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3/2011 parte II

Tre film di zombie

Day of the dead di George Romero: ma come, il classico film di George Romero? Parli sempre di film di zombie e ti sei visto solo l’anno scorso uno dei classiconi del genere? Eeeeh, così è successo. Devo dire, che nella trilogia classica, il mio preferito rimane l’Alba, ma questo ha un che di disperato, di cupo e di crepuscolare che è assente nel film precedente e che si adatta all’estremo splatter. In ogni caso, un film straordinario.

Resident Evil (la saga), diciamo di Paul Anderson: mai giuocato al giuoco, ma mi sbilancio nel dire che si tratta degli unici film decenti tratti da videogame. Il primo è il migliore (buffamente, la parte più terrorizzante è quella pre-zombie), il secondo il peggiore (sì, diciamo pure che è proprio brutto, il secondo!), ma la saga ha una sua consistenza pur avendo ambientazioni così differenti, e anche il richiamo alle tecniche di sceneggiatura dei videogame spesso funziona bene. E poi c’è Milla Jovovich, che è bravissima.

Dead Snow di Tommy Wirkola: e poi qualcosa fuori dagli schemi. Zombi nazisti nella neve in Norvegia! Yuppieeee! In realtà, una volta tolta la premessa, il film deve molto a Braindead di Peter Jackson e, soprattutto, a Evil dead di Sam Raimi, che arriva a citare a tratti in modo quasi letterale, e lo svolgimento è abbastanza canonico. Però ci si diverte molto, l’ambientazione innevata è efficace e gli zombie nazisti, in sostanza, rullano.

Tre fumetti italiani

Gatto Mondadory e il telefonino fatato, di Dr. Pira: dite la verità, non vi siete già innamorati di questo fumetto solo dal titolo, senza manco sapere cosa diamine sia? Dr. Pira è colui che Daw, autore di A come Ignoranza, ritiene il suo maestro, ma in effetti non hanno moltissimo in comune:  Dr. Pira non sa proprio disegnare, e nemmeno fa finta, però sa costruire le tavole come nessun altro e mettere in piedi situazioni assurde e surreali ma con una loro logica interna. E fa anche un sacco ridere. Gatto Mondadory è un fumetto geniale, non c’è altro aggettivo.

Trama, di Ratigher: difficilissimo parlare di Trama, è una di quelle opere fatte tutte di sensazioni, di ombre, di inquietudini. Parla, molto vagamente, di due ragazzotti che vengono presi in ostaggio da un serial killer deforme, ma non si sviluppa come potrebbe fare un albo di Dylan Dog o un film thriller. Se è un horror, è originalissimo, ma non mi sento di definirlo tale. Insomma, dovete fidarvi di me o dei tanti recensori che l’hanno decretato fumetto italiano dell’anno. Leggetelo.

Post Coitum, di Makkox: “Ti è piaciuto” “Beh…” “Non era una domanda”. La follia degli anni del tardo berlusconismo raccontata da Makkox, che dopo mille tentativi tra autobiografia, riviste, sperimentalismi web, ha trovato la sua dimensione migliore nella buona, vecchia satira, ospitato dal Post di Luca Sofri. La splendida edizione è corredata da commenti dell’autore (divertenti anch’essi) su che diamine succedeva, perché a volte, anche solo a pochi mesi di distanza, ci si chiede: “Ma davvero è successo questo? Abbiamo raggiunto questi livelli?”. Eh sì. E magari il peggio deve ancora arrivare. Dimenticatevi Forattini, qui si ride in modo amaro, e dimenticatevi Vauro e Vincino, Makkox sa disegnare.

Tre libri che probabilmente avete letto

Divina Commedia – Purgatorio, di Dante Alighieri: sì, proprio la Divina Commedia, quella là. Quando ho compiuto 35 anni, ho chiesto in regalo l’intera Commedia, approfittando del “mezzo del cammin di nostra vita”. Letto l’Inferno a 35 anni e il Purgatorio a 36, quest’anno leggerò il Paradiso. Il Purgatorio mi è piaciuto anche più dell’Inferno, in generale, come tono e per la dimensione temporale meno votata all’eterno, quindi più vicina all’umano. Epperò, quando, alla fine, c’è quell’adagio con la sfilata allegorica del Carro di Cristo, prende una sensazione allo stomaco dovuta alla potenza della poesia. E lo dice un senzaddio come me. Leggetevi la Divina Commedia con un commento non troppo pedante, ne uscirete più ricchi.

