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Il Giornalino

Ma io non l’avevo mica capito, che il Giornalino fosse malvagio. Voglio dire, era un giornalino a fumetti con un nome particolarmente sciapo (sarebbe come chiamare un quotidiano Il Giornale, chi potrebbe essere così scemo da pensarci?) stampato dalle Edizioni Paoline, una casa editrice col nome buffo perché la mamma del mio amico Daniele si chiamava Paolina e parlava in modo buffo, ma per il resto mi pareva innocuo.

Certo, magari poteva mettermi in allarme il fatto che Il Giornalino fosse distribuito in classe con la maestra che raccoglieva i danari. Suor Maddalena non sponsorizzava mica tanto i fumetti: perché leggere Topolino  e Braccio Di Ferro quando si può leggere De Amicis o Silvio Pellico, o meglio ancora le lettere di San Paolo ai Circensi? Poteva anche farmi insospettire la presenza di rubriche dedicate alla religione, o la presenza di preti tra i redattori. Però non l’avevo proprio capito che fosse uno strumento di indottrinamento pensato per forgiare le giovani menti dei piccoli virgulti. Beh, con me non ci sono riusciti, per fortuna, probabilmente per merito dei cartoni giapponesi. Ma vediamo un po’ ciò che ricordo del Giornalino.

Micromino. Micromino faceva proprio cagare. Era la storia di un bambino povero contrapposto ai ricchi e viziati Vanessa e Lampisterio, ma che grazie alle proprie virtù l’aveva sempre vinta in storie autoconclusive. Ho un po’ di nausea. Purtroppo per me, leggendo la Storia Infinita di Michael Ende, mi raffiguravo Bastiano Baldassarre Bucci come Micromino. La cosa mi ha sempre fatto rabbia, ma quando ti raffiguri un personaggio di un libro in un certo modo, non c’è proprio possibilità di cambiare.

Nicoletta era il clone sfigato di Valentina Mela Verde. Questo l’ho scoperto di recente leggendo le deliziose tavole di Grazia Nidasio, ricche di una classe e di un’attenzione al mondo moderno che Il Giornalino non poteva proprio permettersi. Però Nicoletta, a modo suo, narrava le vicissitudini di un’adolescente con brio e un po’ di umorismo, e quella paginetta era sempre una delle prime che leggevo.

Le storie avventurose costituivano una metà abbondante dei fumetti del Giornalino. Dirò con un filo di vergogna che le saltavo praticamente tutte.  Alcune erano palesemente fuori moda persino negli anni ’80, essendo ispirate ai western bonelliani più vetusti, altre invece erano modellate sui telefilm americani del tempo, che non ho mai sopportato ora come allora (per quelli moderni è un’altra storia…). Ho scoperto solo da adulto la caratura dei nomi che lavoravano al Giornalino, da Sclavi a Toppi a Castelli a Tacconi…beh, io preferivo Geppo, che diamine! Mi pare di ricordare solo che leggessi Larry Yuma. Chissà perché proprio quello, era un western come tanti altri.

E poi c’era Pinky. Pinky, il coniglio rosa giornalista, è una striscia (a volte espansa a tavole o storie brevi) assolutamente folle e cartoonesca, ed è praticamente un capolavoro per la genialità che sprizza da ogni vignetta, per l’inventiva, le battute sceme e meno sceme, il disegno così iconico e perfetto per il tema e i colori pastellosi. Autore di Pinky era (è?) Massimo Mattioli, uno dei “cannibali” che tanto hanno dato al fumetto italiano a cavallo del 1980: nello spassosissimo Prima pagare poi ricordare di Filippo Scozzari ricorda come gli altri del gruppo deridessero bonariamente Mattioli perché “lavorava per i preti” sottintendendo che era costretto a fare roba poco seria. Ciononostante, lo dico sottovoce, Pinky secondo me è il vero gioiello di Mattioli, ha una grazia e un tocco lieve che manca nelle opere più adulte di questo autore. E rendiamo grazie al Giornalino per questo.

E infine, nell’ultima pagina c’era un’ulteriore storia umoristica in una tavola, un indiano chiamato Piccolo Dente. Mediocre anch’esso, e a ripensarlo anche un pochino razzista: beh, erano altri tempi, in tv c’era Arnold, il telefilm più razzista mai trasmesso.

Sono stupito di ricordare poco degli altri fumetti: occasionalmetne c’era qualche franco-belga, che però avevo già letto in altre edizioni (I Puffi e Asterix a puntate), ricordo anche qualche riduzione a fumetti di opere letterarie (la Bibbia, i Promessi Sposi, Gargantua e Pantagruel – quest’ultimo di Toppi, mi pare) e un fumetto sul calcio molto scemino che leccava il culo a Paolo Rossi e Bearzot chiamato Il torneo degli assi. Beh, mi rinfrescherete voi la memoria su ciò che dimentico.

Uscendo dal seminato dei fumetti, c’era una sezione sportiva piuttosto nutrita, e comprendeva due capisaldi: la nostra moviola, rubrica in cui venivano ricostruiti i gol del campionato in una singola vignetta (dal punto di vista tecnico del fumetto, è una sfida interessante ricreare l’azione con questi vincoli) e la Palla a Facchetti. Facchetti, ora noto come Facchètti grazie a Elio e le Storie Tese, rispondeva a domande sul calcio (o lo faceva il suo ghost writer, ciò è irrilevante) che venivano proposte dai lettori. Io scrissi alla Palla a Facchètti, chiedendo il bilancio delle sfide tra Juve e Roma. In realtà sapevo benissimo la risposta, ci avevo l’Almanacco del Calcio, ma il fatto è che le mie compagne di classe Silvia e Susanna avevano scritto a un altra rubrica di domande generiche (forse Susanna risponde o qualcosa di simile) parlando delle loro gare di corsa tra di loro, e non solo erano state pubblicate, ma avevano anche avuto l’onore di un disegnino. E io ero invidiosissimo. Facchètti non mi rispose, ed è da allora che odio Facchètti e regalo le sue figurine a Elio. Sì, l’invidia è il mio peccato capitale preferito.

Update: La sezione Pinky è stata aggiunta in seguito a segnalazione di MCP, che ringraziamo.