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Annecy 2011 parte IV: Cosa c’era di bello (corti fuori concorso)

Quest’anno, niente corti di scuola, e ho perso uno spettacolo su quattro di quelli fuori concorso. In compenso, le rassegne mi sono piaciute e ho visto e rivisto alcune cose interessanti. Ma, con ordine, partiamo da qualche citazione dai corti fuori concorso.

Bisclavret (Émilie Mercier, Francia) è una favoletta di licantropi in stile un po’ iconico-medievale, e ha la grossa curiosità che i cattivi, anche se sconfitti, non vengono puniti come meritano;  il finale di “vissero felici e contenti” è addirittura dedicato a loro. Dripped (Léo Verrier, Francia, immagine a sx) è invece un’originale corto su Pollock, rappresentato come un ladro di quadri che se li magna ma che non sa disegnare ed è per questo che finisce per pollockare (foto a sx). Oltre a quello in concorso abbiamo un altro Zaramella, En la opera (Juan Pablo Zaramella, Argentina) anche se vecchiotto, e fuori concorso. Una gag, anche abbastanza divertente, in tecnica plastilinosa, ma solo una gag. Un antibrivido di eccitazione grazie a La Femme du lac (Mathilde Philippon-Aginski, Francia): una tizia si mette dei pesci nella passera e non si capisce perché, ma ci si annoia.  Ero molto curioso di vedere Mourir auprès de toi (Spike Jonze, Simon Cahn, Francia, a destra), un corto animato del celebre regista Spike Jonze. Boh, niente di che, abbastanza divertente ma banalotto (personaggi che escono dai libri) e realizzato in una stop motion un po’ grezza. Bella sorpresa invece per Muzorama (Elsa Brehin, Raphaël Calamote, Mauro Carraro, Maxime Cazaux, Émilien Davaud, Laurent Monneron, Axel Tillement, Francia, a sinistra): una serie di ritratti surreali con un grosso debito alla visionarietà di Dalì ma con un’estetica completamente diversa. Molto originale, è piaciuto molto.  Grazie a Oh, Paris! (Oleksandr Shmygun, Ucraina, a destra) ora sappiamo che le vecchie ucraine muoiono appena arrivano a Parigi. Siano avvisate. Rullo di tamburi per Sergei Prokofiev (Julia Titova, Russia, Bielorussia): si tratta di una biopic, o meglio biocorto (da non confondere con bioparco) sull’omonimo compositore russo. Non è incredibile la coincidenza? Hanno fatto un corto intitolato “Sergei Prokofiev” e parla proprio di Sergei Prokofiev! E’ straordinario! Facezie a parte, è un buon lavoro. The Gentleman’s Guide to Villainy (Aidan McAteer, Aurélie Cauthier, Irlanda) riprende un topos e, nello stile dei vecchi film muti (o, perlomeno, di quello che crediamo che siano essi oggi), fornisce una guida umoristica ai cattivi di tali film, in questo caso su “come legare la fanciulla inerme sulle rotaie”. Carino, se ne potrebbe fare una breve serie. Per concludere le segnalazioni, un caveat: The White Snake (Ying Fang Shen, Taiwan).  Ho cercato in tutti i modi di dormire durante questa pallosissima favola calligrafica orientale. Non ci sono riuscito. Volevo morire. Non ci sono riuscito. Meno male.

