Pseudo-recensioni – Pinguini nel salotto https://pinguini.xxmiglia.com Un blog di cui vergognarsi Fri, 04 Jul 2014 04:52:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.2.2 Annecy 2014 parte III: cortometraggi in concorso https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/07/annecy-2014-parte-iii-cortometraggi-in-concorso/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/07/annecy-2014-parte-iii-cortometraggi-in-concorso/#comments Fri, 04 Jul 2014 04:52:22 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1634 Forse nell’introduzione generale son stato un po’ troppo severo coi cortometraggi in concorso dell’edizione 2014 del festival di Annecy, tacciandoli di eccesso di tecnicismo e di poca voglia di intrattenere lo spettatore. In effetti a ben vedere di cose interessanti ce ne sono, come sempre: vediamone un po’.

365 di Greg McLeod, Myles McLeod

365365 è uno di quei  corti che nascono da un’idea dell’autore nella forma di una scommessa con se stesso, per vedere se riesce a portarla a termine. In questo caso, si tratta di fare un micro-cortometraggio della durata di un secondo al giorno per un anno, 365 secondi, 365 microcorti in totale. Alcuni prendono spunto da quel che succede, altri sono semplici ideuzze. Ovviamente non tutto è di buona qualità, ma l’impressione collettiva del lavoro è positiva. Curiosità: i filmati che indicavano  come votare per il premio del pubblico usavano 365 come esempio. Chissà quanti l’hanno votato per questo!

 

Beauty di Rino Stefano Tagliaferro

365Mi dicono che Beauty è tempo che gira su Youtube. Io non l’avevo visto, ma mi dicono anche che è da vedere sul grande schermo, quindi forse è stato meglio così. L’idea è eccellente: prendere alcuni capolavori di arte figurativa (con predilizione per i manieristi e i preraffaeliti) e animarli. Di solito l’animaizone è un braccio, una testa, poco di più, ma basta poco per aggiungere vitalità. La realizzazione è discreta (in alcuni casi più complessi si nota un po’ di distacco nelle parti animate), ma soprattutto secondo me si poteva osare qualcosa di più: animare qualche quadro di meno, ma costruirci intorno un discorso che andasse oltre il gesto tecnico.

 

Grace Under Water di Anthony Lawrence

365Corto a pupazzi australiano molto realistico ma oltre la uncanny valley, parla di come una matrigna (una volta tanto la “buona” della situazione) riesca a costruire un rapporto con la sua figliastra mediante una gita in piscina e ciò che si prova sott’acqua. Tratto da un racconto, è uno dei pochi corti visti quest’anno che raccontano una storia dall’inizio alla fine, ed è anche prezioso per questo, ma a me ha colpito molto tecnicamente per la qualità dell’animazione e dei pupazzi utilizzati.

 

Hasta Santiago di Mauro Carraro

365Il Cammino di Santiago è percorso per tante ragioni, e una di queste, apparentemente, è di farci un corto sopra. L’autore è italiano, ed era accanto a noi mentre mangiavo cozze al roquefort e parlavo male di questo film, quindi mi ripeterò senza paura: l’ho trovato debole e inconcludente, troppo episodico e senza mordente. Qualche bella scena e belle musiche, però (tanto che ha vinto il premio apposito)

 

 

Hipopotamy di Piotr Dumala

365Tipico corto “contestuale”, cambia significato se si scopre di cosa parla leggendone o facendoselo spiegare, poiché è pessoché impossibile dedurlo solo guardandolo. Alcune donne fanno un bagnetto con i loro bambini, finché non arrivano degli uomini che le attaccano e uccidono i bambini. Solo allora queste donne si concederanno sessualmente. WTF? E’ una rappresenzazione etologica degli ippopotami, resa con gli umani. Simpaticoni, gli ippopotami!

 

Invocation di Robert Morgan

365Ho il sospetto di aver già visto questo corto l’anno scorso nel programma dedicato a Robert Morgan, ma non ne sono certo. E’ un corto che rispetta i canoni di Morgan: stop motion, compenetrazioni di carne e altri oggetti, impatto visivo molto forte, senso di schifo. Sono visioni che lasciano il segno, anche quando lo spunto  (un pupazzo da stop motion che prende vita e si vendica sul suo regista) non è così brillante.

 

 

La Petite Casserole d’Anatole di Éric Montchaud

365Anatole va in giro con una piccola casseruola rossa, e tutti lo prendono in giro. Incontrerà poi una signora, anche lei fornita di  casseruola, che gli insegnerà che si può vivere serenamente con la propria casseruola. Il “metaforone” è evidente, parla di disabilità nel modo che ognuno preferisce (a me è venuto in mente la dislessia, chissà perché), ma lo fa con delicatezza e senza finta pietà, con un leggero umorismo e con un design grazioso e piacevole. Un bel lavoro, e mi ha dato l’occasione di ripetere molte volte la parola “casseruola”, che fa ridere.

 

Le Sens du toucher di Jean-Charles Mbotti Malolo

365“Jean-Charles Mbotti Malolo” è il vincitore del premio Jimmy Bobo di Annecy 2014, e solo per questo andrebbe citato, ma questo corto offre anche qualcosa di più. Narra di una storia d’amore tragicomica tra sordomuti, con lui che odia i gatti e lei che li ama e lui che si trasforma in una bestia (letteralmente) quando si parla di felini. La trama è scioccherella, ma ci sono dei momenti di intimità tra i due, con giochi di sguardi, sfiorarsi le dita, piccoli gesti, che sono proprio toccanti e ben pensati.

 

Moulton og meg di Torill Kove

365Torill Kove ce lo ricordiamo per il delizioso The danish poet, vincitore di un premio Oscar come cortometraggio, e questo suo lavoro non si discosta molto come toni e come realizzazione, in un bello stile pulito ed elegante, anche se il tema è assai diverso. Parla di una bambina norvegese negli anni ’60, figlia di due genitori un po’ fricchettoni, e del suo desiderio di essere “normale”. Normale non lo sarà mai, ma si renderà conto di come nessun altro in fondo lo sia, anche grazie all’antenata delle orrende bici tipo Brompton oggi di moda. Molto grazioso, trovo che avrebbe meritato una menzione, ma d’altronde anche la sua opera precedente non era stata premiata. Stolti!

 

Pickman’s Model di Pablo Ángeles

365Ogni tanto qualcuno di prova ad adattare Lovecraft in animazione o anche dal vivo, ma proprio non funziona. Questa realizzazione di un racconto di Lovecraft (peraltro neanche uno dei migliori) soffre dell’usuale difetto: gli orrori cosmici dello scrittore di Providence sono tali perché indescrivibili; tentare di visualizzarli li sminuisce, ma d’altronde non mostrarli, lasciarli solo evocati, non funziona nemmeno. Questo adattamento a pupazzi, comunque, sarebbe realizzato discretamente e ben sceneggiato, a parte quello di cui ho parlato.

 

Pilots on the Way Home di Olga Parn, Priit Parn

365Oh, gli estoni! Hanno avuto il loro momento di gloria qualche anno fa, quando sembrava che la colorata e surreale animazione estone avrebbe salvato il mondo. Poi ci son stati i 46′ di Life without Gabriella Ferri, un po’ di ripetitività, e son stati ridimensionati. Tuttavia un corto di Parn lo si aspettava con un po’ di curiosità: diciamo che accanto all’approccio surreale sembra ci sia un po’ di fissazione sull’erotismo, a tratti anche un po’ incomprensibile. Niente di che, diciamo, ma una certa mano dietro c’è.

 

Sneh di Ivana Ebestova

365La Ebestova aveva realizzato il bel Four, qualche anno fa, storia raccontata da quattro punti di vista. Il suo stile qua è simile e inconfondibile, chiaramente ispirato da Tamara Lepika, e ci racconta una leggenda di una ragazza che aspetta il suo bello che fa l’avventuriero in giro per il mondo. Ma è proprio così? Meno riuscito del suo lavoro precedente, è però uno di quei corti che lasciano qualche dubbio, di cui si parla per scambiarsi opinioni. E’ un buon segno.

 

Sangre de unicornio di Alberto Vazquez

365El sangre de unicornio! Con un bell’heavy metal di sottofondo assistiamo alle trucidi imprese di orsacchiotti di pezza guerci e crudeli che vogliono impossessarsi del sangue dell’unicorno. Lo stridio tra stile un po’ lezioso, la musica e i vari elementi così accostati generano un mescolone che funziona, fa ridere ma è drammatico, è nonsense ma in qualche modo prende. Uno dei lavori migliori dell’anno, per me.

