chili con carne

cocopazzo.jpgPenso che dovresti cmq fare pinguini in cucina come rubrica
Cementino, 3 maggio 2010, ore 16.06

Che diamine, perché non ci ho pensato prima? Parlo sempre di cibo con tutti, mi piace un sacco mangiare e il mio status di gtalk è un cibo diverso ogni giorno da tipo tre anni. Certo, rimane il fatto che sono un cuoco men che mediocre, ma questo non mi ferma dallo sperimentare e dal divertirmi a provarci. Se poi la roba viene buona, tanto di guadagnato. Pinguini in cucina sarà quindi una sorta di racconto in salsa pinguinosa di ricette come le faccio io, ovviamente con considerazioni idiote e trattando i miei interlocutori come imbecilli. Cosa che, in realtà, è quello che vorrei i libri di cucina facessero con me.

Iniziamo col botto (letteralmente, capirete perché) con la mia specialità, il chili con carne. Cucina etnica, yuhuu! E poi sta arrivando l’estate e nessuno avrà voglia di roba calda e piccante e così quando tornerà il freddo tutti se ne saranno dimenticati. La so lunga, vero?

Prepararsi

Per cucinare il chili con carne per 2 persone abbondanti (abbondante il chili, non la persona. O perlomeno, non è strettamente necessario) o per una persona che ci mangi due volte, armatevi dei seguenti ingredienti:

E poi l’attrezzatura (questa è facile):

Cucinare

Eccoci qua. Facciamola a passi, così è più facile anche per voi che siete un po’ tardi.

1) Indossate il grembiule e tirate fuori tutti gli ingredienti. La seconda condizione non è obbligatoria ma tutti i cuochi dicono di farlo e io mi appecoro.

2) Sbucciate e tagliate la cipolla: attenzione, non fatela troppo fine, i pezzettoni ci stanno bene. Niente frullatore o tritatutto, dai, andate di coltello. Piangerete un pochino, se non volete che le vostre lagrime vadano sprecate pensate ai bambini sudanesi venduti come schiavi e al vincitore di Annecy 2009.

3) Prendete la pentola,  metteteci un po’ d’olio (abbastanza da ungere il fondo, non esagerate, non dovete friggere), scaldatelo di brutto e poi metteteci tutta la carne. Giratela a fuoco vivo fin che non diventa tutta bella bruna, bella tostata. E’ un passo importante altrimenti la carne poi viene fuori tipo bollita e fa un po’ l’effetto Ciappi. Per fuoco vivo e olio caldo, intendo dire di prendere il fornello più grosso che avete e di metterlo al massimo.

4) Abbassate il fuoco e ficcate dentro tutti gli altri ingredienti, nell’ordine che vi pare. Cipolle, fagioli, pomodoro, spezie, sale, tutto dentro. No, le tortillas no. E la carne l’avete già messa, non ricordate? Beh,  tutto dentro, mescolate e lasciate cuocere a fuoco medio basso per circa 40 minuti.Per la quantità di sale e di spezie, vi abbandono a voi stessi. Vi tocca assaggiare. E non fate i maschi alfa, suvvia: non esagerate col peperoncino che poi sembra che non sappia di niente e per mangiarlo vi tocca mettervi la cera fusa sulla lingua.

5) Durante la cottura ogni tanto girate e se il composto vi pare troppo asciutto (può succedere se non mi avete ascoltato come dovevate e avete preso carne troppo magra) dateci dentro di olio. Aggiungete acqua ogni tanto se si consuma troppo e rischia di bruciarsi. Potreste usare pure un coperchio per far consumare di meno, ma siccome non l’ho elencato nelle attrezzature la strategia vi è preclusa.

6) Quando sembra pronto, arriva il trucco magico: il chili deve riposare. Non ho mai capito bene quale sia il principio fisico-chimico alla base di questa alchimia, ma se spegnete il fuoco e fate riposare il piatto almeno dieci minuti e poi ci date ancora una scaldata, risulta più amalgamato e cremoso. Dirò di più: se siete previdenti e lo fate la sera prima e resistete alla tentazione di mangiarlo, il giorno dopo è migliore.

7) Ci siamo quasi. Quando giudicate la mistura pronta, lasciatela al caldo e passate alla tortillas. Se usate la padella, basta una rapida passata per scaldarla, ma capisco che sporcare una padella solo per quelle stupide focaccette di mais è una bella menata, allora potete anche metterle in forno. Occhio però che non si secchino troppo, altrimenti poi non riesci ad arrotolarle e ti si rompono in mano, e poi dici le parolacce. Ti conosco.