E ora parliamo un po’ delle rassegne. Quest’anno era l’anno degli Stati Uniti, che rappresentano probabilmente la nazione con maggior produzione di animazione al mondo insieme al Jappone (nonché la culla di gran parte dell’animazione moderna). Una rassegna dedicata a questa nazione, quindi, doveva fare una scelta ben precisa, che, a mio parere, è stata parziale e non molto azzeccata. Ci sono stati ben tre programmi dedicati agli Oscar durante gli anni. Ne ho visti due, e ho apprezzato entrambi: uno era una rassegna di alcune opere dagli anni ’70 a oggi. Molte cose le avevo già viste, ma fa sempre piacere rivedere Tango (sul grande schermo, poi. Peccato abbiano proiettato una VHS!), Anna & Bella (foto a sinistra, se non l’avete mai visto correte a cercarlo, è meraviglioso!), persino Crac!, suvvia. Ho anche avuto occasione di vedere il vincitore dell’anno scorso, Logorama, che mi mancava. L’altro programma invece era dedicato a cose più vecchie: un po’ di pallosette Silly Simphonies, e poi una serie di vistissimi ma mai abbastanza Warner Bros e UPA. Adorabile. Meno interessante un altro programma che ho visto dedicato agli indipendenti (un sacco di PES e suoi emuli, ma quasi tutto dimenticabile), e imbarazzante (per me) la proiezione del film The adventures of Mark Twain. In questo seminale film di Will Vinton (foto a destra), ho dormito dall’inizio alla fine. Svegliandomi nei titoli di coda e leggendoli mi son chiesto: “Ma davvero c’era Indiano Joe? E Adamo ed Eva? Fiiico!”. E’ vero che avevo fatto tardi la sera prima ed era verso la fine del festival, quando si inizia a essere stanchi, ma è stato abbastanza ignominioso. Comunque mi dicono che non valesse una sega. Infine, ho avuto anche occasione di rivedere un po’ di fratelli Fleisher: la trilogia di Popeye e le Mille e Una Notte più qualche altro corto sparso. Roba datata, ma sempre gradevole.
Al di là della nazione dell’anno, c’erano i soliti Morti (il programma dedicato agli autori morti durante l’anno, mai visto uno!), il solito Politically Incorrect (che ormai mi sta sui marroni, trovo che il Politically Incorrect consapevole sia ancora più atteggiato ed ipocrita del Politically Correct – che comunque è ormai passato di moda!) e inoltre una bellissima sorpresa: The world of Flying Machine. Si tratta di un progetto polacco (sì! sempre loro!) dedicato al compositore Frederick Chopin, che qualcuno potrebbe aver sentito nominare. Una dozzina abbondante di cortometraggi sono legati dal fil-rouge della musica di questo autore e dall’immagine visiva di un pianoforte volante che compare in tutti i corti, a volte come guest-star, a volte come cameo, a volte come protagonista. E’ particolare degno di menzione il primo e più lungo corto, Magic Piano di Martin Clapp, realizzato addirittura in 3D (a sinistra), che seppur un po’ troppo lungo lascia davvero a bocca aperta, ma la qualità media dei corti è molto alta e così anche la varietà di tecniche e registri utilizzati. Si esce dalla proiezione un po’ storditi dal piripì di Chopin, ma un sacco contenti.

E insomma That’s all folks. Mi sono divertito un sacco e ci risentiamo tra un anno! Tremate.

Annecy 2011 parte III: Cosa c’era da vedere (cortometraggi in concorso)

Ed eccoci al piatto forte di ogni festival che si rispetti, i cortometraggi. Una piccola invettiva & lamentazione: ci hanno tolto la nostra amatissima proiezione dei corti in concorso alle 21 in Grande Salle, spostando la proiezione principale alle 18, e anticipando quella successiva alle 20.30. Siccome i corti in concorso, che spesso hanno il regista in sala, finiscono per durare un po’ più a lungo, ecco che le nostre cene si sono progressivamente ridotte.

Ma ecco cosa mi ha colpito, nel bene e nel male, in ordine alfabetico:

A Lost and Found Box of Human Sensation (Martin Wallner, Stefan Leuchtenberg, Germania)
Il mio vincitore di quest’anno. E’ una dolorosa e spietataa autoanalisi di una persona che ha subito un lutto. Non so se si autobiografico di uno degli autori, ma credo di sì, perché suona molto sincero e con un che di terapeutico. Mi ha colpito molto, come dicevo, ma probabilmente solo a me.