 

 

Simhall di Niki Lindroth Von Bahr

365Forse il premio “machecazz…” dell’anno, Simhall è una curiosa storia svedese a base di pupazzi con animali antropomorfi, in cui una banda di giovinastri rende difficile la giornata di un inserviente di una piscina, già complicata da problemi all’impianto. La narrazione è lenta, dilatata, quasi bergmaniana, alcune azioni e qualche deviazione dalla trama principale appaiono prive di senso e il finale rimane sospeso. Eppure, superato il momento di straniamento, in qualche modo questo corto funziona. Certo, se devo scegliere un pupazzo svedese opto per Puppet Boy.

 

Wonder di Mirai Mizue

365Mizue non inventa niente di nuovo, ma lo fa bene: il suo lavoro è un astratto con immagini di tipo “cellulare”, biomorfi non lontani dall’estetica di Mirò, con molte simmetrie e molti colori, il tutto in movimento con la musica. Esattamente come in 365, il suo lavoro è di 365″ ed è stato girato in un anno, ma non ha la pretesa di essere un diario. Funziona bene.

 

 

E ora qualcosa uscito dal concorso dei corti sperimentali:

Box di Tarik Abdel-Gawad

365Un’esperimento forse  più tecnico che artistico: su due braccia meccaniche sono montati due schermi. Viene dimostrato come muovere queste braccia meccaniche e contemporaneamente gestire il contenuto dei due schermi in modo da dare coerenza al tutto, simulando profondità o altri effetti. Appare evidente che si tratta di un’installazione poi filmata: in ogni caso, è grazioso ma una pura curiosità.

 

 

É in Motion No.2 di Sumito Sakakibara

365Questo corto è stato proiettato muto,  muto nel senso di totalmente privo di sonoro. Mi han detto che in altre proiezioni si sono scusati per la cosa, e non era pensato così…eppure funziona! Si tratta di una lunghissima (oltre 10′) panoramica con lenti movimenti di macchina da destra a sinistra, che inquadra scenari progressivamente sempre più complessi in cui, come dire, “succedono cose”: c’è una balena spiaggiata, bambini che giocano nella neve, un circo un po’ inquietante. Piccole animazioni ripetute costellano questo scenario, e la concentrazione dello spettatore è rapita dallo sforzo di cogliere tutti i particolari o farsi ipnotizzare da qualche ripetizione. La mancanza di musica aiuta, in questo senso, sembra proprio di vedere un panorama. Per qualche ragione, mi ha ricordato il classico Tango di Zbigniew Rybczynski.

 

Gli immacolati di Ronny Trocker

365Nonostante il nome dell’autore, è un corto italianissimo, che parla del difficile rapporto tra un campo nomadi e una “tranquilla” cittadina del nord Italia, che culmina in una violenza bestiale di gruppo con le autorità impotenti o forse compiacenti. Banalotto come spunto, forse più da fiction di Rai1 che da corto sperimentale, ma ben realizzato con una narrazione pacata fuori campo fatta solo di piani sequenza di paesaggi quasi sempre vuoti e un po’ squallidi, con persone che compaiono solo nel finale.

 

Portrait di Donato Sansone

365Questo corto è simile e complementare a Beauty, in concorso: ritratti ripresi lentamente con piccole animazioni. La differenza sta nel fatto che sembrano ritratti di Francis Bacon: distorti, con parti mancanti o fluttuanti, in generale resi brutti tramite qualche artefatto. L’effetto è curioso, probabilmente più intrigante della sua controparte “bella”, ma anche questo si esaurisce come curiosità abbastanza nel breve.

 

 

Virtuoso Virtuell di Thomas Stellmach, Maja Oschmann

365Ultimo ma non meno importante, questo lavoro astratto segue uno dei grandi filoni dell’animazione astratta, ovvero la rappresentazione della musica. Invece però del solito jazz o la solita musica elettronica, è stato scelto un pezzo classico, l’ouverture dell’opera L’alchimista di Louis Spohr,  animata mediante con macchie di inchiostro che si espandono progressivamente. Si ottiene un’opera in cui musica e immagini sono ben compenetrate e si sostengono e arricchiscono a vicenda: un bel lavoro.

 

Next: ancora qualche visione sparsa e qualche considerazione a valle del tutto

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Annecy 2014 parte II: lungometraggi https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/06/annecy-2014-parte-ii-lungometraggi/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/06/annecy-2014-parte-ii-lungometraggi/#respond Wed, 25 Jun 2014 05:05:26 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1594 Ogni tanto mi ricordo dei miei primi tempi ad Annecy, quando c’erano quattro lunghi in concorso e due o tre anteprime, e quindi vedere un film intero era un’occasione rara. Ormai, con 9 film in concorso, 9 fuori concorso e diverse anteprime e programmi speciali, è diventato impossibile vederli dal primo all’ultimo, se non rinunciando a tutto il resto. E’ un grosso cambiamento, è indice del fatto che i lungometraggi animati sono sempre più popolari e meno costosi da produrre.

Beh, io ne ho visti nove e vi parlo di tutti. Mettetevi comodi, iniziamo da quelli in concorso.

cheatingCheatin’ di Bill Plympton è un classico film plymptoniano: muto, disegnato tutto di persona da lui nel suo stile cartoonesco al tratto, con alcune gag di “trasformazione”, a tratti anche un po’ di schifino, è però venuto meno bene dei suoi lavori precedenti. Parla della storia di una donna e del suo marito che la tradisce (per vendetta?) e di come lei userà la tecnologia per riaverlo almeno in parte. La trama è un po’ confusa, non studiata benissimo, ma ci sono alcune sequenze memorabili (in particolare una serie di espressioni del marito da antologia e una bella gag sul cuore della donna). Plympton in persona vende disegni e memorabilia per finanziare i suoi film. Bravo ragazzo.

lisalimoneLisa Limone ja Maroc Orange: tormakas armulugu (Lisa Limone e Maroc Orange: una rapida storia d’amore) di Mait Laas è affascinante soprattutto per il cortocircuito: un musical estone a pupazzi ambientato a Lampedusa, cantato in italiano e in francese, sul dramma dei migranti nei barconi. Io ho voluto vederlo solo per capire cosa poteva venir fuori, e tutto sommato, facendo la tara alla mediocrità delle canzoni, a qualche lacuna tecnica e al fatto che non si capisce come va a finire, mi son divertito e ho apprezzato. Il film è stato proiettato in 3d e la parte iniziale è in un ottimo 3d, poi han finito il budget e si torna a un lavoro standard e un po’ piatto. E’ piaciuto solo a me, devo ammettere.

saibiSaibi (The fake) di Sang-Ho Yeon merita un discorso più articolato. Il regista è lo stesso del già apprezzato King of pigs visto qualche anno fa, e prosegue il tema già  introdotto in quel film e comune a diversi film coreani: la rappresentazione di una società durissima in cui il più forte soverchia il più debole. In questo caso, lo spunto nasce da un villaggio che deve essere sommerso per la costruzione di una diga, e in cui alcuni truffatori fondano una chiesa per far donare alla gente del luogo i soldi che hanno ricevuto come compensazione. L’unico ad accorgersi di questo è un ubriacone violento e rozzo che picchia moglie e figlia, e a cui ovviamente nessuno darà ascolto. Esemplare il momento in cui quest’uomo dice a un suo conoscente, ex-amico: “Ma non sarà mica che il cattivo sono io?”: l’eroe titanico che lotta solo contro il Male è anch’egli parte del Male. La fede qua è solo superstizione, e nei rari casi in cui dona conforto è solo al prezzo di sangue e denaro. Pur essendo molto pesante, ho amato molto questo film, ma una domanda mi è sorta: perché farlo in animazione? Lo stile è perfettamente realistico, potrebbe essere girato dal vivo senza problemi. Eppure è qui la magia dell’animazione: vedere le persone come rappresentazione e non come attori rende il messaggio ancora più duro e sentito.

giovanniGiovanni no shima (L’isola di Giovanni) di Mizuho Nishukubo è un drammone storico giapponese, che parla dell’occupazione di un’isola a nord del Giappone nell’immediato dopoguerra da parte dei russi. Due bambini e la loro famiglia vivranno questo episodio storico in prima persona, conosceranno una ragazzina russa, fraternizzeranno con gli invasori, verranno deportati e così via. Di notevole l’incrocio con l’amatissima storia giapponese Notte sulla ferrovia galattica da cui prende il nome il titolo, e che attraverso i bambini interseca la trama. Graficamente piuttosto standard, è comunque un buon prodotto, a tratti anche commovente, mai noioso.

asphaltwatchesAsphalt Watches di Shayne Ehman e Seth Scriver è molto brutto, ma è un bel mistero. Visivamente molto brutto (volutamente, suppongo) narra la storia di un tizio e del suo compagno fantasma e  il loro viaggio on the road attraverso il Canada. Il mistero sta nel fatto che la sala rideva molto, e io non capivo perché. Intendiamoci, esistono alcuni tipi di umorismo che non mi fan ridere (ad esempio, quasi tutto il cabaret basato sui tormentoni), ma li riconosco come tali, in questo caso invece proprio mi sfuggiva cosa ci fosse da ridere. Una gag tipica di Asphalt Watches è una musichetta tecno che parte con un piccolo tormentone, del genere “She’s gone to take the boiled hot dogs, she’s gone to take the BHD”. E parte della sala si spanciava. Son rimasto fino in fondo a cercare di capirci qualcosa, ma niente. Solo un brutto film.

