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Cose che ho imparato ieri

Un post estemporaneo.

Le novità in DVD alla Feltrinelli hanno un sostanzioso sconto.

Per fare le orecchiette alle cime di rapa, è uopo strizzare quest’ultime dopo averle bollite.

Non esistono repository per Debian Stable per Postgresql 9.0. Damnit.

Count chocula è una marca americana di cereali in una serie ispirata ai mostri.

I corsi di cucina di Cooking Delpino puoi pagarli in anticipo o sul momento.

Questa settimana non hanno trasmesso un nuovo episodio di How I met your mother

Dal mio negozio di pesce surgelato preferito non danno più resto coi ticket ma ti invitano a prenderti una scatoletta di tonno per pareggiare i conti.

I bruste della sottomarca Primia in vendita nei supermercati Basko non sono un granché. Colgo l’occasione per ricordare che invece quelli Coop sono ottimi.

In Visual Studio 2010, trascinando un’immagine dall’area Solution Explorer a una pagina aspx, crea l’html del tag img relativo (questa potevo aspettarmela, però! Inoltre, pur avendoci pensato molto, mi son reso conto che è l’unica cosa che ho imparato al lavoro. Questo è male.)

Ci sono dei lavori in corso sulla passeggiata all’inizio di Nervi e tocca cambiar marciapiede.

La quinta puntata della prima stagione di Misfits è più debole delle precedenti.

Gli Staccapanni, i contenitori di vestiti usati a Genova, sono gestiti dal vescovado.

In qualiltà di illuminazione improvvisa, Mitsuru Adachi, che tanto amai da giovane, mi ha rotto i marroni. Uno di noi due è invecchiato.

Il film di Dylan Dog è incomprensibilmente ambientato a New Orleans.

Che dite, è stata una giornata fruttifera?

Misteri della vita CXVI: Le paste della domenica

Per un sacco di anni le domeniche sera della mia famiglia sono state dedicate alla “cena a casa della nonna”. Credo che un po’ tutte le famiglie abbiano riti simili, ma al nostro si aggiungevano menu abbastanza standard (ravioli e polpette in inverno, cima o vitel tonnée in estate) e, soprattutto, le paste (qualcuno le chiamerà “pastarelle”).
Non sono mai stato golosissimo di dolci, però le paste mi piacevano. Erano prese dal pasticcere Cacciamani che era bravino (*), oltre ad avere l’innegabile vantaggio di essere letteralmente a venti metri da casa di mia nonna, e di solito erano scelte da Zia Adelina, e più o meno erano sempre le stesse. C’erano le più popolari, tipo i bigné al cioccolato (le mie predilette) o le paste con la panna (le preferite di mia sorella), alcune che in qualche modo andavano via (le cosiddette “manine”, i cannoli, le paste alla crema) e quelle che non piacevano un granché a nessuno ma che chissà perché continuavamo a scegliere (i bigné verdi, mai capito a cosa fossero, forse al pistacchio?). E le paste con la frutta. Due. Intoccabili. Appena qualcuno si avvicinava a una di esse, Zia Adelina era in agguato a intervenire: “Fermo lì! Quelle sono per la mamma!” perché in effetti piacevano a mia mamma, la quale però più di una non ne mangiava. E quindi chi voleva la pasta con la frutta rimaneva a becco asciutto.

Purtroppo zia Adelina non c’è più, perché ora rimarrò per sempre con la curiosità di sapere
a) che fine faceva la seconda pasta alla frutta che rimaneva intonsa
b) perché diamine non prendevamo una o due paste alla frutta in più al posto dei bigné verdi)
(ma ho il sospetto che Zia Adelina si mangiasse sia la pasta alla frutta che i bigné verdi)

(*) Cacciamani fa anche l’unica focaccia al mondo che sia buonissima pur essendo lontana dai canoni della focaccia genovese, ed è l’unica focaccia edibile di Alassio. Sappiatelo, e aspetto la mancia da Cacciamani per la marchetta.