A Morning Stroll (Grant Orchard, UK)
Una storia raccontata in modo simile in modalità 1959, 2009 e 2059, in un crescendo di senso dell’assurdo. Nel 1959 la gente è gentile e in bianco e nero, nel 2009 è a colori e ascolta gli iPod, nel 2059 ci sono gli zombi e i fiori giganti, e siccome ci sono gli zombi lo devo citare. Ha vinto il premio Jeunesse.

Big Bang Big Boom (BLU, Italia)
Toh, un italiano, l’unicissimo italiano selezionato, vince un premio ad Annecy! Nello specifico, il Premio Speciale della Giuria (il secondo posto, insomma). A me il primo corto di BLU stava sui marroni, non amo i graffiti come espressione artistica e il suo corto mi era parso comunque molto inconcludente: c’è l’idea di animare i graffiti, appunto, e basta, poi procede a casaccio. Qua c’è un filo conduttore più netto e qualche idea in più, ma ho visto di molto meglio.

Chroniques de la poisse (Osman Cerfon, France)
Candidato alla Ghisa di Annecy (il corto che verrà ricordato e non è molesto, pur non avendo alcuna possibilità di vincere), invece un premietto se l’è preso, quello Canal+ che poi sono anche soldini. Un pesce antropomorfo, quando gli vengono fatti dei torti, emette bolle di infelicità che causano un sacco di disgrazie. E’ divertente però soprattutto perché parla male degli scout.

Conto do vento (Claudio Joardao, Nelson Martina, Portogallo)
Due genovesi in sala si son persi un buon minuto di questo corto perché ridevano come degli scemi dopo la prima frase: “U ventu è lo shpiritu du tempo” pronunziata con perfetto accento zenese. E comunque tra i vari portoghesi in concorso questo era il migliore: un disegno aspro per una storia di streghe e superstizione.

Kamene (Katarina Kerekosova, Ivana Šebestova, Slovacchia)
Kamene, ovvero la versione a pupazzi di Dancers in the dark in una cava di pietra. Un musical, quindi, su una storia tragica di uomini rudi, donne disperate, tradimenti e omicidi su uno sfondo aspro e più grigio che mai. A me è piaciuto molto, ma è piaciuto solo a me (e ai selezionatori dei corti, suppongo). La cantante sembra la stessa di Jonah/Tomberry di Rosto.

La Détente (Pierre Ducos, Bertrand Bey, Francia)
Un altro dei miei vincitori personali, forse perché tocca uno dei miei grandi pallini (la I guerra mondiale). Un soldato in trincea, per sfuggire all’inferno che lo circonda, trasfigura nella sua immaginazione il campo di battaglia in una sorta di luna park. Ma l’orrore è talmente grande che nemmeno la sua mente riuscirà a scappare.

Luminaris (Juan Pablo Zaramella, Argentina)
Meritatissimo vincitore del premio del pubblico e del premio FIPRESCI (giornalisti), Luminaris è una pixilation come si deve, fluida pur essendo surreale, per una storia ricca di gag e a modo suo anche tenera e commovente. Una menzione speciale al capufficio ciccione che si arrabbia.

Maska (Timothy Quay, Stephen Quay, Polonia)
Il corto polacco delle barzellette. Lunghissimo, a pupazzi, con colonna sonora stridente (gneeek! gneeek!), storia – pare – assurda e addirittura già vista. Dico “pare” perché mezza sala ha lasciato il cinema prima che iniziasse, e io stesso mi sono arreso dopo pochi minuti. Un po’ me ne pento, ma ci avevo fame e Maska era troppo. Incredibilmente, ha vinto il premio per le musiche, ma per me è il vincitore del “Corto molesto” dell’anno.