Con questo concludiamo i film in concorso visti. Passiamo a quelli fuori concorso.
kukindzadzaKoo! Kin dza-dza di Georgiy Daneliya e Tatiana Ilyina è un curioso prodotto russo, versione animata di un film da vivo del 1986 molto popolare in Russia. E’ una storia di fantascienza surreale, con qualche debito a Metal Hurlant e Moebius come atmosfere, ma chiaramente russo come spirito. E’ abbastanza divertente e si capisce come “Koo!” possa esser stato un tormentone in Russia negli anni ’80, ma si ha l’impressione (peraltro confermata da chi ha visto entrambi i film) che la versione dal vivo fosse più fresca e più divertente, anche forse per il fatto di essere dal vivo. Grazioso, comunque.

plumesResan Till Fjäderkungens Rike (Alla ricerca del re delle piume) di Esben Toft Jacobsen è un film danese dal regista di The Great Bear che avevo trovato discreto tre anni fa. Se consideriamo anche Disco Worms e Ronal the barbarian, altri prodotti danesi di buon livello, ho voluto vederlo per vedere i miei amici nordici cosa combinano. Cattiva idea. Ho dormito un sacco, ma ciò che ho visto era molto confuso e mal girato, e anche brutto. E’ comunque un metaforone sul concetto di accettazione della morte da parte di un bambino. Buona idea, pessima realizzazione.

manieggsManieggs  – Revenge of the hard boiled di Zoltan Miklosy è un film curioso. Estesticamente molto spartano, riesce però a trovare un suo stile interessante coi personaggi a forma di uovo con gli arti volanti rispetto al corpo, facendo anche un paio di gag su quest’ultima caratteristica. E’ una storia poliziesca, parodistica, molto citazionistica e sopra le righe, violenta, abbastanza divertente e costruito con una bella progressione. Trama molto assurda, direi volutamente, che trae spunto dal ceffo che vuole vendicarsi chi l’ha incastrato facendogli fare quindici giorni di carcere.

justinInfine, un film che è probabile che vedremo al cinema anche in Italia. Justin and the Knights of Valour di Manuel Sicilia è una produzione spagnola, con dietro Antonio Banderas, che però segue i canoni americani estetici e di trama. Risulta quindi piuttosto prevedibile, ma assai divertente, con qualche bel personaggio azzeccato e mai stupido. La storia è ambientata in un medioevo in cui i cavalieri sono stati banditi e hanno il potere gli avvocati, e un ragazzino vuol seguire le gesta del nonno cavaliere. Ci riuscirà? Conquisterà la sua bella? E che succederà con quel cavaliere cattivo che vuol conquistare la città? Eh già. E’ prevedibile, ma dategli una chance. Ci si diverte.

Un cenno a due film che non ho visto personalmente ma li ha visti qualcuno del mio gruppo: L’arte della felicità è un film italiano, e io degli italiani ho paura perché fanno troppo spesso gli artistoidi senza poterselo permettere. Su questo ho sentito pareri discordanti, ma un po’ son pentito di non averlo visto. Até que a Sbornia nos separe (Finché Sbornia non ci separi) non è un film sulle sbronze, ma una storia brasiliana su un paese isolato che si ricongiunge al mondo. Per concludere, poi c’è una serie di opere che non ha visto nessuno del mio entourage perché  facevano paura. Qualche esempio: Minuscule – La Vallée des fourmis perdu, in ritardo vent’anni su A bug’s life o Z la formica; Last Hijack, storia di pirati somali, di moda quest’anno, pare;Truth has fallen, pittura su vetro sulle pecche del sistema giudiziario americano. Gulp.

Next: Cortometraggi in concorso e non. Non pioverà.

 

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Annecy 2014: com’è andata https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/06/annecy-2014-come-andata/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2014/06/annecy-2014-come-andata/#comments Thu, 19 Jun 2014 11:37:11 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1587 Ritorna questo blog dormiente per i tradizionali, odiatissimi post su Annecy.

manifesto2014Come sempre, luci e ombre nell’edizione del festival più amato dai Pinguini. Luci nell’evidenza di un cambio di rotta nella direzione artistica, nella cura dei programmi speciali, nell’introduzione di novità organizzative; ombre in un concorso che nei cortometraggi zoppicava un po’, nelle stesse novità organizzative che necessitano a tratti di un po’ di lubrificazione, e soprattutto nel lavoro della giuria, che ha sfiorato le vette di incompremsibilità del giudizio del 2009, malefico anno dei bambini sudanesi. Ultima ombra, seppure non imputabile all’organizzazione del festival, è stata l’ondata di caldo che ha reso Annecy una città torrida, con conseguente disagio per gli spettatori. A sinistra, il bel manifesto col caprone satanico che allietava gli schermi prima delle proiezioni.

Il più evidente cambiamento organizzativo, nel secondo anno di esilio dal Bonlieu, è stata l’eliminazione dei ticket cartacei, sostituiti da quelli elettronici, e una politica diversa per l’attribuzione dei biglietti: con meno biglietti a disposizione per la prenotazione,  è più difficile conquistarli in anticipo, però mettendosi in coda prima dell’inizio delle proiezioni si entra facilmente. La conseguenza è stata che le code in ingresso erano molto lunghe, e col caldo ardue da affrontare, ma dopo il primo giorno, davvero un po’ troppo caotico perché nessuno sapeva dove mettersi in coda, son filate abbastanza lisce. Purtroppo, altra conseguenza,le proiezioni puntuali son diventate rarissime; se a questo sommiamo il tempo necessario a mettersi in coda quando si è privi di biglietto, il tempo libero tra le proiezioni è risultato decisamente ridotto.Va tuttavia ancora una volta stigmatizzato il fatto che, al momento dell’apertura delle biglietterie telematiche qualche giorno prima del festival, i server non reggano e il sito si pianti. Fatevi fare un corso di scalabilità, ragazzi!
A parte i biglietti, comunque, si son viste altre novità: due cerimonie di chiusura, una per i premi minori e una per quelli principali; poche facce note tra chi lavorava; badge con codice QR; qualche problema di troppo nelle proiezioni (addirittura un film nella sala sbagliata!). Piccole cose nel bene e nel male che testimoniano il cambiamento.

harveyIl cambio di rotta della gestione va però ben oltre l’organizzazione: dopo un 2013 di transizione, quest’anno Serge Bromberg non si è proprio visto e Marcel Jean ha preso in mano imponendo la propria visione. Innanzitutto, finalmente si è rinunciato alla stanca formula della “nazione dell’anno”, dedicando una mole impressionante di programmi all'”animazione in volume” (stop motion, plastilina, pupazzi etc.): c’erano la bellezza di 17 programmi, che spaziavano dai capolavori (e potevo perdermi l’occasione di rivedere ancora Harvey Krumpet?) ai focus su Estonia, Messico o Croazia, a maestri come Harryhousen, Trnka o George Pal, agli inventori del genere agli albori dei cinema, alle sperimentazioni. Davvero una programmazione completa e curata.
Di fronte a questo lavoro gli altri programmi speciali sfigurano un po’: due sessioni dedicate alla prima guerra mondiale in occasione del centenario dell’inizio (ne ho visto uno, discreto) e due sull’eredità di McLaren. A destra, l’intramontabile Harvey Krumpet. Korba!

