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Jimmy Fontana

Ieri è morto Jimmy Fontana. Non credo di conoscere una sua canzone oltre “Il mondo”, ma io a Jimmy Fontana ci volevo bene perché una volta è stato ospite da Maurizio Nichetti a “Pista!”. Era una puntata speciale in cui erano state invitate al quiz le famiglie delle celebrità, e nel 1987 o giù di lì Jimmy Fontana, evidentemente, era classificato come “celebrità”. Nichetti gli chiese “Come hai scelto il nome d’arte che porti?” e lui rispose “A quei tempi andavano di moda i nomi in inglese, e Tony e Bobby erano già presi, quindi ripiegai su Jimmy. Per il cognome…aprii l’elenco telefonico e lo sfoglia finché non trovai un cognome che suonava bene. E così nacque Jimmy Fontana”.

E questo è tutto quello che ho da dire su Jimmy Fontana.

Misteri della vita CXXIV: Il gelato sciolto

– E dimmi, caro, ti piace il gelato sciolto?
-Sì.
– AWWWWWWW! E’ come tutti gli altri!

Così mi apostrofò una signora barista cicciona ad Albenga nel 1981 dopo che, insieme al mio babbo, le comprammo una coppetta di gelato.  Stavamo andando dalla logopedista (altra storia, altra volta) e ricordo l’imbarazzo di mio padre. Non lo provava per se stesso, e tantomeno per me, ma per essere stato costretto ad assistere a una scena così pietosa. Ricordo che lo compresi già allora da settenne, e imparai la morale: non si dà troppa confidenza ai bambini degli altri.

Ma torniamo al gelato. Sì, il gelato sciolto mi piaceva, ma la mia strategia mangereccia era più complessa di un semplice rimescolamento, e consisteva in una variante del Mandusso. Nello specifico, il gelato era una coppetta industriale vaniglia e cacao, e la strategia era la seguente: prima si mangia più di metà della parte di vaniglia, che è meno buona, poi meno di metà di quella al cacao, e poi si procede a lavorare di buona lena col cucchiaino ottenendo una crema solo prevalentamente cioccolatosa e poco cremosa. Cremosa e cioccolatosa o vanigliosa e cacaosa? Già, apriamo una parentesi: mi son sempre chiesto perché diamine i gusti industriali standard siano vaniglia e cacao e non crema e cioccolato come nei gelati freschi. La risposta, probabilmente, sta nel fatto che il cioccolato vero costa troppo per le procedure industriali e la crema contiene l’uovo che suppongo sia difficile da gestire nella catena del freddo. In realtà non credo che il gelato alla vaniglia abbia un gusto lontanamente simile a quello della vaniglia. E’ crema bianca anonima, buona solo per stemperare il gelato sciolto, e la cosa mi fa inveire.

E tuttavia quella maledetta barista cicciona ci aveva ragione: il gelato sciolto piace a tutti i bambini. La mia nipotina seienne lo ama e lo chiama “il mescolone”, e io per venirle dietro, di recente, mi ci sono applicato. Ma che diamine, è meravigloso! E’ vero, è anche più buono del gelato normale. Ma allora, perché il gelato viene venduto gelato se sgelato è più buono? Forse abbiamo trovato un modo per diventare ricchi?

Glioma

Casa Ventimiglia, quand’ero piccolo, era disseminata di trappole culturali. Non solo c’erano libri dappertutto, ma i miei genitori, insegnanti, erano in effetti piuttosto bravi a trasmettere nozioni sotto forma di gioco o di racconto, in modo che io e mia sorella ci divertissimo.  Un tipico esempio era quello dei miti e dei poemi epici greci, che ci venivano raccontati un po’ come se fossero una favola; questo stratagemma è stato riciclato con successo di recente con la mia nipotina seienne: d’altronde, se certe storie hanno funzionato per più di duemila anni, non saranno i trent’anni tra il 1980 e il 2013 a fare la differenza.
Ma il gioco più gettonato in assoluto era quello della catena sillabica. Probabilmente ci avrete giocato anche voi: partendo da una parola, a turno bisogna escogitare una parola che inizi con l’ultima sillaba della parola precedente, senza ripetere parole già dette. Chi non trova una parola entro un tempo ragionevole ha perso. Ad esempio: finestra, strato, tomino, notiziario, rione e così via. Il senso del gioco è imparare il concetto di divisione in sillabe, e, soprattutto, stimolare la costruzione di un ampio lessico. Purtroppo, però, a un certo punto il gioco smise di essere divertente, e precisamente quando scoprimmo il trucco vincente. Proseguiamo la catena di prima: rione, nemico, coniglio. “Glio…”. Pensateci un attimo, vi viene in mente qualche parola che inizi con la sillaba “glio”? No, non vi viene in mente. I gruppi “glia” e “glio” , “glie” sono pressoché impossibili. Noi giocatori professionisti di catene sillabiche ci rivolgemmo al dizionario e trovammo solo un pugno di oscuri termini medici, di cui ricordo solo “glioma”. E’ fatta, dunque? Il gioco è salvo? Eh no. Proseguiamo: Coniglio, glioma, maglio. Sigh. Andiamo a guardare i cartoni in tv, va’. C’è Robottino: “Lobolobolobo occi yeyeye”.