Mangiare, bere ed effetti collaterali

Se non avete voglia di sporcare troppe stoviglie vi basterà un cucchiaio di portata per servire, anzi, addirttura anche il cucchiaio di legno che avete già sporcato. Io però un piatto a testa ve lo suggerisco caldamente, morti di fame che non siete altro. Su, che intanto lava la lavapiatti. Ogni commensale metterà una quantità decente di chili in mezzo a una tortilla (a proprio gusto), la arrotolerà e mangerà con le mani. Occhio a non macchiarvi, questa sbobba tende a sfuggire dalle tortillas: ed ecco che un piatto capita a fagiolo.

Come accompagnamento bevereccio, trovo che il chili sia molto tollerante: io prediligo il vino rosso, magari leggero o addirittura frizzante (un Buttafuoco o una Bonarda, direi), ma mi pare evidente che i messicani lo bevano con la birra (anch’essa leggera e possibilmente frizzante). Non vedo niente di male a berlo anche col vino bianco (leggero e magari frizzante), anche se non ho mai sperimentato di persona. Per chi non beve alcolici, sono convinto che la Cocacola ci stia bene, basta che sia frizzante. Altrimenti, alas, anche l’acqua. Quella però non frizzante, dai. L’acqua gasata è malvagia.

Infine, sappiate quello che i libri di ricette non dicono mai. Il chili si digerisce bene, nonostante la cipolla, perché cuoce un bel po’. Tuttavia se lo mangiate la sera farete un bel po’ di puzzette durante la notte per la combinazione di carne e fagiuoli, e il giorno dopo probabilmente farete anche la popò un po’ molla. Non è nemmeno escluso che vi bruci un po’ il sederino. Ma non spaventatevi, ne varrà la pena.

Nota finale

Qualcuno nel chili ci mette anche i peperoni. Non io. Qualcun altro mescola la carte di manzo con un po’ di salsiccia. Non fa per me. Infine, c’è anche chi ci mette i genitori dei propri nemici tritati. Se fate i bravi, non credo di farlo.

(caso mai ve lo chiedeste, l’immagine Cocopazzo è (c) Golosino 2010. Amo quest’uomo)

Misteri della vita CIX: Veiculo longo

Quand’ero alle elementari, ad Alassio in inverno arrivavano le giostre. Arrivavano in Piazza Partigiani, allora un parcheggio a cielo aperto e adesso un parcheggio sotterraneo, arrivavano di solito per il ponte dell’8 dicembre e rimanevano fino a marzo o giù di lì. La piazza si animava di una varietà di intrattenimenti da mozzare il fiato (per un bambino di paese di 8 anni, va da sé): la sala-giochi semovente dove ho visto per la prima volta Dragon’s Lair, i dischi volanti, gli autoscontri, il punching-ball che ti dice “Ehi poppante, ritorna dalla mamma!” se sei scarso, persino la giostra dei bambini piccoli dove devi prendere il fiocco e dove il non plus ultra è stare su Goldrake. Non c’era invece il calcinculo, per qualche ragione che mai mi spiegai.

Io e i miei compagnucci ogni tanto bazzicavamo in zona giostre, anche se, per mancanza di danari nostri, ben raramente avevamo il privilegio di starci sopra. Finiva che, quando in zona, stavamo lì a guardarci intorno ed esplorare tutta quella roba strana, piena di luci e vagamente magica. In particolare, rifocalizzandoci sulla giostra dei bambini, dietro l’edicola del bigliettaio era rimasto attaccato il rimorchio del camion che trasportava quel mondo di balocchi. Su quel rimorchio campeggiava la scritta Veiculo longo.
Tale segnalazione mi faceva ridere perché erano invertite due vocali, e quindi pensavo che sicuramente doveva essere una delle due: a) qualche fessacchiotto si è sbagliato perché non è stato attento quando la sua maestra ha spiegato le vocali, ah ah che asino, oppure b) qualche buontempone ha spostato le due lettere, o addirittura solo il cappuccetto superiore della U in modo da farla diventare O, in modo da farmi ridere. Perché, va da sé, non era solo il supposto errore a far sghignazzare, ma anche e soprattutto il fatto che ci fosse scritto “culo”. Ah, ah, ha detto culo!

In seguito, ho però notato che la famigerata scritta è abbastanza diffusa in molti camion, soprattutto sui TIR, e mi è anche sovvenuto che probabilmente in spagnuolo “veicolo lungo” si dice “veiculo longo”, quindi si tratta semplicemente di un modo per adempiere al codice della strada iberico. E’ così?

(dovrei aggiungere la scimmia “domanda pretestuosa” quando ne metto una solo per condire uno sproloquio, nevvero?)