chairAnche il concorso dei cortometraggi, tradizionale piatto forte, vede due novità. La prima, quella più evidente, è la presenza di un sesto programma oltre i cinque tradizionali, chiamato “Off Limits Animation” e dedicato all’animazione sperimentale. Non è stato chiaro fino alla premiazione se era in concorso o meno; si è poi scoperto che è stato pensato un premio apposta. E’ stato comunque un programma discreto, il cui vincitore è stato uno dei corti meno forti, Corps étrangers di Nicolas Brault, una vi di mezzo tra un astratto  e immagini al microscopio. La seconda novità è più sottile, e forse anche è difficile capire se sia una parentesi di quest’anno o un cambio di rotta definitivo, ma l’impressione è che la selezione sia stata fatta tenendo conto meno dei contenuti e più del guizzo tecnico, dell’idea realizzativa. Il risultato è stata una programmazione piuttosto pesante, con almeno due programmi su cinque faticosi al confine con l’intollerabile, e comunque con la conseguenza che si è riso molto poco. Il cartone con la gag quest’anno è stacasseroleta una bestia rara.
Paradossalmente, invece, i premi sono andati in gran parte a cortometraggi in cui si provava a dare un contenuto. Forse quello che più non va nasce appunto da questo screzio tra comitato di selezione e giuria. Il vincitore, comunque, è stato Man on the Chair di Dahee Jeong, una riflessione sull’identità dell’Autore e dell’Opera, a dire il vero un po’ puerile e intellettualode. A sinistra un’immagine dal vincitore, fatevi voi un’idea. Un po’ meglio il secondo premio a Patch di Gerd Gockell, anche questo che esplora la tensione tra Opere Astratte e Non. Non gli avrei dato un premio, ma almeno è un prodotto sensato. Stupisce molto anche il terzo premio, pari merito, all’italiano La testa tra le nuvole di Roberto Catani, che è un classico corto con gessi stridenti sulla lavagna, metaforicamene e letteralmente. L’altro corto vincitore del terzo premio è stato il grazioso (finalmente!) Histoires de bus di Tali, canadese, una piccola storia divertente nella campagna canadese. Anche un po’ meglio il premio del pubblico, con La Petite Casserole d’Anatole di Éric Montchaud, tenero e toccante (a destra), Diversi altri corti, al di là dei premi, sono meritevoli di menzione e saranno menzionati in seguito, ma devo dire che non ce ne sono che mi abbiano profondamente colpito. Questo è il senso ultimo per cui, alla fine, posso dire che il programma dei corti non mi ha soddisfatto un granché.

meninoBinari più consueti invece per i lungometraggi. Ci son state alcune anteprime anche piuttosto importanti, che però non ho visto o perché troppo difficili entrare (Princess Kaguya di Isao Takahata, l’unico che mi è proprio spiaciuto non vedere) o perché, insomma, non mi interessava più di tanto (Dragon Trainer 2, Saint Seiya). Il concorso ha avuto un vincitore a sorpresa, O meninho du mundo che, ehm, non ho visto, ma di cui potete vedere un fotogramma a sinistra. Ho prediletto un altro programma o forse ho fatto shopping…ma me ne sono pentito. Mi ispirava. Stupisce comunque che sia il secondo anno di seguito che vince un lungo brasiliano, senza che ci sia però l’evidenza di una scuola in fermento (e con un brasiliano in giuria, la cosa puzza un po’). Secondo posto, anche questo a sorpresa, per Cheating del veterano Bill Plympton, più debole rispetto ai suoi standard, e terzo per il discreto Giovanni no shima di Mizuho Nishikubo. Seguiranno dettagli su questi e tutti gli altri film, ma anticipo che il mio preferito è stato Saibi, un coreano durissimo (come sempre per i film di questa nazione).

E infine c’è stata una novità nella mia partecipazione personale ad Annecy: ho saltato le proiezioni del sabato e me ne son tornato in Italia un giorno prima. Le ragioni del cuore prevalgono su quelle dei cartoni animati. I tempi cambiano dentro e fuori il festival.

Next: Lungometraggi come se piovesse. Ha piovuto una sola volta seriamente, mentre ero in sala a vedere un programma di corti in concorso. Mai bagnato!

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Annecy 2013 parte terza: cortometraggi https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-terza-cortometraggi/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-terza-cortometraggi/#respond Fri, 21 Jun 2013 04:57:29 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1513 Di solito, quando è il momento di tracciare una panoramica dei corti di un festival, si parte dai vincitori dei vari premi. Tuttavia, ho già riferito di non aver condiviso molto i premi della giuria: non è stato un disastro come nel 2009 e i bambini sudanesi, ma non credo ci sia stato un film che ho applaudito con entusiasmo durante la premiazione. Quindi, la selezione dei corti di cui parlerò verterà su quelli che mi son piaciuti e che mi hanno colpito in un modo o nell’altro, e non su quelli premiati. Se poi le cose coincidono…tanto meglio!

futonIl mtrespassio vincitore personale è stato Futon di Yoriko Mizushiri (a sinistra). Con una dolce canzone in sottofondo,  una donna stilizzata si avvolge pigramente in un futon; compare poi del sushi, una torta, delle bocche sensuali, altri elementi vagamente erotici: tutto lento, pigro, morbido, al calduccio. Quello che ho amato di questo corto è come sia riuscito a trasmettere a un po’ tutti i sensi con dolcezza e complicità. Guardatene il trailer e vedete se non ve ne innamorate un po’ anche voi.
Ho apprezzato poi moltissimo il più difficile Trespass di Paul Wenninger (a destra). Si tratta di una serie di foto del regista in giro per il mondo, giustapposte in modo che lui sia quasi fermo mentre tutto intorno va velocissimo, in una sorta di pixilation. Mi ha comunicato una grande sensazione di solitudine e di smarrimento.
grossebeteDue corti, entrambi di buon livello, trattano un tema simile: A Monster in the reservoir di Sung-Gang Lee e The big beast di Pierre-Luc Granjon. Il primo parla di un mostro in un laghetto che parla in prima persona ma non si vede mai, forse non c’è, e segue tutta la vita di una bambina. Il secondo (a destra) di un mostro che mangia le persone, non si vede mai, forse non c’è, finché non viene creato veramente da chi ne ha paura.
Dal lato più vivace, assai apprezzabile Kick-Heart di Maasaki Yuasa, una sorta di revamp dell’Uomo Tigre con strizzate d’occhio allo spettatore. Si ride molto.

Spazbolesiando tra le tecniche, Boles di Spela Cadez (a sinistra) è un film a pupazzi che parla di uno scrittore squattrinato alla ricerca della sua musa, in questo caso una vicina grottesca. La trama è un po’ ritrita (qualcuno dica agli scrittori che, se non sanno cosa scrivere, scrivere del fatto che non sanno cosa scrivere non va bene!) ma la tecnica di animazione, la cura nelle espressioni dei personaggi e anche il modo in cui si fanno amare è notevole.
Un solo film è stato trasmesso in 3d, e si tratta di Gloria Victoria di Theodkikiore Ushev, una specie di riassunto del novecento artistico. E’ un corto molto potente anche in 2d, ma io, sebbene profondo detrattore di quella sciocca baracconata che è la terza dimensione, devo ammettere che in questo caso è stato usato bene e con efficacia, e aggiunge in effetti qualcosa. Nel campo artistico merita una menzione anche Mademoiselle Kiki et le Montparnos di Amèlie Harrault, una rilettura della celebre modella/artista/cantante Kiki e la sua vita in mezzo agli artisti nel leggendario periodo della Parigi del primo ‘900 (a destra). Interessante il variare dello stile a seconda degli artisti con cui la nostra interagiva.

Tutto sommatolovelybones il vincitore del Cristallo mi è piaciuto, ma non l’ho trovato così forte da essere un vero premio: Subconscious password, di Chris Landreth, racconta quello che avviene nel subconscio quando non ci ricordiamo il nome di una persona incontrata. Landreth ha molta classe, sia tecnicamente nelle sue soluzioni visive sempre al confine con la ripresa dal vivo, sia nell’originalità delle invenzioni che propone (il subconscio come un gioco a quiz degli anni ’60 con il grande Chtulu come ospite?!?), ma, ripeto, non mi è sembrato andasse oltre il livello di una bella gag. E parlando di ritorni di autori amati nel passato, non può mancare una citazione per Lonely Bones di Rosto. Dopo il semi-fallimentare Nix di due anni fa, Rosto torna al suo immaginario di mostri, distorsioni, follie, scenari assurdi e contaminazioni di piani narrativi. Il suo gioiello Jona/Tomberry l’ho apprezzato sempre di più a ogni visione, e ho il sospetto che anche per questo film potrebbe capitare lo stesso.

tettegallinaQualche altro rapido cenno: Double Fikret di Haiyang Wang è un curioso corto su contaminazioni tra uomini e animali, una sorta di parata di chimere in continua trasformazione. I più però lo ricordano come “le tette a gallina” (a destra). L’esteticamente interessante Le banquet de la concubine di Hefang Wei, disegnato con grazia, ci insegna a non fare incazzare le favorite dell’imperatore, anche quando iniziano a essere in disgrazia. Droznik di Piotr Szczpanowicz, in un bel 3d, è una variazione sul tema di “perdere i treni della vita”, con un capostazione che perde l’amorrivieree della sua vita. Polacchi, che spasso! Le courant faible de la rivière di Joel Vaudriel (a sinistra) narra un aneddoto di un vecchio orribile, su quando era un giovane orribile e frequentava ragazze orribili. La storia vira sull’assurdo quando si parla di donne che uccidono i pesci col pensiero. Premio WTF dell’anno. Lettres de femmes di Augusto Zanovello merita un cenno perché misteriosamente vincitore premio del pubblico e ma anche per lo spunto interessante: le lettere ai soldati nella Prima Guerra Mondiale non solo come medicina per l’anima, ma anche per tutto il corpo. Tuttavia, non mi è parso così ben fatto. Why? Factor di Ben Falk e Jordan Wood porta il pesantissimo nome dei Monthy Python (proprio “by Monthy Python” nei titoli di coda!), ma francamente questa parodia di X-Factor non è molto divertente.