Le so tutte

Di recente, per integrare un po’ la mia attività di corsa, ho iniziato ad andare in palestra seguendo i cosiddetti “corsi”. Ce ne sono un sacco con mille nomi assurdi (Body Combat, Circuit Training, Body Pump etc.), ci son mode che nascono e muoiono, ma il succo è che ti fan fare esercizi a tempo di musica. Io detesto fare pesi, mi son reso conto che da solo a casa non riesco a trovare il ritmo per fare esercizi, e allora vada per sgambettare in gruppo a ritmo di tunz-tunz. Tutto sommato è anche abbastanza divertente.

La palestra che ho scelto, per posizione, orari e tipo di corsi è la Mandraccio di Genova. E’ priva di una tradizionale sala con le macchine, ed è specializzata in corsi, scuola di ballo (!) e soprattutto alcuni tipi di arti marziali: alla mia prima comparsa da quelle parti, un tizio barbuto nello spogliatoio mi ha chiesto: “Tu che fai?” “Ah, io faccio i corsi nella saletta qui a fianco, sai, quelli dove ci sono un sacco di donne che sgambettano. E tu?”. Mi ha guardato con disprezzo e concluso: “Io faccio Krav Maga!”. Più di frequente, però, lo spogliatoio è pieno di bambini che “ci hanno” judo, e più raramente lotta libera.
Un giorno, dopo l’allenamento, vado a fare la doccia quand’ecco che mi rivolge la parola un giovane judoka, avrà avuto circa otto anni, in cui ho visto un Piccolo Luca un po’ più ciarliero. Nel locale docce, mi ha raccomandato di non andare nella terza doccia, perchè “è la doccia dei perdenti”. E’ un’espressione e un modo di vedere le cose che è molto tipico di me, ora e da piccolo.
In seguito, poi, nello spogliatoio, chissà perché, mi ha interrogato. Prima è partito con le barzellette. L’ho stupito sapendo rispondere correttamente all’annosa questione “Cosa fanno una Kawasaki e una Suzuki in riva al mare?” (se non lo sapete ci potete arrivare, dai), ma poi è riuscito a incastrarmi con “Perché tutti vogliono fare i calciatori di serie A?”. Ho azzardato e azzeccato l’area semantica rispondendo “Per fare un sacco di soldi”, cosa che non fa ridere, ma la risposta corretta era “Per fare soldi a pallate“. Non fa ridere manco questa, va detto, ma vedo che Sergio Paoletti ha fatto proseliti.
Successivamente però mi sono vendicato smentendo la sua maestra. “La maestra mi ha detto che Bibbia deriva dal latino Biblios che vuol dire libro“. Ho risposto:”Quasi: non dal latino, ma dal greco.” “Ma la maestra…” “…si è sbagliata.”. Questo l’ha un po’ messo in crisi, ma si è ripreso tornando all’attacco: “Questa la sbagli di sicuro. Quanto fa un mezzo per un mezzo?” Senza la minima esitazione sfoggio la mia cultura matematica a livello universitario: “Un quarto”. “…! Bravissimo! Tutti sbagliano e dicono uno!”. Mentre era barcollante per il colpo, ho contrattaccato: “E quanto fa un mezzo diviso un mezzo?” “?!? Un mezzo diviso un mezzo…” “Pensaci: quanto fa un numero qualsiasi diviso se stesso? Due diviso due, tre diviso tre, sei diviso sei?” “Uno! Fa uno!” e ha anche aggiunto “E’ vero: se immaginiamo la tabellina di ‘un mezzo’ e usiamo il metodo per dividere tramite le tabelline, la risposta è evidente!”. Stava gongolando e ancora riflettendo sulla sua scoperta, e ho meditato se era il caso di introdurlo alle meraviglie della divisione per zero, ma erano le otto, avevo fame, e me ne sono andato mentre continuava a parlare. Chissà, più volte ho pensato che il mio vero, grande talento sia quello di insegnante. Beh, pazienza. La prossima vita, magari.

Il piccolo Luca alla conquista dell’etere

Alassio, 1989

E’ un gran giorno, oggi. Il quattorquindicenne Luca andrà in televisione. E non una televisione qualsiasi, ma addirittura Tele Tril, Tele Radio Indipendente Ligure: Tele perché è una televisione, Radio perché trasmette attraverso le onde radio, Indipendente perché non è la Rai, Ligure perché la sede è in Liguria, nelle alture dietro Ceriale. A casa mia c’è ricezione per Tele Tril; si tratta di uno di quei canali privati che mi hanno allietato l’infanzia trasmettendo caterve di cartoni animati giapponesi intervallati da un sacco di pubblicità di Aiazzone e Rotowash. Tra parentesi, un applauso alla lungimiranza dei programmatori della pubblicità che durante i cartoni animati bombardavano i bambini con mobili e attrezzi per la pulizia. Sono serio: trent’anni dopo, quando ho dovuto scegliere i mobili per casa mia, non ho potuto fare a meno di passare da Aiazzone ed esitare un attimo, nonostante fossero mobili orrendi. E tuttora desidero verificare se Rotowash fa proprio quello che dice.