Gianni Merda

Sarete sorpresi di scoprire che non c’entra Gianni Morandi.

Tanti anni fa avevo un collega che si chiamava Gianni, e che veniva talvolta chiamato Gianni Merda.  Povero Gianni, direte voi, povero ragazzo vittima di colleghi crudeli che gli facevano bullismo (*). Beh, Gianni era in effetti un bravo cristo, e non era certo un ragazzo (avrà una ventina d’anni più di me), e soprattutto  l’occasionale soprannome (tirato fuori qua e là senza troppa pesantezza) non aveva nulla di insultante. E’ solo che Gianni stava bene come Gianni Merda. Ma gli volevamo bene.

Tre erano le specialità di Gianni:
1) Rimpicciolirsi quando beveva alcolici. Gianni si incurvava e progressivamente era sempre più minuscolo, fino quasi a scomparire.
2) Mettere il pepe sull’insalata.
3) Soprattutto, ripetere spesso le sue due battute preferite: “Microsoft Outciuck” al posto di “Microsoft Outlook” e “Io sono certificato Notepad”, quest’ultimo pronunziato come si scrive.

Ma perché vi racconto tutto questo? Perché Gianni ha influenzato molto la mia professionalità da programmatore. Ogni volta che devo inventare un nome di variabile o di file o un utente farlocco, dove gli altri usano “pippo” (o, se anglofoni, “foo” e le sue varianti), io uso “gianni”. E rivolgo un pensiero affettuoso a Gianni Merda.

(*) L’espressione “fare bullismo” è made in Daw. Diamo a Cesare quel che è di Daw.

Update!
Quando ho scritto il post, ricordavo che Gianni ripeteva sempre TRE battute, ma ne ricordavo solo due. Finalmente mi è sovvenuta la terza: quando qualcuno riceveva un sms, esclamava “Fighe, fighe”.

Pinguini in cucina VII: Fajitas di pollo eterodosse alle tre salse

Continuano le ricette esotiche da queste parti, questa volta su ispirazione del mio cuoco pseudo-iberico prefrito Serir. E siccome egli sta in Spagna e in Spagna parlano spagnolo, mi ha passato una ricetta messicana: i più attenti ricorderanno infatti che anche in Messico si parla spagnolo, ma, attenzione!, il Messico non è in Spagna. Confusi? Anch’io. La base della ricetta è quindi di Serir, a cui rendo omaggio, ma è stata elaborata e migliorata da me. Ad esempio, eliminando ogni traccia d’aglio.

Quindi oggi faremo le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse. Eterodosse perché non sono certamente quelle canoniche che mangiate al ristorante messicano, e che sono pur pregevoli; di pollo perché c’è il pollo e alle tre salse perché metteremo su ben tre condimenti per il vostro delizioso piatto.  Siete pronti? Ottimo!

Prepararsi

Per fortuna stasera Ignazio è andato a cagare il cazio a qualcun altro, e Clarabella aveva il suo torneo di canasta marinara. Quindi, per tenerci compagnia, invece di accendere MTV, oggi canteremo.  Musica italiana, su, che siamo in periodo di anniversari. Scaldiamoci l’ugola con Alla fiera dell’est di Angelo Branduardi. Non siate timidi, su con quelle corde vocali! Per due soldi, un topolino mio padre comprò. Forza, non siate timidi!