E infine, il corto molesto dell’anno per me va a Carne di Carlos Alberto Gomez Salamanca, il quale ha un endecasillabo come nome ma ha prodotto una roba incomprensibile sui sacrifici di animali in Colombia. Lunghezza reale 7 minuti, percepita 70.

 

C’est tout. All’anno prossimo!

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Annecy 2013 parte seconda: lungometraggi https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-seconda-lungometraggi/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-seconda-lungometraggi/#respond Wed, 19 Jun 2013 16:57:56 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1506 apostoloVeniamo quindi ai lungometraggi, e iniziamo da quelli in concorso. Dei tre che ho visto, è apprezzabile, ha vinto una menzione speciale e non escludo si vedrà in Italia il francese Ma maman est en Amérique, elle a rencontré Buffalo Bill, che riesce a raccontare della triste scoperta della realtà di un bambino seienne con tenerezza e senza scadere nel mieloso, cosa molto difficile dato il tema. Potreste averlo già sentito perché il fumetto è uscito anche in Italiano da Bao. Interessante anche O apostolo (a sinistra), stop motion spagnola per un horror di atmosfera, molto inquietante e di grande impatto visivo, ma con la storia un po’ zoppicante. Ha vinto tuttavia il premio del pubblico. Jasmine, realizzato in plastilina, parla di una storia d’amore durante la rivoluzione iraniana, e io l’ho trovato davvero noioso e povero di idee, ma molti hanno apprezzato la cinematografia e qualcuno anche la storia.

Maggiore interesse dal lato dei lunghi fuori concorso. E’ stata proposta una bella sfilza di lunghi giapponesi di grandi studi, e ho deciso di concedere qualche chance. Io ho un rapporto di amore-odio con gli anime: se da un lato costituiscono la base del mio background animato e per un certo periodo della mia vita li ho amati alla follia, dall’altro mi fa rabbia vedere la povertà di idee degli ultimi anni e il riciclo sistematico di sempre le stesse tematiche. Vista però la ricchezza di proposte, una volta dribblate i film di Berserk e One Piece, ne ho visti ben quattro.
patemaSakasama no Patema – Patema inverted (a destra) di Yasuhiro Yoshihura è stata addirittura una prima mondiale, uscirà in Giappone in autunno. Si tratta di un film di fantascienza con qualche debito al Conan di Miyazaki che presenta il “metaforone” nella trama delle due popolazioni che vivono con gravità a direzioni diverse e si chiamano gusukol’un l’altro “invertiti”; qualche piccola confusione nella trama, ma nel complesso affascinante e appassionante. Non troppo dissimile è  per Gusuko-Buduri no Denki (La vita di Budori Gusuko) di Gusaburo Sugii (a sinistra), che mette insieme in un mondo di personaggi con fattezze feline una storia che si dipana curiosamente in un’ambientazione tra il medioevo giapponese, la campagna pre-rivoluzione industriale e un mondo steam-punk. Molto curiosa la morale: l’uomo ha il dovere di controllare il clima terrestre; non ho capito se si tratta di un messaggio estremamente anti-ecologico o meno. Peccato per qualche scena onirica di troppo che spezza il ritmo e non aggiunge nulla.
afterschool Il più interessante dei quattro è senza dubbio After School Midnighters di Hitoshi Takekiyo (a destra): ambientato in una scuola durante la notte, narra le peripezie di tre bambine dell’asilo in una folle storia con manichini anatomici viventi, demoni in forma di mosca, viaggi nel tempo, conigli col grilletto facile, UFO e musicisti fantasma. Il debito nei confronti di Uruseiyatsura è pesantissimo, ma l’uso di bambine prescolari invece delle solite studentesse in divisa alla marinaretta dà una ventata di freschezza. Molto divertente. Infine, il peggiore di tutti è l’insopportabile Blood C: The last dark, solita roba di demoni e corporazioni e ragazzine che combattono e che palle, quando fanno ‘ste robe senza nemmeno provarci i giapponesi li detesto. Se avessi saputo che c’erano di mezzo le CLAMP me lo sarei evitato.

santosPagato il tributo al Sol Levante, giriamo un po’ il mondo. El Santos vs la Tetona Mendoza di Alejandro Lozano (a sinistra) è un assurdo film messicano, credo tratto da un fumetto, che parla di un lottatore di wrestling che combatte una tettona per il controllo degli zombi messicani, che sono gli unici che pagano le tasse in Messico. Tra tarzanelli parlanti, citazioni a raffica da Capitan Tsubasa a Dragonball a Rocky a Fuga per la vittoria, un sacco di droghe illegali, stitichezza e scontri finali con funghetti peyote, si ride un sacco, ma il tema non si sposa benissimo con la forma di lungometraggio, e dopo la prima mezzoretta El Santos si siede un po’, risollevandosi giusto per il finalone.
Tornando in Francia, ho assistito all’anteprima di Tante Hilda. Dall’immagine promozionale (a destra un esempio) e dal titolo, mi hildaaspettavo una specie di commedia familiare, mentre invece è un pippone ecologista infinito contro gli OGM da parte del regista del desecrabile La prophecie des grenouilles, Jacques-Remy Girerd, che tra l’altro avevo accanto durante la proiezione e mi pareva brutto andarmene. C’è del buono nel design, i personaggi sono abbastanza azzeccati, e tutto sommato la trama non è congegnata male, e inoltre si cita un po’ Bozzetto il che fa guadagnare punti, ma la pesantezza con cui il messaggio è ripetuto, per di più senza giustificazioni serie se non “gli OGM sono malvagi perché non dobbiamo giocare con la natura” è davvero insopportabile.
L’America ci ha regalato due film, entrambi piccole produzioni indipendent. Confesso di non essere riuscito a vedere per intero il primo e di essermene andato a metà. Si tratta di Consuming Spirits di Cristopher Sullivan, storie di personaggi distrutti nella rust belt più depressa. Il secondo, molto più affascinante, è It’s such a beautiful day di Don Hertzfeld, già autore di cortometraggi che ci son piaciuti. Anche se ci sono dei momenti assai poetici soprattutto nel finale (davvero molto bello), Don non era secondo me pronto per un lungo per la scarsità di  materiale a disposizione e la capacità di gestirlo, e il film risulta un po’ sfilacciato e a tratti noioso. Peccato.
persistenceUltima visione della settimana è stato il curioso Persistence of vision di Kevin Schreck (a sinistra). Si tratta di un documentario sul film animato The thief and the cobbler, una produzione inglese mai terminata da parte di Richard Williams. Pur essendo un film un po’ a tesi “le multinazionali malvagie non fanno lavorare gli artisti come vorrebbero loro”, posso capire che per quanto ambizioso e spettacolare fosse il film, dopo 24 anni e budget milionari buttati via ci abbiano dato taglio, anche se male. Peccato, perché i frammenti mostrati sono davvero mozzafiato, però mai, mai, lasciare un artista a gestire un progetto. Mai!

Non ho visto il film vincitore dell’anno, Rio 2096: una historia de Amor e Furia di Luiz Bolognesi, ma non ne sento la mancanza. Rimpiango invece di essermi perso Tito on ice, un curioso film sulla salma di Tito congelata portata a spasso per l’Europa, che mi dicono essere stato originale e acuto. E pensare che l’ho perso per vedere Tante Hilda!

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Annecy 2013 parte prima: cosa c’era quest’anno https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-prima-cosa-cera-questanno/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2013/06/annecy-2013-parte-prima-cosa-cera-questanno/#comments Tue, 18 Jun 2013 17:01:46 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1503 affiche_annecy_2013Il 2013 era stato previsto come un anno di grandi cambiamenti per il Festival Internazionale del Cinema d’Animazione di Annecy. Dopo un lungo periodo, oltre un decennio, di direzione artistica di Serge Bromberg, il testimone è passato al ciccio canadese Marcel Jean, ed è il direttore artistico colui che lascia l’impronta sulla direzione che prende il festival. Non solo, il luogo principe della manifestazione, il centro Bonlieu, quest’anno è in ristrutturazione, e ci si chiedeva se la mancanza di un centro di aggregazione primario avrebbe influito sullo svolgimento. A sinistra, il manifesto dell’anno. La macchia non significa niente.
Dopo la settimana festivaliera, posso dire che non c’è stata una vera cesura col passato, ma l’impressione generale è che ci sia stata una correzione di rotta. I programmi speciali erano di meno e più curati, l’attenzione ai rapporti coi grandi studios europei, americani e giapponesi più evidente, mentre, all’opposto, è resa esplicita la ricerca della sperimentazione. Traspare anche una maggiore volontà nel coinvolgere la gente del luogo. D’altronde, alcuni schemi non cambiano: sezioni di corti, lunghi, tv e programmi speciali, e una nazione dell’anno (quest’anno la Polonia). Ciò che mi è stato trasmesso, comunque, è stata una ventata di freschezza. A Bromberg è impossibile non volere bene ma l’avvicendamento, oggettivamente, ci voleva.