Millhaven (Bartek Kulas, Polonia)
Ho un piccolo pallino per Murder Ballads di Nick Cave & the bad seeds, quindi quando ho capito, dopo un paio di versi, che si trattava di una messa in scena ricantando The curse of Millhaven a mo’ di filastrocca, sono andato in sollucchero. Solo io in tutta la sala, temo. :)

Paths Of Hate (Damian Nenow, Polonia)
Bellissimo, Paths of Hate. Ovazione del pubblico e certezza di un premio, che però è arrivato solo in qualità di Menzione Speciale (terzo premio). Meritava di più, ma non passerà indimenticato. Paths of Hate è un funambolico scontro tra due aerei durante la Seconda Guerra Mondiale, durante il quale i due piloti perderanno progressivamente tutto ciò di umano che hanno, fino a sublimare nel finale. Non ci sono parole per descrivere la quantità di idee di regia e di animazione che ci sono in questi pochi minuti. Va proprio visto.

Pixels (Patrick Jean, Francia)
L’inaspettato Cristallo di Annecy per i cortometraggi gira da un paio d’anni per internet e l’abbiamo visto tutti. Potrebbe anche essere finito sulla colonnina infame di Repubblica.it tra lo scoiattolo che sbadiglia e le chiappe di Pippa. Per carità, è divertente e ben fatto (e la scena del tetris è davvero geniale), ma di lì a essere un primo premio ce ne passa, visto che di roba bella ce n’era non poca quest’anno. Un po’ di delusione, quindi.

Sudd (Erik Roselund, Svezia)
Primissimo corto visto quest’anno, è una produzione quasi tutta dal vivo in un bellissimo e suggestivo bianco e nero con qualche incursione di animazione tradizionale. Lo si può definire come Take on me che incontra un film di zombi. L’attrice è enorme e graziosissima e a me i film di zombi piacciono un sacco quindi me lo sono goduto un sacco.

Świteź (Kamil Polak, Polonia, Francia, Danimarca, Canada, Svizzera)
Rapida citazione per Świteź perché ha vinto un premio come opera prima e perché è visiviamente molto interessante, riprendendo l’estetica bizantina per narrare di una città perduta (in modo piuttosto confuso, va detto).

The Monster of Nix (Rosto, Olanda, Francia, Belgio)
Si tratta del corto che più attendevo e che più mi ha deluso. Dopo anni passati a rivedere Jonah/Tomberry ed amarlo sempre di più a ogni visione, attendevo Rosto alla prova della maturità. E, ahimé, The Monster of Nix non è male, ma è troppo lungo, a tratti addirittura banale (belin, in certi punti è esattamente La Storia Infinita!) e, sebbene riprenda l’estetica dei corti precedenti nella saga e la loro potenza e visionarietà, non aggiunge moltissimo. Forse rivedendolo lo apprezzerò di più, ma non ne sono certo…

Viagem a Cabo Verde (José Miguel Ribeiro, Portogallo)
Molto attesa questa prova di Ribeiro, celebre autore di A suspeita, ma alla fine non ha colpito moltissimo. Lo spunto è interessante: l’autore decide di mollare tutto, lasciare orologio e cellulare a casa e viaggiare per qualche tempo nelle isole di Capo Verde, riscoprendo il ritmo della natura, del proprio corpo e facendo conoscenze tra la gente del luogo. Eppure, forse perché non sappiamo l’origine del disagio dell’autore, manca qualcosa e tutto sembra un po’ troppo fine a se stesso, quasi un esperimento sociologico.

Annecy 2011 parte II: Cosa c’era da vedere (lungometraggi e tv)

“Ok, abbiamo capito che ad Annecy ti sei divertito un sacco anche al di fuori delle sale. Ma hai anche visto qualcosa di buono?”
Eccerto! Un sacco di roba bella, non poca roba mediocre e anche roba brutta. Come tutti gli anni, come in tutti i festival sufficientemente ricchi. Intanto possiamo dire che l’edizione 2011 del festival di Annecy rimarrà negli annali per essere l’edizione PoPo. Non perché ci fosse roba brutta di popò, per carità, ma perché c’era una quantità esagerata di corti provenienti dalla POlonia e dal POrtogallo, e perché la giuria era composta da una POlacca, da una POrtoghese, e da PES. E infatti ha deciso PES, come giustamente faceva notare un mio sidekick nei commenti della parte I. Ma questo riguarda soprattutto i cortometraggi. Di quelli parleremo dopo, questo è solo un teaser scritto da quell’abile orchestratore di emozioni che sono io. Oggi parliamo di lungometraggi e di programmi televisivi. Partiamo dai film.

