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Misteri della vita CXIII: Senso unico

Qua sopra, per la vostra gioia, ecco i segnali stradali di senso unico in italiano, inglese e tedesco, e qui sotto, acciocché possiate felicitarvene, i cartelli di divieto d’accesso in italiano, inglese e tedesco.

La domanda l’avete già capita, so che siete svegli (quasi tutti, almeno): cos’ha di tanto speciale il senso unico da meritarsi una scritta, peraltro inutile perché il cartello è perfettamente comprensibile anche senza conoscere la lingua in questione?

Il Giornalino

Ma io non l’avevo mica capito, che il Giornalino fosse malvagio. Voglio dire, era un giornalino a fumetti con un nome particolarmente sciapo (sarebbe come chiamare un quotidiano Il Giornale, chi potrebbe essere così scemo da pensarci?) stampato dalle Edizioni Paoline, una casa editrice col nome buffo perché la mamma del mio amico Daniele si chiamava Paolina e parlava in modo buffo, ma per il resto mi pareva innocuo.

Certo, magari poteva mettermi in allarme il fatto che Il Giornalino fosse distribuito in classe con la maestra che raccoglieva i danari. Suor Maddalena non sponsorizzava mica tanto i fumetti: perché leggere Topolino  e Braccio Di Ferro quando si può leggere De Amicis o Silvio Pellico, o meglio ancora le lettere di San Paolo ai Circensi? Poteva anche farmi insospettire la presenza di rubriche dedicate alla religione, o la presenza di preti tra i redattori. Però non l’avevo proprio capito che fosse uno strumento di indottrinamento pensato per forgiare le giovani menti dei piccoli virgulti. Beh, con me non ci sono riusciti, per fortuna, probabilmente per merito dei cartoni giapponesi. Ma vediamo un po’ ciò che ricordo del Giornalino.

Micromino. Micromino faceva proprio cagare. Era la storia di un bambino povero contrapposto ai ricchi e viziati Vanessa e Lampisterio, ma che grazie alle proprie virtù l’aveva sempre vinta in storie autoconclusive. Ho un po’ di nausea. Purtroppo per me, leggendo la Storia Infinita di Michael Ende, mi raffiguravo Bastiano Baldassarre Bucci come Micromino. La cosa mi ha sempre fatto rabbia, ma quando ti raffiguri un personaggio di un libro in un certo modo, non c’è proprio possibilità di cambiare.

Nicoletta era il clone sfigato di Valentina Mela Verde. Questo l’ho scoperto di recente leggendo le deliziose tavole di Grazia Nidasio, ricche di una classe e di un’attenzione al mondo moderno che Il Giornalino non poteva proprio permettersi. Però Nicoletta, a modo suo, narrava le vicissitudini di un’adolescente con brio e un po’ di umorismo, e quella paginetta era sempre una delle prime che leggevo.

Le storie avventurose costituivano una metà abbondante dei fumetti del Giornalino. Dirò con un filo di vergogna che le saltavo praticamente tutte.  Alcune erano palesemente fuori moda persino negli anni ’80, essendo ispirate ai western bonelliani più vetusti, altre invece erano modellate sui telefilm americani del tempo, che non ho mai sopportato ora come allora (per quelli moderni è un’altra storia…). Ho scoperto solo da adulto la caratura dei nomi che lavoravano al Giornalino, da Sclavi a Toppi a Castelli a Tacconi…beh, io preferivo Geppo, che diamine! Mi pare di ricordare solo che leggessi Larry Yuma. Chissà perché proprio quello, era un western come tanti altri.

E poi c’era Pinky. Pinky, il coniglio rosa giornalista, è una striscia (a volte espansa a tavole o storie brevi) assolutamente folle e cartoonesca, ed è praticamente un capolavoro per la genialità che sprizza da ogni vignetta, per l’inventiva, le battute sceme e meno sceme, il disegno così iconico e perfetto per il tema e i colori pastellosi. Autore di Pinky era (è?) Massimo Mattioli, uno dei “cannibali” che tanto hanno dato al fumetto italiano a cavallo del 1980: nello spassosissimo Prima pagare poi ricordare di Filippo Scozzari ricorda come gli altri del gruppo deridessero bonariamente Mattioli perché “lavorava per i preti” sottintendendo che era costretto a fare roba poco seria. Ciononostante, lo dico sottovoce, Pinky secondo me è il vero gioiello di Mattioli, ha una grazia e un tocco lieve che manca nelle opere più adulte di questo autore. E rendiamo grazie al Giornalino per questo.