La luna e i falò, di Cesare Pavese: altra mia grossa lacuna era Pavese. Colmata parzialmente col suo libro migliore, ne è valsa la pena. Io sono cresciuto in provincia, ma in una provincia di mare e abbastanza popolosa, eppure, per l’esperienza in campagna a Sassello da piccolo e dai racconti dei parenti piemontesi, ho avuto l’illusione di capire la provincia piemontese e i suoi abitanti che costituiscono il cardine del romanzo. O anzi, forse la grandezza del romanzo è riuscire a trasmettere un mondo scomparso da tempo anche a chi non ha nulla a che fare con esso. Una scrittura potentissima, un racconto dolente e terribile.

Milano Calibro 9, di Giorgio Scerbanenco: ho scoperto Scerbanenco nel 2010, e per un po’ è stato l’autore del quale prendevo sempre un libro quando facevo la spesa di libri, come è stato, in tempi felici, per Kurt Vonnegut (prima di leggerne tutto l’esistente). Tra i vari libri che ho letto, direi che Milano Calibro 9 sia il migliore. Nei racconti che compongono questa raccolta, quasi tutti ambientati a Milano, la prosa asciutta, incisiva e sporca dello scrittore si adatta benissimo all’atmosfera nebbiosa milanese (erano tempi in cui a Milano c’era la nebbia!), alla sub-umanità di delinquenti e sconfitti, allo squallore degli ambienti e alla violenza delle situazioni. Ci si ricorda l’impressione del tutto, più che racconti specifici: in questo senso, è un’opera unitaria.

Tre ristoranti genovesi

Maxela, Vico inferiore del Ferro:  non è probabilmente il miglior ristorante di carne genovese, ed è noto che Genova non è la miglior città del mondo per mangiare carne, ma mi piace questo posto. Mi piace il banco macelleria in cui puoi vedere i tagli, l’ambiente rustico ben incastrato nei vicoli genovesi, la carta dei vini scarna ma di buona qualità e a prezzi onesti e, non ultimo, le cameriere carine e simpatiche senza essere leziose. Io finisco sempre per prendere la Fiorentina, ma anche la grigliatona o i piatti più elaborati meritano. Applausi alle patatine tagliate come chips.

Le Tre Caravelle, al Porto Antico: il ristorante a cui ho cenato più spesso nel 2011, di gran lunga (non ho dati precisi, ma suppongo almeno 20 o 30 volte), e non perché sia particolarmente buono. Gli è, semplicemente, che è l’unico posto papabile vicino allo Space Cinema, che, a sua volta, è l’unico cinema che fa regolarmente spettacoli intorno alle 18.30. Io e la mia cricca usciamo dal lavoro, andiamo al cinema e poi ci avviamo a cena, e siamo troppo pigri/affamati per prendere i mezzi e andare altrove. Beh, è una pizzeria di media qualità, ne conosco ormai il menu a memoria e spesso prendo la pizza Ingorda (mozzarella, gorgonzola, salciccia, bruste, pancetta). Prezzi medi, non male la scelta di birre (per una pizzeria), i coltelli tagliano male.

Ostaja (ex Guglie), in via San Vincenzo: il locale da genovese, in tutti i sensi. Genova è strapiena di trattorie tipiche, ma troppo spesso i prezzi sono da ristorante e la qualità da osteria (se non peggio). Certo, c’è Maria la zozza, che di recente è anche migliorata come igiene, ma io trovo che questo localino in via San Vincenzo, a due passi dalla stazione Brignole, sia ideale. Vende da asporto le tipiche cose da gastronomia genovese: farinata, torte di verdura, frittelle di baccalà e così via, ma permette anche di fermarsi su dei bei tavoloni di marmo e mangiare, in aggiunta al menu da asporto, altri piatti della genovesità: minestrone, trofie e gnocchi al pesto, acciughe fritte. Si spende poco e si mangia bene.

2011 in cifre

E rieccoci ai freddi numeri dell’anno. Magari il best of un’altra volta, suvvia.