Dal punto di vista logistico, invece, qualche sbavatura di troppo. Le proiezioni iniziate in ritardo son diventate quasi la norma, c’è stato qualche errore tecnico di troppo (mascherini sbagliati, suono che va via, luci che si accendono in sala…) e il primo giorno una scelta organizzativa assurda poi ritrattata ha rischiato di combinare un bel casino. La sala principale al posto del Bonlieu, la Haras, è una struttura tirata su in fretta con discreta qualità audiovisiva, ma sedie scomodissime. Oh, le mie povere chiappette! E la mancanza di un luogo di aggregazione si è un po’ sentita.
Infine, debbo dire di non essere stato molto d’accordo coi premi assegnati dalla giuria, ma vabbé, alla fine non è così importante, almeno finché non si parla di film coi bambini sudanesi.

Ma detbuffalobillto questo, cosa c’era da vedere? Tracciamo una rassegna generale. I lunghi in concorso non erano un granché. Maccome, tutto il pippotto sul bel festival e poi inizi così? Eeeh, così va la vita! In realtà ne ho visti solo tre, due dei quali erano anche discreti (Ma maman est en Amérique elle a rencontré Buffalo Bill – a destra-, e O apostolo) e il terzo a me non è piaciuto ma ad altri sì (Jasmine), ma il resto della selezione era, come dire, poco ispirante. Una leggenda indiana (Arjun, the warrior prince)? Un film con gli animali africani (Khumba)? Pinocchio di D’Alò?!? Il premio principale è stato vinto da Rio 2096: una historia de Amor e Furia, che non ho visto, e boh, non credo di averne intenzione.
I film fuori concorso erano in generale più interessanti. Ne parlerò in seguito in maggior dettaglio, ma cito come meritevoli di attenzione El Santos vs la tetona Mendoza (sic!), messicano folle underground, After School Midnighters, un raro esempio di film giapponese un po’ fuori dagli schemi, e Persistence of Vision, documentario su Richard Williams.

landrethLa selezione dei corti, in generale, è stata invece di buon livello. C’è stata qualche inevitabile caduta di stile, quei corti che dici “ma come è possibile che questa merda abbia passato la selezione?!?” e un programma, il quinto, con troppe opere pesanti una dietro l’altra, ma ho visto molte cose che mi son piaciute. Il vincitore del Cristallo è stato Subconscious Password di Chris Landreth (a sinistra), già premiato anni fa per Ryan; il secondo premio è andato, un po’ a sorpresa, al russo Obida (una bambina a cui sale la carogna); il terzo al solito estone surrealista Kolmnurga afäär. Ve l’ho detto che non ho condiviso molto i premi, vero? I miei preferiti (ne parlerò diffusamente in seguito) son stati Futon di Yoriko Mizushiri, sensuale e avvolgente,  e Trespass di Paul Wenninger, duro e sperimentale.

Quest’anno ho deciso di non vedere corti fuori concorso e di scuola, ma ho visto parecchie rassegne. Tre erano i temi principali; il primo è quello dell‘animazione polacca che, nonostante suoni molto Corazzata Potemkin, è una scuola molto importante che tratta molti temi differenti, sebbene, dobbiamo ammetterlo, tendenzialmente un po’ deprimenti. In particolare il programma dedicato al grottesco mi è parso molto azzeccato.
Il secondo filone  è stato un ciclo sull’animazione ai confini; in tempi di effetti speciali in CG che pervadono i film dall’inizio alla fine, è un po’ difficile definire cosa sia “animazione”. Qualcuno ci ha provato dichiarandola come uno “state of mind” piuttosto che una tecnica. ma il dibattito è aperto. Questa serie di programmi si occupava di esplorare i nuovi territori tracciati dall’animazione, rinfocolando appunto la domanda. La rassegna è stata un po’ impegnativa (avete paura di un corto chiamato Stroboscopic noise? Se no, dovreste), ma ricca di visioni interessanti.kjfg
All’opposto, il terzo gruppo di programmi è stato quello dei film buffi: cinque programmi, ovviamente di grandissimo successo di pubblico, con rassegne dei corti più divertenti, e relativa elezione finale de “il corto più buffo di sempre”.  Se ve lo chiedeste, ha vinto il solito KJMG n.5 (a destra): visto ormai decine di volte, è incredibile come continui a far ridere. La selezione era quasi tutta già vista, ma il piacere di rivedersi qualche folle Tex Avery, o Puppet Boy, o L’homme à la Gordini è impagabile.
Infine, ho visto anche qualche programma televisivo, ma ammetto di averli pisolati un po’ troppo e le uniche segnalazioni che mi sento di fare sono Uncle Grampa di Cartoon Network, il graziossimo Tom & the bee queen e il già visto episodio della sit-com non animata Community  sui videogame a 8 bit.

Un cenno anche alle anteprime: personalmente, non mi preoccupo molto di vedere cose che arriveranno in Italia dopo qualche settimana. Che me ne faccio di bullarmi di aver visto Monster University prima degli altri? Comunque, a parte il film Pixar, c’era in anteprima anche Despicable me 2 e il film di Oggy and the Cockroaches. Degno di nota anche un programma su un corto in bianco e nero di Mickey Mouse ritrovato in cui pare abbia messo mano Walt Disney in persona: Get a horse! Un anno quindi piuttosto ricco, da questo punto di vista.

Quest’anno, alla fine, ho assistito a 29 programmi in sei giorni, ma col fatto che io e il mio entourage abbiam fatto più vita sociale del solito, alla fine ero proprio stremato e alcuni programmi non li ho seguiti con la dovuta concentrazione. Che fare? Vederne di meno? Fare meno bisboccia la sera? Dormire durante le proiezioni come quest’anno? Imbottirsi di stimolanti? Beh, lo scopriremo.

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Letture al sole IV https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-iv/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-iv/#comments Thu, 19 Jul 2012 07:52:20 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1365 Di bello:

Mumin e i briganti di Tove Jansson: la migliore lettura del weekend è il primo volume della serie integrale dei Mumin pubblicata da Black Velvet, regalatomi da Golosino per il mio compleanno. Ero un po’ dubbioso, perché avevo solo sfiorato i Mumin tanti anni fa su Linus e non mi avevano colpito molto, ma sono rimasto davvero impressionato dal surrealismo, la sottile crudeltà, la follia di questi strampalati troll finlandesi. Ho apprezzato molto come le strisce paiano balzare follemente da un argomento all’altro da una all’altra, però mantenendo un vago canovaccio, e come i disegni, apparentemente semplici, siano in realtà ricchi di piccoli tocchi di classe come personaggi che agiscono sullo sfondo o separazioni tra le vignette costruite in modo elaborato. Una bella scoperta.

Super Paradise di Ralph König: il primo volume arrivato in Italia di König (che da noi è stato trattato editorialmente piuttosto male) non è il primo della saga di Conrad e Paul, ma piuttosto forse un punto di svolta, dato che si svolge quando nel colorato e pittoresco mondo gay di Colonia fa capolino l’AIDS. Divertente in modo amaro: curiosamente, di solito questa è una caratteristica delle opere italiane.

Dylan Dog n.4: Il fantasma di Anna Never di Tiziano Sclavi e Corrado Roi: sono affezionatissimo a questo Dylan Dog. Mi è sempre piaciuta la commistione di reale e sogno, il personaggio di Anna Never (le svampite sono sempre irresistibili!), i disegni di un Roi in ottima forma, persino il controfinale a sorpresa (cosa che poi diventerà una iattura per Dylan Dog). E pazienza se lo spiegone finale è un po’ raffazzonato e incoerente, è un albo che si legge davvero con piacere.

Di abbastanza bello:

(sigh, ero partito con l’idea di dare solo due categorie, bello e brutto, e ora siamo già a quattro…)

Dylan Dog n.5: Gli Uccisori di Tiziano Sclavi e Luca Dell’Uomo: disegnatore ospite per una storia con uno spunto un po’ scemino, ma che ha di buono l’introduzione di uno dei personaggi più memorabili di Dylan Dog, il lord H.G. Wells, e alcune scene di massacro ben congegnate. Si noti come, a questo numero, si continua a cercare di dare una continuity facendo spesso riferimento agli albi precedenti. Si smetterà presto.