Ingredienti per due persone abbondanti, o una persona per due volte, abbondanti anch’esse:
– tortillas: le stesse del chili con carne. Andate per documentarvi, ma poi tornate qua. Per queste dosi ve ne servono otto.
– un petto di pollo intero, non a fette. Circa 400 g, se è più grosso surgelate il surplus, altrimenti poi mi ingrassate.
– un peperone rosso e uno giallo, che fa più colore
– funghi sciampignoni, freschi o surgelati, circa 50 g (ma anche di più o di meno a seconda dei vostri gusti)
– una birra da battaglia. Ma non esagerate con la tirchieria, non scendete sotto la Moretti. La Dreher no, pietà!
– una scatola piccola di fagioli in scatola (rossi o neri, se li trovate, altrimenti anche borlotti). Per “piccola” intendo una di quelle che vendono in blocchi da tre. Le altre due le mangerete un’altra volta.
– formaggio tipo Galbanino, grattugiabile ma dal sapore non troppo deciso. Oh, insomma, Galbanino e basta. Circa 50 g.
– una cipolla media e una grossa. O due cipolle medie e una piccola. O due cipolle grosse e ne avanzate un po’.
– un avvocato maturo. Fate pure, se volete, battute sui professionisti brizzolati.
– succo di limone. Come per la ricetta dell’insalata brasiliana
– olio EVO: non è strafico poter dire EVO come i professionisti?
-sale
-pepe
-zenzero in polvere
-paprica
-origano
-peperoncino

Per quanto riguarda l’attrezzatura avrete bisogno di:

– un padellone gigante e dai bordi anche un po’ alti
– uno scodellone per marinare
– coltellino affilato e tagliere
– due  o tre scodelline da servizio: su, tirate fuori quelle buone, altrimenti rimangono lì nell’armadio a prendere polvere per sempre.
– un piatto fondo
– forchette e coltelli assortiti
– cucchiaio di legno
– un fornello
– frullatore (sì, andiamo sul difficile…)
– una grattugia
– il vostro amato grembiule

Pronti? via!

Cucinare

Innanzitutto, mariniamo e cantiamo Piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Prendete il petto di pollo e tagliatelo a cubetti abbastanza piccoli, diciamo 1 cm di spigolo. Metteteli nella scodella da marinatura e versatevi la lattina di birra da battaglia insieme a origano e peperoncino. Qui va anche un po’ a vostro gusto, potete sbizzarrirvi nelle marinate: tequila, altre spezie, banane, guano di pipistrello, gattini, smeraldi . Vedete un po’ voi, io uso solo birra, origano e peperoncino (manco troppo). Deve marinare almeno una mezzoretta, quindi fatelo per primo. Ma io questa cosa qui,  mica l’ho mai creduta…

Passiamo ora alla prima delle tre salse, il guacamole. Vi ho già detto che non amavo l’avvocato, ma ora l’ho scoperto e sono un uomo più ricco? Bene. Allora, innanzitutto lasciate stare l’avvocato e tagliate finemente la cipolla media, più finemente possibile. Vi concedo anche l’uso del frullatore, se volete. Ora sì, potete prendere l’avvocato maturo; sbucciatelo e tagliatelo a pezzettini, mettendoli in un piatto fondo, e bagnatelo subito con un poco di succo di limone altrimenti diventa nero e poi il vostro ospite vi lascia con un palmo di naso.  Schiacciatelo con una forchetta e con un po’ di pazienza, ci vorrà qualche minuto in modo che sia amalgamato il più possibile, poi aggiungete la cipolla tritata e un pizzico di sale. Contemplate la vostra opera e cantate Azzurro. Se siete persone di classe, metterete il guacamole così fatto in una delle scodelline da portare in tavola, se invece, come me, siete delle persone orribili, porterete in tavola il piatto fondo.

Prima di fare le altre due salse, che sono facili, imbastiamo la parte forte del piatto, che chiameremo il Mescolone. Per prima cosa, tagliamo la cipolla grossa, a pezzettoni generosi, e i peperoni, a pezzi normali. Non c’è il leone, chissà dov’è. Li mettiamo nel padellone con dell’olio come si deve, li saliamo immediatamente acciocché caccino via l’acqua, e li facciamo andare a fuoco basso. I funghi per ora no, ma se li avete presi interi, lavateli e tagliateli a lamelle ora. Li aggiungerete più tardi, ora fate i bravi e passate a La solitudine di Laura Pausini.