E infine, nell’ultima pagina c’era un’ulteriore storia umoristica in una tavola, un indiano chiamato Piccolo Dente. Mediocre anch’esso, e a ripensarlo anche un pochino razzista: beh, erano altri tempi, in tv c’era Arnold, il telefilm più razzista mai trasmesso.

Sono stupito di ricordare poco degli altri fumetti: occasionalmetne c’era qualche franco-belga, che però avevo già letto in altre edizioni (I Puffi e Asterix a puntate), ricordo anche qualche riduzione a fumetti di opere letterarie (la Bibbia, i Promessi Sposi, Gargantua e Pantagruel – quest’ultimo di Toppi, mi pare) e un fumetto sul calcio molto scemino che leccava il culo a Paolo Rossi e Bearzot chiamato Il torneo degli assi. Beh, mi rinfrescherete voi la memoria su ciò che dimentico.

Uscendo dal seminato dei fumetti, c’era una sezione sportiva piuttosto nutrita, e comprendeva due capisaldi: la nostra moviola, rubrica in cui venivano ricostruiti i gol del campionato in una singola vignetta (dal punto di vista tecnico del fumetto, è una sfida interessante ricreare l’azione con questi vincoli) e la Palla a Facchetti. Facchetti, ora noto come Facchètti grazie a Elio e le Storie Tese, rispondeva a domande sul calcio (o lo faceva il suo ghost writer, ciò è irrilevante) che venivano proposte dai lettori. Io scrissi alla Palla a Facchètti, chiedendo il bilancio delle sfide tra Juve e Roma. In realtà sapevo benissimo la risposta, ci avevo l’Almanacco del Calcio, ma il fatto è che le mie compagne di classe Silvia e Susanna avevano scritto a un altra rubrica di domande generiche (forse Susanna risponde o qualcosa di simile) parlando delle loro gare di corsa tra di loro, e non solo erano state pubblicate, ma avevano anche avuto l’onore di un disegnino. E io ero invidiosissimo. Facchètti non mi rispose, ed è da allora che odio Facchètti e regalo le sue figurine a Elio. Sì, l’invidia è il mio peccato capitale preferito.

Update: La sezione Pinky è stata aggiunta in seguito a segnalazione di MCP, che ringraziamo.

Martedì 3, giovedì 4

3 Agosto

Oggi Mario, io, Gabriele e Daniele siamo andati a fare una passeggiata fino al villaggio abbandonato abbiamo scoperto che un ponte e crollato, abbiamo mangiato more, abbiamo trovato una tana di una biscia, insomma ci siamo divertiti.

4 Agosto
Oggi io, Daniele, Gabriele, il belga abbiamo fatto le corse in bici.
La prima volta ho vinto.
La seconda sono arrivato terzo.
Nella seconda ha vinto il belga che si chiama fabrizio.

Queste due giornate passeranno alla storia come la trilogia dei peccati capitali. Infatti, ciò che le caratterizza è il mio essere il “cattivo” della storia tramite un vizio capitale. Non siamo ai livelli della storia della bottiglia di Cocacola, ma commetto certamente dei peccati mortali e quindi finirò all’inferno.

Il tre agosto, ovviamente, il peccato è l’invidia. Non mi era mai andata giù la passeggiata del 24 luglio, quella in cui non ho partecipato, sicuramente per fare i compiti , e probabilmente ho spaccato i marroni a Zio Mario per una settimana prima che mi accontentasse e mi portasse a quel cacchio di villaggio abbandonato. Loro avevano avuto la biscia e il temporale, io non potevo essere da meno: la biscia non l’abbiamo vista ma ne abbiamo trovato una supposta tana (ma esistono le tane di bisce?!?); il temporale non ce lo siamo potuti inventare però, cacchio, scoprire che un ponte è crollato è mica roba da tutti i giorni (anche se probabilmente era crollato tipo nel 1967). E in più noi ci abbiamo avuto le more! Ah! Vittoria su tutti i fronti!