Cinema

Grossi miglioramenti, dal lato dei film visti, rispetto alla miseria dei 47 film del 2010: visti 72 film, di cui 49 al cinema, e sono esclusi i film visti ad Annecy, che per pigrizia non ho inserito (e anche un po’ perché i festival “non valgono”). Quest’ultimo dato è particolarmente buono: significa che il mio cinemino settimanale me lo son fatto praticamente sempre, ma non solo: mi ero dato l’obiettivo di cercare di guardare più film a casa perché i fottutissimi telefilm finiscono sempre per assorbire tutto il tempo dedicato alle visioni, e devo dire che i 21 film in DivX e i soli 2 in DVD (buffo!) hanno raggiunto il loro scopo. Il prossimo obiettivo sarebbe, probabilmnete, di ricominciare a comprare DVD, non ne acquisto da ormai tre-quattro anni, ma vedremo. Insomma, i soldi mica crescono sugli alberi! Tutti i film sono stati visti a Genova o in riviera (Alassio o Albenga), con l’eccezione di una visione puteolana.

Come qualità, il voto medio in cazzetti è stato 3.69 (l’anno scorso era 3.9, poca differenza), con soli 5 “cinque cazzetti”: Fantasia, Day of the Dead, Frankenstein Jr., Colazione da Tiffany e This must be the place. Una sola novità, quattro grandi classici. Uhm.

Libri

Discreto anno, il 2011. Ho fagocitato 33 libri per un totale di 9763 pagine. Rispetto al 2010 (23 libri per 11000 e rotte pagine) c’è un sostanziale aumento di numero di libri e una visibile diminuzione del numero di pagine: ancora una volta, l’anomalia nasce dal mostro che ho letto nel 2010, la Recherche di Proust. Quindi, in media, ho letto un libro ogni 11 giorni, un libro di 295 pagine. Debbo dire che fino a novembre la media era molto più alta, poi ho passato un mese a leggere fumetti (è una tradizione, nel dopo-Lucca) e a dicembre mi sono un po’ seduto.

Corsa

Speravo di fare di meglio, nel 2011, ma comunque ho migliorato i miei risultati rispetto al 2010: ho totalizzato 1835.5 km, rispetto ai 1807.2 del 2010. Quindi, col solito paragone, è come se avessi deciso di partire da Genova per andare a trovare Serir a Siviglia, ma poi, arrivato a meno di 5 km dalla destinazione, avessi deciso che non me ne fregava poi tanto di vederlo e sono tornato indietro in motoretta. In realtà l’anno, in generale, è stato buono tutti i mesi, con una punta a gennaio quando, complice la dieta (e quindi lo sforzo di fare solo percorsi lunghi e lenti, quelli che bruciano più calorie), ho superato il muro dei 200 km; anche a ottobre e febbraio ho fatto più di 180 km, una distanza mai raggiunta negli anni precedenti. Purtroppo, però, ad agosto sono stato un sacco in giro e ho finito per concludere la miseria di 66 km, cosa che ha inficiato parecchio il totale annuale.

La velocità media è stata la stessa del 2010, 5.29, il che mi fa pensare che, se voglio migliorare, è ora che pensi ad allenamenti più specifici e mirati (o a perdere qualche chiletto!). L’allenamento più lungo è stato il 16 aprile, quando non essendo riuscito a iscrivermi alla mezza di Genova, ho comunque fatto la mia mezza maratona privata e ho fatto 21km in 1h59’08”, quello più veloce su una distanza medio-breve è stato un 5km in pista, 24’24” (4’53″/km), sulla distanza media (almeno 9 km) è stato un percorso Sturla-stazione di Nervi (11 km) in 56’24” (5’08″/km).

Fumetti

Probabilmente è l’ultimo anno in cui ho le statistiche sui fumetti tratte dal mio db, perché mi son rotto di inserire tutti i dati e da quest’anno inizierò a usare Anobii in un account specifico per catalogare fumetti, perdendo però così un sacco di dettagli personali. Pazienza. Potrebbe farmi cambiare idea solo scoprire delle API verso un catalogo ISBN molto completo e aggiornato in modo da farmi una nuova applicazione ad hoc (Anobii ha API limitatissime, probabilmente apposta per evitare potenziali parassiti come me).