Ci vorrà un pochino, perché, come sapete a me i peperoni piacciono ben cotti, quindi nel frattempo potete preparare le altre due salse. Scolate parzialmente i fagioli in scatole, e toglietene circa un quarto.  Questi li fate asciugare bene, mentre i rimanenti tre quarti li frullate col loro brodino. Vrrrrr! Chissà se tu mi penserai, se con i tuoi non parli mai. Vrrr! Oh, che disdetta, il frullatore ha coperto la Pausini. Mettete la crema così ottenuta  in una delle  scodellina da servizio e aggiungete i fagioli interi. Schiacciateli un pochino, ma lasciate qualche pezzettone, fidatevi che va bene così. Ed ecco fatta la fagiolada.

Infine, il formaggio. Prendete il galbanino, e con pazienza grattatelo con la grattugia. Inveirete un pochino perché è mollo e vi si sbriciola in mano, ma voi intanto state cantanto Dieci ragazze di Lucio Battisti e il mondo vi sorride: Mat-to! Quello è proprio matto perché, forse non sa… Ottimo, il formaggio così ottenuto va nella terza scodellina da servizio. Non siete fieri di voi? Purtroppo, mentre preparavate il formaggio vi ha telefonato Ignazio per farvi notare che questa non è tecnicamente una salsa, quindi dovreste chiamare la ricetta “fajitas di pollo eterodosse alle due salse più Galbanino grattuggiato”, ma fortunatamente voi cantavate troppo forte e non avete sentito il telefono.

Nel frattempo i peperoni e la cipolla si sono cotti a metà, e potete aggiungere i funghi. Salate ancora un pochino e fate andare a fuoco medio-basso finché non si sono ammorbiditi. L’operazione verrà allietata da quella gran bella canzone che è Felicità di Al Bano e Romina Power. Un bicchiere di vino con un panino è la felicità. Ci avviciniamo alla fine: torniamo alla marinata e la scoliamo bene. No, quella birra non la potete bere. Mi raccomando a non lasciare troppa birra residua, altrimenti ci metterà un’eternità ad asciugarsi e poi fa un po’ troppo pappone. Alziamo il fuoco a manetta e aggiungiamo quindi al mescolone globale il pollo sussurrando le immortali parole del Lucio Dalla di Disperato, erotico stomp: Sono molto preoccupato, il silenzio mi ingrossava la cappella. Aggiungete al mescolone le spezie rimanenti: paprika, pepe, ancora un po’ di peperoncino (non esagerate!) e zenzero. Mi raccomando lo zenzero: dà il tocco vincente al piatto, credetemi. Salate ancora un pochino se è il caso (assaggiatelo, dai!) e poi fate consumare il liquido in eccesso.

Mangiare, bere e impatto anale

Le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse si servono con le tortillas. Dateci una scaldata veloce in forno, padella o microonde (appena appena, mi raccomando, non fatemele divenire croccanti). Poi ogni commensale (o solo voi se siete da soli. D’altronde, dopo avervi sentito cantare nessuno si stupisce se siete soli soletti) si mette una tortilla nel piatto e ci spalma sopra le salse che preferisce.  Ci stanno bene anche tutte e tre insieme, ma se preferite ne potete utilizzare anche due  o addirittura una alla volta. Tuttavia il senso del piatto è il mischiaggio globale, quindi è meglio se ci mettete un po’ di tutto. Metteteci poi una cucchiaiata o due di mescolone, e avvolgete. I più audaci mangeranno con le mani, e si sporcheranno non poco. Niente di male, in questo, ma io preferisco usare coltello e forchetta. Gnam.

L’accompagnamento più naturale del piatto è la birra, possibilmente di tipo fresco e leggero. Non storcete il naso, se volete sbronzarvi basta berne qualcuna di più, dov’è il problema? Non riesco proprio a immaginare nessuna bevanda differente, quindi, se non bevete alcolici, zitti e acqua.