Probabilmente la cosa migliore che ho visto quest’anno è stato Tatsumi, di Eric Khoo (un singaporese, curiosamente), un film fuori concorso. Come suggerisce il titolo, si tratta di una biopic di Yoshihiro Tatsumi, celebre fumettista giapponese inventore dei gekiga (manga per adulti, non nel senso di “con tette e culi” ma nel senso di “con temi maturi”), inframmezzata con racconti brevi tratti dall’opera di Tatsumi. L’animazione un po’ spartana si sposa benissimo con la durezza dei temi e con la storia di un Giappone che vive il suo boom nel dopoguerra anche dal punto di vista dei fumetti. Gli applausi più lunghi del festival (anche se la sala non era pienissima) e ovazione al regista presente in sala.

L’unico film uscito ad Annecy che secondo me vedremo nelle sale italiane è il Gatto del Rabbino (Le chat du rabin) di Joan Sfar e Antoine Delesvaux, tratto dal bellissimo fumetto omonimo di Sfar stesso. Io a Sfar ci voglio un sacco di bene perché è amico di Trondheim e perché è quasi altrettanto eclettico, e attendevo molto questo film. In un curiosissimo 3D (si fa una sorta di messa in scena a pannelli senza spessore) racconta una storia di popoli, religioni, avventura, amore in un’Africa più leggendaria che mai ma vista con l’amore di chi l’ha conosciuta.  Un po’ troppo lenta la prima parte (accanto a me un tizio si è messo anche a russare!), ma la seconda metà è a dir poco strepitosa. Ha vinto il Cristallo come miglior film.

Io avevo dato come vincente tra i lunghi Chico & Rita di Fernando Trueba, Javier Mariscal e Tono Errando. Mi pareva la tipica produzione che piace alle giurie: una storia adulta, con tanta buona musica, un design originale e ottima animazione. E invece la storia tragica con finale lieto del pianista cubano e della sua bellissima cantante nei giorni subito prima la rivoluzione castrista ha vinto solo un premio minore.

Altro discreto film è Colorful di Keiichi Hara. Classico anime su adolescenti in ambientazione scolastica, parla di disagio e di mancanza di comunicazione, usando come tema la reincarnazione di un’anima nel corpo di uno studente che aveva tentato il suicidio. Un pochino troppo lungo e il plot twist è prevedibilissimo, ma è un buon film.

Altre brevi menzioni: The Prodigies – la Nuit des enfants rois di Antoine Charreroyn (immagine a sinistra), una specie di X-men francese (obbligatorio, ogni volta che se ne cita il titolo, fare tunz tunz tunz). Ottima regia, ma pessimo design con personaggi legnosissimi e pochissimo espressivi. Jib (The House) di Mi Sun Park, Eun Young Park, Ju-young Ban, Jae Ho Lee e financo Hyun-jin Lee, storia coreana di una casa da abbattere e degli spiriti buoni che la abitano, originale e interessante ma alla fine poco riuscito. Den Kaempestore Bjorn (Il grande orso) di Esben Toft Jacobsen, favoletta danese di un orso gigante che gira con gli alberi sulla schiena, poco incisivo ma non disprezzabile.