Rileggendo il quattro agosto mi son vergognato da matti. Non per il chiaro razzismo nei confronti del belga, cosa assolutamente meritata e doverosa, ma per la superbia dimostrata tramite l’inganno. Metto le carte in tavola: ricordo benissimo quella gara, e ho barato. La corsa consisteva nel partire in bicicletta dalla chiesetta di Sant’Anna, andare fino al termine della strada asfaltata, in corrispondenza del Lago del Mulino e della casa di Cipulìn, e poi tornare indietro, il tutto cronometrato coi nostri possenti orologi digitali. Ebbene, io, che son sempre stato scarso in tutti gli sport, non sarei mai certamente arrivato primo se non avessi invertito furbescamente la marcia un decina di metri prima del punto previsto. Sono una persona orribile! Infatti, nella seconda gara sono arrivato solo terzo perché qualcuno (mi pare Daniele), insospettito dalla mia improvvisa bartalizzazione, mi ha seguito a distanza e non ho più potuto mettere in atto il mio diabolico piano. Moan, e mi son fatto battere da un belga…maledetti belgi!

Misteri della vita CXII: Brindiamo!

Nel triste panorama fornito dai servizi del telegiornale, non mancano mai quelli sulla cosiddetta “tassa sull’idiozia”, ovvero il gioco d’azzardo statalizzato: lotto, lotterie, superenalotto e fratelli minori (esisterà ancora il Totip? – no, non è questo il Mistero. Ma se volete rispondere, fate pure).

Esistono due tipi di servizi su questo argomento: prima della vittoria e dopo la vittoria. I primi si tengono quando il montepremi è alto o stanno per avvenire le estrazioni, e tipicamente consistono in interviste per strada ai passanti a cui si chiede: “Cosa farebbe se vincesse i duecento fantastiliardi in palio?”. Tutti a parlare di ville, viaggi intorno al mondo, beneficenza, e nessuno mai che risponda “Comprerei il Lesotho”.  Io comprerei il Lesotho per cambiarne il nome in “Terra dei Bruste e del Cioccolato” e per promulgare una legge che imponga lo studio dell’Enciclopedia Stronza a scuola e impedisca l’uso dell’aglio in cucina. Sì, nella stessa legge, che chiamerò “Il Decreto della Gongolanza”. La bandiera della Terra dei Bruste e del Cioccolato sarà una pizza al salame piccante, per confondere i nemici. Non una raffigurazione di una pizza su una bandiera, ma una pizza vera e propria.

Ma io divago. I servizi del prima sono quelli che non mi interessano. Parliamo invece del dopo. Tipicamente, il pezzo si svolge nel bar/tabaccheria dove è stata giocata la schedina. Ci si interroga su chi può essere il fortunato vincitore e tutti sono contenti, stappano lo spumante e brindano. Non hanno vinto un cazzo, ma brindano lo stesso. Che brindano a fare? Manco avessero un Lesotho come parco giochi personale…

Una vacanza avventurosa

Al fuoco!
Al ladro!
Fermate il ladro!
Polizia!
Mi lasci in pace/Lasciatemi in pace.
Non mi tocchi!
Chiamerò la polizia.
Dov’è la stazione della polizia?
Ho bisogno del vostro aiuto.
Posso usare il suo telefono?
Mi sono perso.
Sono stato derubato.
Mi hanno rubato la borsa/il passaporto/il denaro.
Ho perso il portafoglio.
Ho perso la carta di credito.
Non ho fatto nulla di male/sbagliato.
Si tratta di un malinteso.
Dove mi state portando?
Sono in arresto?
Sono un/una cittadino/a italiano.
Desidero parlare con l’ambasciata/il consolato italiano.
Voglio parlare con il mio avvocato.
Posso semplicemente solo pagare una multa adesso?

(si tratta delle sezioni Sicurezza e Autorità dei frasari turistici di wikivoyage. E, come avete visto, fanno riderissimo.)

Veri Uomini

Dalla visione del film The Expendables ho imparato che i Veri Uomini:

– fumano il sigaro
– girano in moto, aereo o al massimo pickup (basta che sia corazzato)
– hanno i tatuaggi
– non si drogano, e pare che nemmeno bevano alcolici
– non mangiano
– non tradiscono i propri compagni
– non giocano a basket
– giocano a freccette coi coltelli
– possono o no avere una ragazza, non incide sulla Verouomitudine, ma non hanno una famiglia
– non muoiono
– e vabbè, sparano, menano e ammazzano, ma questo era fuori discussione

Da ciò posso dedurre che io non sono un Vero Uomo. Vi dirò, ne avevo il sospetto.

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