L’impatto anale è piuttosto pesante. Il guacamole contiene cipolla cruda, e l’avvocato stesso non è mica leggerissimo; nel mescolone ci sono un sacco di cipolle e di peperoni; avete mangiato poi fagioli e formaggio, e un sacco di spezie strane; e poi scommetto che siccome la birra era leggera ne avete bevute un sacco. Beh, ecco le buone notizie per voi: vi rimarrà tutto sullo stomaco, suderete, farete puzzette, probabilmente avrete anche l’alito cattivo e le cipolle trasuderanno dalla pelle. Quindi, se volete sconfiggere le tentazioni della carne, le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse sono il vostro migliore alleato!

Ancora un grazie di cuore a zio Serir per la ricetta originale, anche se la sua era meno buona perché c’era l’aglio.

Doppio senso unico

Un racconto filosofico scritto da Golosino e nato da una nostra conversazione. Ché quando chattiamo, io e Golo, mica parlamo di calcio!

Due filosofi, uno coi baffi e l’altro senza, viaggiano per le strade della città a bordo di un’Alfa 33 verde scuro del l’87. Quello coi baffi sta alla guida, mentre l’altro si limita a guardare un pupazzetto di Elvis appoggiato sul cruscotto, di quelli con la testa che vibra a ogni scossone.
A un tratto, dopo che l’auto imbocca una stradina a una sola corsia, il filosofo senza baffi alza lo sguardo ed esclama: “Sai, stavo riflettendo”.
“È un’attività ammirevole”, commenta il filosofo coi baffi girando a destra e immettendosi in un viale più grande. “E su cosa stavi riflettendo, esattamente?”.
“Sul concetto di doppio senso unico”, risponde l’altro con sguardo trasognato.
“Interessante” osserva il filosofo coi baffi, “Vai avanti”.
“Se ci pensi, tale concetto implica allo stesso tempo un doppio senso e un controsenso”, gli spiega  il filosofo senza baffi. Dopodiché si interrompe perché si distrae a guardare le grosse tette di una ragazza che cammina sul marciapiede.
Il filosofo coi baffi non si accorge della maggiorata, ma in compenso rimane profondamente colpito da questa riflessione. “Spiegati meglio. Te ne sarei grato”.
“…”.
“…”.
“Ehi”.
“Eh?”
“Ti ho chiesto se mi puoi spiegare cosa intendi. Ti spiace?” ribadisce un po’ seccato il filosofo coi baffi, e nel frattempo inchioda per non andare a sbattere contro una Vespa che gli ha tagliato la strada.
“Oh, sì sì. Scusa tanto…” si riprende il filosofo senza baffi, “…sai, mi ero distratto a riflettere sulla rilevanza del termine Wille zur Macht all’interno del pensiero nietzschiano”.
“Ebbene, questo doppiosenso unico?”, taglia corto il filosofo coi baffi.
“Ma certo. Ti dicevo: il concetto di doppio senso unico è innanzitutto un doppio senso, perché in esso il termine senso è utilizzato sia nell’accezione di significato che di senso di marcia”.
“Ciò che dici è vero”, gli concede il filosofo coi baffi.
Nel frattempo, l’auto passa su un pavé e il pupazzetto di Elvis comincia a ballare l’hula hop sul cruscotto.
“Allo stesso tempo, però” prosegue l’altro, “un doppio senso unico è anche un controsenso, perché un senso unico non può essere doppio, ovvero prevedere un senso unico di marcia in una direzione e un altro senso unico nella direzione opposta, perché in questo modo non sarebbe più un senso unico, bensì un doppio senso”.
“Aspetta un attimo” lo interrompe il filosofo coi baffi, confuso, “ma tu hai appena detto che è anche un doppio senso”.
“Beh, sì…” risponde imbarazzato il filosofo coi baffi, “O meglio, è un doppio senso perché è un concetto che ha due significati, ma non perché ha due sensi di circolazione”.