(una nota sulla lettura dei Dylan Dog: nell’estate 1987 avevo a disposizione a Sassello la prima decina di Dylan Dog e ne rileggevo qualcuno ogni giorno, quindi se dico che ho letto i primi albi decine di volte non è un’esagerazione. La rilettura di questi primi numeri è quindi più che altro un tuffo nella nostalgia e nello riscoprire dialoghi che sapevo a memoria, ed è pertanto un po’ difficile darne un commento asettico. Quindi, non lo darò!)

Di così così:

Castelli 25 di Alfredo Castelli & AA.VV.: un volume dell’ANAF dedicato al venticinquennale proefessionale di Alfredo Castelli, pubblicato nel 1991. Esso raccoglie un’antologia di brevi storie del celebre e vanaglorioso sceneggiatore con divagazioni scritte da lui medesimo, ripropondendosi di tracciarne la carriera. In realtà l’obiettivo è alquanto mancato, perché arrivato al suo ingresso in Bonelli, intorno al 1980, le luci si spengono perché il materiale, a detta del BVZA, è facilmente reperibile, e probabilmente per questioni di diritti, aggiungo io. Ciò non toglie che ci sono alcuni gioiellini tratti dal Corriere dei Ragazzi o dal Giornalino che vale la pena recuperare.

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Letture al sole III https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-iii/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-iii/#comments Tue, 10 Jul 2012 08:58:28 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1353 Di bello:

Nonnonba – Storie di fantasmi giapponesi, di Shigeru Mizuki: la migliore lettura del weekend è un altro vecchio manga, in questo caso di Shigeru Mizuki, poco noto in Italia ma uno dei mostri sacri giapponesi, in questo caso quasi letteralmente! Infatti questo volume è un interessante ritratto parzialmente autobiografico dell’infanzia dell’autore, in cui una specie di tata parla dei classici mostri giapponesi (yokai) al ragazzino protagonista, mostri che lungi dall’essere mitici fanno parte dell’esistenza quotidiana. E’ un racconto su un Giappone in cui la tradizione (rappresentata dagli yokai ) si scontra e si fonde col presente (lo spettro della guerra, la povertà, le malattie) e il futuro (le città così lontane e moderne, il cinematografo). Più un manga storico che un horror, ma un’opera monumentale.

Sul fondo del cielo, di Osamu Tezuka: raccolta di storie brevi di Tezuka in una bella edizione della Hazard. Tezuka è come sempre un genio della narrazione, ma ciò che colpisce in questi racconti è il fatto che siano particolarmente “dark” e pessimisti. Tezuka ha sempre alternato uno spietato realismo in cui mostra il lato più oscuro degli uomini a un lato solare pieno di speranza e amore per la vita: in questi racconti è il primo che prevale, spesso accostato a delirii, incubi e visioni. Alcuni racconti sono più riusciti e altri meno (cito tra i migliori quelli del direttore mendicante e quello dedicato alle lotte studentesche) , ma in generale bellissimo e a tratti agghiacciante.

Dylan Dog 2, Jack lo squartatore, di Tiziano Sclavi e Gustavo Trigo:  non me lo ricordavo così interessante il secondo Dylan Dog! A parte gli spettacolari disegni di Trigo, Jack lo squartatore è solo un pretesto (e un curioso deus ex machina per il finale!) per una piccola trama gialla ottimamente sceneggiata. Se poi aggiungiamo le belle pennellate che sa dare Sclavi quando è in forma (penso ad esempio al personaggio del lord innamorato) e qualche finezza di sceneggiatura, otteniamo un bonelliano veramente apprezzabile.

I am a hero v. 6, di Kengo Hanazawa: sono sempre più convinto che quando questo manga apocalittico pseudo-zombesco sarà finito sarà da rileggere per reinterpretatare la storia, perché l’aspetto più interessante continua ad essere la domanda “cosa si sta immaginando il protagonista e cosa è effettivamente reale?” e appare che il confine tra le due cose sia sottilissimo. Ora siamo arrivati, comunque, nella fase zombesca dell’asserragliamento nel centro commerciale, inevitabile. Lettura comunque spassosa.

Di così così:

Dylan Dog 3, Le notti della luna piena, di Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani: in realtà questo Dylan Dog ha anche una bella sceneggiatura, con un paio di bei colpi di scena (Groucho imprigionato dalla strega mentre racconta la barzelletta, il ragazzo ritardato visto con compassione e che agisce da risolutore – tema poi molto sfruttato da Sclavi), ma io Montanari & Grassani, così rigidi e privi di espressività, proprio non li reggo e fanno perdere un sacco di punti.

Nodame Cantabile v. 23 di Tomoko Ninomiya: ultimo numero della serie regolare (ci saranno poi due speciali).  Avrebbe potuto finire in uno qualsiasi dei 5-6 numero precedenti, ma, come si usa in Giappone, c’è voluto un editor che dicesse “stop” in un momento pseudocasuale. In questo senso, lo scioglimento così atteso e telefonato perde molto di pathos, ma comunque un pochino ci si commuove lo stesso. E’ proprio impossibile non affezionarsi a Nodame!

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Letture al sole II https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-ii/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/07/letture-al-sole-ii/#comments Mon, 02 Jul 2012 12:41:57 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1343 Weekend di pochi volumi, ma di buona qualità media. Sono soddisfatto.

Di bello:

Habibi, di Craig Thompson: questo monumentale volume di quasi 700 pagine è rimasto in attesa di lettura dallo scorso Lucca Comics, forse perché ero spaventato dalla mole. E’ un vero e proprio romanzo grafico: romanzo, per il carattere di storia autoconclusiva con un ampio arco, e grafico non solo perché è un fumetto ma anche per il modo in cui la calligrafia araba è parte della storia. E il mondo arabo è il vero protagonista, in un curioso melange tra quello classico da Mille e una notte e quello moderno. Vediamo quindi grattacieli, bidonville in mezzo alla spazzatura e motorette accanto a eunuchi, sultani, harem e scribi. La storia è un po’ meno originale, parla di un rapporto un po’ contorto tra due persone, come si perdono e poi si ritrovano, il tutto che ruota intorno ai tanti modi possibili di dare e ricevere amore. Un gran bel fumetto.

Appartment vol.2, di Kang Full: secondo volume che conclude la storia horror di cui ho parlato la settimana scorsa, non svacca affatto quando si iniziano a scoprire le cose, e l’orchestrazione mediante i diversi punti di vista diventa sempre più complessa e interessante. Non ultimo, il fumetto ha anche una sua morale niente affatto trascurabile, e si usa spesso la parola psicopompo che è buffissima. Ancora più consigliato.

Golgo 13 vol.2, di Takao Saito: secondo volume su 3 di un “Best of” di Golgo 13, un fumetto noir giapponese (un gekiga più che un manga) pubblicato ancora oggi  a partire dal 1969. Impossibile tradurlo tutto, ma le storie scelte dall’autore e pubblicate in tre volumi sono davvero belle. In questo volume, in particolare, spicca la prima, lunga storia focalizzata sul destino dei Romanov intrecciata con una spy story particolarmente intricata, e una breve storia di vendette mafiose ambientata nel deserto americano.

Dylan Dog n.1, L’alba dei morti viventi di Tiziano Sclavi e Angelo Stano: mentre mi preparavo il caffè, mi è caduto l’occhi su una libreria e mi son detto “Ehi, ma da quanto tempo è che non mi rileggo il Dylan Dog dei tempi d’oro?”, ho afferrato il numero 1 e l’ho riletto. Non so dire quanto e cosa rileggerò di questa serie, ma intanto iniziamo con questo. A me piace poco Stano. Anche quando si impegna, come in questo albo, trovo i suoi disegni sgraziati e poco adatti alla narrazione. E inoltre il difetto principale di Dylan Dog, l’eccessivo citazionismo (o, potremmo dire, il servilismo nei confronti del cinema) è ben presente nella storia, tanto che le scene di azione e horror sembrano copiate da un distillato di film horror. Eppure i dialoghi sono perfetti, c’è umorismo, ironia, una scrittura di gran qualità, i personaggi sono introdotti con classe e naturalezza. Il primo Dylan Dog si legge ancora con grandissimo piacere cinque lustri dopo.

Di così così:

Le petit sale con di Madet: ion apparenza un fumetto semi-erotico con protagonisti animali antropomorfi, è in realtà la storia di una relazione nata male, proseguita peggio e finita, ovviamente, malissimo. Forse la cosa più interessante è l’analisi di come i due si rendano conto da subito che non funzionerà, né a letto né fuori, ma insistono comunque in una sorta di masochismo.