Potpourri enogastronomico con invettiva finale

Una delle mie idee estemporanee per riempire questo noiosissimo blog è stata di recensire i ristoranti dove ho mangiato male. Mi son detto: “Che diamine! Ci sono un sacco di ristoratori incompetenti, e io sarò il fustigatore dei costumi! Il terrore dei cuochi! L’avvoltoio dei risotti sciapi e il Balrog dei bistecchini duri!”. In realtà, però, sono abbastanza fortunato e ho abbastanza fiuto, perché mi vengono in mente solo due ristoranti in cui ho mangiato male abbastanza di recente. Per quelli più vecchi, diamo il  beneficio del dubbio che abbiano cambiato gestione o si siano dati una regolata. E c’è di più: ci ho paura che quei ristoratori scoprano che ho parlato male di loro e si arrabbino. A me non piace litigare, e tantomeno avere gente che mi riga la macchina perché ho detto che sono incompetenti, e poi sono un pusillanime, quindi niente fustigazioni, terrori, avvoltoi e tantomeno Flagelli di Durin. Facciamo così, io ammicco e voi capite, così salviamo capra e cavoli. E se tu che stai leggendo credi che io stia parlando del tuo ristorante, beh, ti sbagli, è quello del tuo nemico, quello che ti ruba i clienti e ha palpato il culo a tua sorella al mercato.

Il primo è a Genova Nervi, proprio all’inizio venendo dal centro, e si chiama con un semplice nome maschile, lo stesso di quello scrittore che come cognome ha il nome di mia sorella. E’ un ristorante sul mare e ci sono finito una domenica a pranzo, quando, nell’astuta tradizione genovese di tenere tutto chiuso nelle zone turistiche nelle belle giornate primaverili, non si trovava alternativa. Beh, poco dopo entrati ci siamo resi conto dell’errore ma era troppo tardi: il cibo era mediocre (spaghetti al cartoccio scotti e un po’ insapori), ma le condizioni igieniche erano disastrose un po’ ovunque. E dire che sulla scogliera di Nervi, terrazza sul mare, sarebbe anche un bel posto…

Il secondo, sempre a Genova, che ci volete fa’, sono (anti)campanilista, è in un luogo similmente panoramico e cattivo in modo diverso. Si trova a Righi, quindi in collina, in corrispondenza dell’arrivo della funicolare. Sì, proprio quello lì di cui avevate già sentito parlare male, invertite Maretriste per trovare il suo nome. Ci sono capitato in occasione di una serata classificata come America anni ’70 con menu americano tipico. Sulla carta bono, senonché…

Che poi, a ben vedere, a me piace mangiare e mi piace sperimentare (tranne che coi broccoli, quelli non li ho mai assaggiati perché so già che sono cattivi) ma per provare cose un po’ particolari fuori casa hai due possibilità: o vai in ristoranti etnici un po’ strani, o spendi un capitale in ristoranti di alto livello. Il primo caso lo faccio volentieri, giusto la settimana scorsa ho provato come si mangia in Senegal e mi son trovato bene a scoprire il cuscus di miglio (anche se il piatto del mio compagno di cena era più buono del mio, grrrr…), per il secondo… beh, insomma, prendete il menù che trovate sul sito dell’Enoteca Pinchiorri, uno dei ristoranti più celebri e rinomati d’Italia. Ci sono idee originali che mi incuriosiscono (ad esempio, l’astice  in crosta di mandorle all’ aglio, con uva all’ amaretto e passato di lattuga, o l’accostamento dei pesci con la crema al caffé, o ancora il piccione con mela cotogna e liquirizia), ma, che diamine, i prezzi. Capisco che in locali del genere non paghi solo il cibo ma anche il servizio, l’ambiente e pure il nome, il marchio, e capisco anche che, per chi è un amante della gastronomia, regalarsi una cena degustazione a 200 euro per 6 assaggi sia comprensibile. Trovo invece stigmatizzabile che nel menù alla carta ci sia il vincolo, così privo di classe, di ordinare almeno due piatti. E poi:
Uova in camicia con cavolfiore,  crostini e pancetta al tartufo nero   € 95,00
L’astice sopra citato ne costa 125, e quelli li ammetto. Ma qui sono du’ ovette col cavolfiore e pancetta! Ok, c’è il tartufo, ma non è manco quello bianco… A Pinchio’! Le tu’ ovette te le tieni!

Che poi non ce l’ho particolarmente con zio Pinchioretto, ma ha avuto la (s)fortuna di  essere l’unico ristoratore di alto livello che ho trovato a mettere nel sito a) un menu con i prezzi b) qualche paginina popup in html invece di un sito tutto in flash. Già, perché passi per la prima, so che c’è gente che per qualche misteriosa ragione pensa sia di cattivo gusto dire quanto si spende, ma non per la seconda. Non ho mai capito perché quasi tutti i siti istituzionali di locali, ristoranti, automobili, vestiti, tutto quello che si compra insomma, debbano essere in flash, rendendoli brutti, fuori standard, non linkabili, addirittura non visibili da iPhone. Chi se ne frega dell’interazione, se vado sul sito è perché cerco qualcosa, non voglio gli effettini o i giochini. Che sia maledetto flash, mi fa sbavare dalla rabbia!