I due rimangono in silenzio per un po’, assorti nel traffico che li circonda e nelle loro complesse elucubrazioni. Poi, quando poco dopo l’auto si ritrova ferma in coda a un semaforo, il filosofo coi baffi azzarda: “A questo punto, si potrebbe dire che il doppio senso unico è un doppio doppio senso, da un lato perché è un concetto che si fa carico di due significati distinti, dall’altro perché in quanto senso unico in entrambe le direzioni, è a tutti gli effetti anche un doppio senso di circolazione”.
Il filosofo senza i baffi si tormenta le mani a lungo, sconvolto dalla piega che la conversazione sta assumendo.
“Direi proprio di sì”, concede. “Ma ahimé, non solo”.
“Che cosa intendi?” lo guarda stupito il filosofo coi baffi, distogliendo gli occhi dalla guida.
“Intendo dire che è anche un doppio controsenso, poiché è tale sia in quanto concetto contraddittorio – dato che come abbiamo già detto un senso unico di marcia non può essere un doppio senso-, sia perché in quanto senso unico è anche un senso contrario, dato che percorrendolo in direzione contraria, si finisce per viaggiare, per l’appunto, contro il senso di marcia”.
“Per di più” aggiunge il filosofo coi baffi, “è un doppio controsenso anche perché, essendo un senso unico in entrambe le direzioni, allo stesso tempo dev’essere anche un senso vietato in tutte e due le direzioni”.
“È stupefacente”, commenta il filosofo senza baffi.
“Puoi dirlo forte” assente il filosofo coi baffi, tornando a guardare la strada.
“Il doppio senso unico è sia un doppio doppio senso, sia un doppio doppio controsenso. Tutto ciò mi porta a concludere che lo stesso concetto di senso, e quindi anche di senso unico, doppio senso e controsenso, non abbiano alcun significato”.
“Per Diana, è lo scacco della Ragione”.
“Già. Sono senza parole”, conclude il filosofo senza baffi.
E come a sottolineare quest’ultima affermazione, i due rimangono in silenzio svariati minuti, del tutto smarriti.
Tuttavia, a un certo punto il filosofo coi baffi si rende conto di essersi perso anche in senso fisico, poiché non sa più in quale parte della città si trovi, così chiede al filosofo senza baffi: “Senti… e ora dove dobbiamo andare?”.
“Di là, mi pare”, l’altro fa cenno con il dito verso una stradina.
“Ma non posso entrare da qui: guarda il cartello, è un senso unico nell’altra direzione. Ovvero è per noi un controsenso”.
“…”.
“…”.
“Mi pareva, però, che avessimo concluso che il concetto di senso unico fosse in realtà un controsenso”, argomenta il filosofo senza baffi.
“È vero, hai ragione”, assente il filosofo coi baffi. “Andiamo”.
I due filosofi si fiondano con l’auto nel senso vietato, senza troppo preoccuparsi della segnaletica stradale.
Nel mentre, però, un furgone con a bordo due muratori, uno coi baffi e uno senza, sta percorrendo quella stessa via nella corretta direzione di percorrenza.

E ora, scegli il finale della tua avventura filosofica! Ecco, a mo’ di esempio, il finale immaginato da Golosino.

Il muratore coi baffi dice che ha appena visto passare per strada una bella topolona, al che quello senza baffi commenta con un rutto. Né i filosofi, né i muratori si accorgono che i due veicoli si stanno venendo incontro ad alta velocità, dato che i primi stanno guidando in contromano, così nessuno riesce a fare niente per evitare lo scontro frontale.

Nello schianto, i muratori si salvano perché avevano le cinture allacciate, e l’assicurazione gli pagherà pure i danni perché avevano ragione. I filosofi invece rimangono feriti mortalmente perché erano a bordo di una carretta, e muoiono sul colpo senza essere riusciti a cogliere il senso della propria esistenza.

Ma voi come la fareste finire?