Comunque sia, nel 2011 il trend di “meno acquisti” si è acutizzato: acquistati 161 fumetti contro i 260 dell’anno precedente, per una spesa totale di 1521 euri, spesa media 9.33 euri. Ho acquistato meno Bonelli e meno manga, quindi il prezzo medio rimane piuttosto alto.

Qualche trivia: il fumetto più costoso è stato quel mostro della nuova edizione dell’Eternauta, 40 euri (eh,  ma come farne a meno?); il più voluminoso il curioso fumetto austriaco (!) Heute ist der letze tag vom rest deines lebens, letto in francese come Trop ne c’est pas assez (464 pagine, storia autobiografica del viaggio in italia di ragazzine punk austriache, tra eroina e italiani pappagalli), seguito dall’originalissimo Bludzee del mon amour Lewis Trondheim (392 pagine); i manga più voluminosi sono i volumi della serie Genius Family Company, della stessa autrice di Nodame Cantabile, con 360 pagine (la serie parte bene ma svacca molto in fretta); i volumi con maggior superficie acquistati sono ancora l’Eternauta (30×24) e il francioso di cucina En cuisine avec Alain Passard (24×30, uffa, solo quasi ricette vegetariane!)

La triste storia del Sindaco alla Birra

Il Sindaco alla Birra fa paura, è un omone ubriaco e scontroso che non fa sconti a nessuno. E non nel senso che fa il sindaco e anche il negoziante, ma nel senso che se deve mollare ceffoni, lo fa. Ha mani grosse come badili. Vi chiederete come ha fatto a diventare sindaco, e vi risponderete: a suon di ceffoni! E’ veramente un tipaccio temibile!

Ma in fondo il Sindaco alla birra ha un cuore d’oro: si comporta così solo perché la bella Laurina gli ha spezzato il cuore. Ne consegue, come i più attenti avranno notato, che ha un cuore d’oro spezzato.
E’ una storia lunga che nasce da quando il nostro eroe era un ragazzino. Egli non poteva andare a scuola perché faceva le consegne del latte. Era orfano, e per di più la nonna aveva il ginocchio della lavandaia, e poi si è intromesso Giorgiano.
Ma andiamo con ordine.  Il Sindaco alla Birra e la bella Laurina erano vicini di casa e amici fin dall’infanzia, le loro famiglie andavano d’accordo ed erano promessi sposi, innamorati e felici. Tutto si metteva per il meglio, ma Giorgiano incombeva.  Un giorno, un rinoceronte volante atterrò sulla casa della famiglia del Sindaco alla Birra. Tragedia. I suoi genitori morittero, e la nonna, cercando di scappare, inciampò nella Pietra di Marsiglia, che quando la tocchi ti viene il ginocchio della lavandaia, e da lì, poche storie, toccava al Sindaco alla Birra mantenere sé e la sua anziana progenitrice. Si alzava prestissimo, per consegnare il latte, alle nove di mattina ma del giorno prima. Un giorno tornò a casa alle due del pomeriggio del giorno dopo (il suo giorno lavorativo durava 54 ore, tutti i giorni!), e trovò la bella Laurina con Giorgiano.
Giorgiano era il secchione della scuola, e i figlio del prevosto del paese. Nessuno sa cosa sia un prevosto, e se può avere figli, ma lui poteva, era influente e potente e faceva il bello e cattivo tempo nel paese del Sindaco alla Birra. E Giorgiano era promesso prevosto (è una carica ereditaria), quindi un ottimo partito.
Beh, quel giorno fatale il Sindaco alla Birra aveva portato a Laurina un regalo coi fiocchi: un cavatappi di corno di bue! Entrò nel fienile e li trovò in atteggiamento inequivocabile: lui le leggeva poesie ai broccoli, e lei preparava la sambuca arrosto! L’inciucio era inequivocabile. Allora sbattè il cappello per terra, mostrò il pugno alla luna e gridò “Per vendicarmi, sarò sindaco! E allora nemmeno il figlio del prevosto potrà alcunché!”