E poi quest’anno mi son deciso a guardare i programmi televisivi. Era da un po’ di anni che la saltavo, visto che finiva sempre che ci dormivo un sacco. “Ragione in più!” mi son detto questa volta, “i pisolini sono una bella cosa!” ed eccomi qua. Ho visto la tv e ho saltato completamente tutti i programmi dei film di scuola, ché alla fine mi lasciano insoddisfatto per la scarsa maturità degli studenti (cioè: sono bravi, hanno idee, ma la giovane età preclude loro di poter dire qualcosa di davvero interessante). Ma vediamo qualche programma televisivo sparso meritevole di menzione.

The Amazing World of Gumball “The Quest”, di Mic Graves e Ben Boucquelet: meritatissimo vincitore del Cristallo per la TV. E’ matematico: a mettere insieme animaletti antropomorfi ultra-kawaii che fanno gli occhioni coi tirannosauri si ottiene uno spasso infinito. Rido ancora a pensare a certe gag. Spero proprio che lo importino in Italia, merita davvero.

Zig & Sharko “Surprise partie” di Darrag O’Connel: premesse ancora più assurde per questa serie franciosa (che è stata sotto gli occhi di tutti perché era sul retro dei badge): uno squalo e una sirena vivono come marito e moglie sulla terraferma, e una iena, aiutata da un granchio, vuole mangiarsi lei quando lui si distrae. Folle, funambolico, ricco di azione slapstick, quasi un cartone Warner dei bei tempi.

Angelina Ballerina “Angelina’s Indian Lunchtime” di David Doi: che succede quando il maschietto nella compagnia di ballo dice che ne può più della rappresentazione all’ora di pranzo di “Mouselina” (che sarebbe poi un incrocio tra Cenerentola e la Bella Addormentata, se ho ben capito) e tocca a lui scegliere? Ovviametne che si rappresenta il Ramayana, il poema epico indiano. A differenza di Sita sings the blues, però, vuole anche utilizzare ritmi, canzoni e strumenti indiani. Scemino, ma l’animazione del ballo è sorprendente e la qualità generale di questo prodotto per bambine è ottima.

Aqua Teen Hunger Force “Rubberman” di gente che non si merita di essere nomitato: segnaliamo anche qualcosa di proprio brutto. Rubberman. Una serie “per adulti” con un mostro nato da preservativi usati, siringhe, popò e simili. Non è che è brutto perché parla di cose brutte, è davvero brutto, scemo e inutile. Calci nel culo e ripassare Bambi!

Robot Chicken “Star Wars Episode III” di Chis McKay : mai visto nulla di Robot Chicken, non amo Star Wars in generale (no, nemmeno la trilogia originale) ed Episode III è non poco imbecille. Però questa è un’ottima parodia, ci sono delle gag molto divertenti, citazioni sparse ma non a casaccio in stile Griffin e anche qualche idea registica (sospetto copiata, ma non ci giurerei). Ne ho dormito un pochetto, ma mi è parso un buon lavoro.

SamSam “Mega Gino” di Tanguy De Kermel: rapida citazione per  Mega Gino, il supereroe italiano coi baffi che frega i lavori al papà supereroe di Sam Sam. “Salga sulla mia Materazzi nuova”. Lol.

Next: cortometraggi come se piovesse

Annecy 2011 parte I: The Annecy Experience

Annecy 2011Non ci penso nemmeno a spiegarvi cosa diamine è il festival di Annecy. Cercatevelo.

Poche storie, per me andare ad Annecy è assai di più che vedere un sacco di cartoni animati. E’ un rito che esula da ciò che c’è da vedere e che si compone di una serie di gesti tradizionali che compongono, nel complesso la Annecy Experience.

E quest’anno, com’è andata? Beh, giudicate voi dalla checklist:

Però, affinché non si dica che ci limitiamo alle tradizioni, ci sono anche delle nuove scoperte interessanti che probabilmente saranno integrate nelle Annecy Experience dei prossimi anni:

Ah, e poi ho visto un sacco di bei cartoni animati.  Ma di questo parleremo nella prossima puntata.