Ma torniamo a Luca in televisione. Non si trattava, come avrebbe dovuto essere, di un programma dedicato proprio a me, ma di una trasmissione collettiva: avevano invitato l’intera Scuola Tennis di Alassio, di cui ero membro, nell’ambito di un ciclo relativo allo sport per ragazzi nella provincia di Savona. Ci portarono negli studi, e rimasi colpito da quanto fossero piccoli e spogli: una telecamera, qualche gradinata per il pubblico, due sedie e un tavolo. Ma come! La tv è così?!? Io non aprii bocca, un untuoso presentatore intervistò a lungo il maestro Mario P., sosia di Phil Collins, nonché, più brevemente, qualcuno dei giovani tennisti più dotati, tra le cui fila io non militavo, ahimé. Il maestro, anche durante queste interviste, faceva lo spiritoso da fuori campo.
Tuttavia, venni nominato:  tutti i membri del Tennis Club furono inquadrati e il loro nome pronunciato ad alta voce. E quello fu il mio primo momento di celebrità televisiva. Ne ebbi un secondo: mentre il maestro pontificava, la telecamera ogni tanto vagava sui giovani atleti, e io fui inquadrato una seconda volta. Siccome dalla mia postazione potevo sbirciare il monitor, seppi che ero in onda, alzai la manina e salutai. Il cameraman si staccò dalla sua macchina, alzò lo sguardo e mi fissò come per dire “Ma sei scemo?!?”. Ok, non lo faccio più. E infatti da allora non ho mai più salutato quando inquadrato dalla telecamera.

Quella volta che l’Italia fu salvata da Gegia

A metà anni ’80, nelle mie estati sassellesi, all’ora di pranzo si consumava il dramma di cosa guardare in tv. A quei tempi “mamma TV” in estate offriva davvero poco: qualche vecchio telefilm poliziesco tipo Cannon, repliche polverose e qualche programma di intrattenimento girato in economia. Anche peggio della Fleccer!  L’ipotesi di spengere la TV non era nemmeno presa in considerazione. Ogni famiglia è fatta a modo suo.

A casa Ventimiglia si era optato (cioè, il nonno aveva optato) per una trasmissione di varietà su Rai1 il cui titolo non è stato tramandato, ma che era condotto da Gegia insieme a un anonimo altro tizio. Vi ricordate chi è Gegia? E’ una tizia che ha fatto la presentatrice televisiva e l’attrice: forse il film più noto in cui ha lavorato è Lo chiamavano Bulldozer con Bud Spencer. E’ uno di quei personaggi misteriosi che non si capisce perché siano lì, in quanto non sono né particolarmente bravi, né belli, né divertenti. Gegia, in particolare, faceva un po’ la meridionale chiassosa e di buon cuore, una sorta di parente di Marisa Laurito. Boh, probabilmente fa appello a un certo tipo di pubblico di cui non faccio parte.

Un giorno, nel programma di Gegia accadde un piccolo dramma, durante una sessione di telefonate dal pubblico. A quei tempi si era un po’ kamikaze con le telefonate: non c’erano filtri, e si chiamava come si chiama un numero normale, e chi prende la linea la prende. Forse vi tornerà in mente che Enrica Bonaccorti era stata fanculizzata in diretta a “Pronto chi gioca?” a causa di questo meccanismo. Nella trasmissione in questione, un signore molto arrabbiato telefonò e disse (citazione pressochè letterale): “Invece di fare tutto ‘sto casino, perché non fate qualcosa per noi italiani che abbiamo un sacco di problemi?”. Ricordo lo sguardo scazzatissimo e smarrito di Gegia come se dicesse “non mi pagano abbastanza per questo!”. Mia nonna disse: “Ahia!”.  Quand’ecco che l’anonimo compare di Gegia risolse l’impasse dicendo “Ma ora c’è il nuovo governo, che sicuramente risolverà tutti i problemi!”. Il signore al telefono ne convenne e bofonchiò qualcosa come “Sì, è vero” e Gegia iniziò ad applaudire dicendo “Evviva il governo nuovo!”. Mia nonna scosse la testa e commentò: “Si è fatto infinocchiare”. Aveva ragione.

Quindi, quando vi ho detto che  Gegia ha salvato l’Italia, ho mentito. Non solo non ha combinato alcunché per tutti noi, ma non è stata manco capace di sbrogliarsela da sola. Ma se avete dei problemi non preoccupatevi, è in arrivo il nuovo governo che risolverà tutto!

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