Passano gli anni. La bella Laurina sforna sette figlioli, uno più bello dell’altro, e a ogni figlio, il Sindaco sale di un gradino nella gerarchia politica del paese, e ogni sera beve una birra di più , abbrutendosi e divenendo più potente.

Lo stesso giorno in cui viene eletto sindaco, nasce il settimo figlio di Giorgiano e Laurina. Il neoeletto Sindaco alla Birra sale sul palco e si prepara a fare il discorso, sbronzo come una spugna, quand’ecco che dall’ospedale lì vicino, da una finestra aperta,  si sente un vagito. Egli allora capisce di aver buttato via la sua vita, e grida “Il mio sindacato sarà di ceffoni e sudore di sangue!”. Tutti tremano e trattengono il respiro, e il Sindaco alla Birra rutta.
Finisce così. Ma se rimanete dopo i titoli di coda, c’è una scena aggiuntiva: si coprono tutti la testa con le mani, tranne un prete pelato che un piccione ci caga in testa, e allora si copre anche lui.

Prossimamente: Consigliere regionale alla Birra!

Casomai ve lo chiedeste, tutto questo nasce da Golosino che ha letto male “Stinco alla birra” nel mio status Gtalk.

Free wheel

Questa notte ho sognato che la prof di latino mi interrogava per decidere se darmi sette. No, fermi, non andatatevene, lo so che i sogni degli altri sono noiosi come le diapositive del viaggio della zia Enrichetta al Santuario di Padre Pio, ma io parlo d’altro.

Dicevo, mi interrogava ma io, per dimostrare di essere un tipo gangan che ne sa ben oltre il latino e quindi merita almeno il sette se non di più, mi mettevo a pontificare su Hemingway e giustificavo il fatto che picchiasse sua moglie. La cosa ha stupito due volte il mio “io lucido”, perché 1) non ho idea se Hemingway avesse una moglie e tantomeno se la picchiasse 2) ritengo che non esista nessuna buona ragione per picchiare la propria moglie. E comunque a questo punto l’io lucido ha preso il sopravvento e mi son reso conto che non mi ricordavo il titolo dell’unico romanzo di Hemingway che ho letto, che peraltro mi era piaciuto molto. La cosa mi ha fatto talmente arrabbiare che mi sono svegliato, e poi solo da sveglio mi è venuto in mente che si trattava di “Per chi suona la campana”. Detesto quando non mi vengono in mente le cose, pensate un po’ che ieri non mi sovveniva il nome di Isao Takahata! Che vergogna.

(sì, ho parlato soprattutto del sogno, ma intanto mi avete letto)

Massimo Boldi su Twitter

Non so se vi siete resi conto che in questi giorni è esplosa la moda di Twitter tra le celebrità. Tra di queste, poteva forse mancare il re dei minus habes, il Cipollino Massimo Boldi?

Innanzitutto, la foto. La trovo impagabile. Devono avergli detto che Twitter è mica roba da scemi, quindi ha fatto una faccia da uomo maturo e serio. Proabilmente un secondo dopo è esploso gridando “Il peperino della sera! E dai, e dai, e compra il giornale!”

E poi il tweet. Una considerazione da bar che magari è anche abbastanza vera, ma “e allora”? Dieci anni fa io avevo più capelli di oggi! Ma soprattutto, perché Massimo Boldi si sente in dovere di ricordarci che il costo della vita è aumentato? Ipotesi: preparazione a una critica all’attuale governo in modo da poter sfruttare meglio il ritorno di Berlusconi (“Io ti sono sempre stato fedele! Twitter lo dimostra!”).

Ma insomma, oggi con 1.000 euro al mese cosa fai? Vado 140 volte al cinema a vedere Matrimonio a Parigi.

Squadra rialzo (hop!)

Ogni volta che vado in treno a Milano rido un sacco perché arrivati in stazione Centrale c’è un cartello con scritto “Squadra Rialzo Stazione Milano Centrale”.

Io mi immagino sempre quei signori che, hop! si allenano per giocare a rialzo! Hop! Che talenti bisogna avere per poter entrare in una Squadra Rialzo? E che allenamenti si fanno?

Da grande farò il ferroviere per poter entrare nella Squadra Rialzo di Milano Centrale. Hop!

(non so mica se son tornato, ma dai, facciamo un tentativo!)

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