Nodame Cantabile vol. 22 di Tomoko Ninomiya: quasi giunto alla fine con un po’ di stanchezza questo manga per signorine cresciutelle (ditemi voi come si chiamano gli shojo per universitarie!) ambientato nel mondo della musica classica. Io ho l’impressione che, cercando di far evolvere i personaggi che erano delineati molto chiaramente, l’autrice abbia finito per snaturarli. Ma vedremo come finisce.

Notes, tome 2 di Boulet: originariamente pubblicato sul suo blog, Boulet (disegnatore del Donjon Zenith dopo che Trondheim ci ha mollato) raccoglie micro storie autobiografiche che spesso diventano dei carnet di viaggio, ma fa anche lo sforzo di crearci una cornice intorno, per la verità non molto riuscita. Interessante la varietà di stili di disegno che Boulet sfoggia, mentre le storie non sono malaccio ma mancano dell’incisività dei migliori diari di Trondheim o Sfar. Scritto in un francese colloquiale a volte piuttosto ostico, ma interessante da affrontare.

Di brutto:

Niente! :)

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Annecy 2012 parte III: Il resto https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/annecy-2012-parte-iii-il-resto/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/annecy-2012-parte-iii-il-resto/#comments Wed, 27 Jun 2012 10:41:11 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1307 Rieccoci qua. Partiamo con una scorsa ai cortrometraggi fuori concorso, che hanno regalato, come sempre, qualche sorpresa interessante. Intanto, parliamo di qualche grosso nome non in concorso. Perché non sono in concorso? Ce lo chiediamo un po’ tutti, forse per loro scelta? Boh! Innanzitutto, sua maestà Bruno Bozzetto. Forse inizia a essere un po’ anzianotto per realizzare animazione, che è fatta in pratica da qualcun altro, ma le idee, l’intelligenza e l’inimitabile sguardo satirico sono i suoi: Rapsodeus (a sinistra) sembra un episodio nuovo di Allegro non troppo, con un brano di Listz, ripercorrendo la strada dell’umanità che cerca sempre qualcosa. Bellissimo. C’è poi Paul Bush, che con Lay Bare fa quel che fa sempre, animando foto (in questo caso particolari del corpo umano), ma con la sua solita classe. E’ riuscito quasi a commuovermi con foto di ombelichi e di orecchie. Davvero mediocre invece il lavoro di Paul Driessen, che realizza una rilettura dell’ Oedipus incasinata e priva di mordente. Me lo sono pure dormicchiato. Ultimo da citare è Georges Schwizgebel, che ci regala ancora uno dei suoi voli pindarici con Romance (a destra). Come per altri citati, non inventa nulla di nuovo, ma lo fa benissimo, con grazia e poesia.

Al d là dei nomi famosi, qualche citazione sparsa sempre dai corti fuori concorso. (Notes on) biology di Danny Madden (USA) è una divertente variazione sul tema dei “flipper” (le animazioni fatte sugli angoli dei quaderni che vengono fatti scorrere rapidamente), arrivando a conquistare l’intero quaderno con elefanti a razzo. The Maker di Christopher Kezelos (Australia, USA) è una graziosa interpretazione del tema della reincarnazione, fatto con pupazzi in uno stile che deve qualcosa a Tim Burton. Grain Coupon di Xi Chen e Xu An (Cina), temutissimo per i suoi 19′ di lunghezza, è memorabile per essere forse il primo corto cinese che ho visto a non fracassarmi troppo la minchia, anche se ci ho messo metà film a capire che uno dei due personaggi è una donna. Parla di due artigiani a cui viene chiesto di falsificare un francobollo.

Proseguendo i corti fuori concorso, c’è Flamingo Fierté (di Tomer Eshed, Germania) che è scemo forte, ma è anche un sacco rosa, e parla dell’unico fenicottero etero in un gay pride di fenicotteri omosessuali. Divertente. Chiruri di Kenji Kawasaki è una curiosa contaminazione di tematiche e design giapponesi mainstream con ritmi e atmosfere più rarefatte e difficili da trovare negli anime. Interessante anche The Pub (Joseph Pierce, UK) che racconta della giornata in un pub di una pubbista, e nel modo in cui lei trasfigura le persone con cui ha a che fare. Proiettato nella serata finale, infine, un corto mainstream, un piccolo seguito del discreto Rapunzel intitolato Tangled ever after. Ok, è un corto di inseguimenti rocamboleschi come ne abbiam visti mille, ma si ride proprio tanto.

Anche quest’anno mi son visto una bella fetta di TV, e ci sono diverse cose da menzionare. Stella and Sam “Voyage sur la lune” è una graziosa intepretazione dei giochi per bambini. Certo, chiunque abbia letto Calvin & Hobbes sospirerà, ma è un sacco kawaii e lo spirito è quello giusto. The Gruffalo Child, produzione inglese direi ad alto budget, è uno specialone di mezzoretta tratto da un romanzo per bambini narrato da Helena Bonham Carter. Fa un sacco di tenerezza, diverte e insegna. Che si vuole di più? Premio meritato. Come è strameritato il premio a Secret Mountain Fort Awesome “Nightmare Sauce”, una folle folle storia impossibile da riassumere su una serie di mostri e il loro rapporto con gli incubi, in uno stile che ricorda il Robert Crumb più strafatto e con una serie sorprendente di trovate per una serie tv. C’è spazio anche per un anime shonen, Blue Exorcist, di cui vediamo il primo episodio. Molto canonico nei temi e nella realizzazione (demoni, botte, divise scolastiche) ma più piacevole da vedere del previsto. Ci ha inoltre insegnato che Azatoth tira con la fionda ai gatti.

Concludo la trattazione parlando un po’ delle rassegne. Già dissi all’inizio che non ho cagato la povera Irlanda, ma ho visto altre cose. C’è stata serie di tre programmi dedicati all’amore: amore cortese, amore “pepato” e amore in musica. Curiosamente, il primo era mediocre mentre gli altri due proprio graziosi, me li sono davvero goduti. E dopo un po’ di anni che non lo consideravo, mi son deciso a rivedere lo Spike and Mike’s Sick and Twisted Animation Show confidando nel fatto che col tempo cambia anche il programma. Non del tutto, alcune cose erano proprio vetuste, ma complice l’atmosfera particolarmente gaia e goliardica del pubblico mi sono divertito tantissimo. E lascio per ultimissimo uno dei miei grandi amori. Non mi stanco di ripetere che genio sia Borge Ringe e come i suoi tre cortometraggi (Oh my darling, Anna & Bella, Run of the mills) debbano essere imparati a memoria, quindi un suo programma monografico me lo sono visto. E’ stato integrato con altri suoi lavori (non all’altezza, va detto) e con un documentario solo parzialmente interessante e un po’ fuori fuoco. Una nota di biasimo per la pessima qualità della proiezione, in alcuni casi i quadrettoni mpeg sembravano da Youtube.

All’anno prossimo!

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Letture al sole I https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/letture-al-sole-i/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/letture-al-sole-i/#comments Mon, 25 Jun 2012 13:55:54 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1311

Due parole su quel che ho letto lo scorso weekend, spaparanzato sulla sdraio al sole. Dura la vita. Vediamo se avrò voglia di farne una rubrica regolare, ché qui si pisola troppo.

Di bello:

Valentina Melaverde v.4, di Grazia Nidasio: Valentina Melaverde è meraviglioso. Le piccole grandi avventure di una tredicenne in una città negli anni ’70. Un fumetto splendidamente anni ’70, con lo spirito del tempo ma ancora moderno. E poi è proprio divertente e ben disegnato.

L’appartement v.1, di Kung Full: un horror coreano che mi son procurato nell’edizione francese, dopo che in Italia la serie è stata iniziata e subito abbandonata. Un disoccupato scopre che ogni giorno, alle 21.56, in alcuni appartamenti si spegne la luce. Indaga la cosa e scoprirà questioni inquietanti. E poi cambia il punto di vista… Fa un sacco di paura ed è costruito davvero in modo entusiasmante. Non vedo l’ora di finirlo.

Ralph Azam v.1-3 di Lewis Trondheim: il nuovo fantasy di Trondheim, dopo che ha, ahimé, abbandonato il Donjon, ne riprende lo spirito di follia, invenzioni e un po’ di sadismo nei confronti dei suoi personaggi. Si legge che è un piacere.

Di brutto:

Deadpool v.1 di David Lapham e Kyle Baker: io i supereroi non li reggo più in nessuna forma, neppure in quelle revisioniste / sopra le righe/ postmoderne. Ho provato a concedere un’eccezione per questo per uno scrittore che mi piace con uno dei miei disegnatori preferiti, ma no. Supereroi, no.

Io sono Legione di John Cassaday e Fabrien Nury: horror, fantastoria e spionaggio sono ingredienti che se mescolati hanno del potenziale, ma in questo caso son stati sfruttati proprio male. Trama confusissima, con personaggi che appaiono agire a casaccio e Dracula tirato fuori dal cappello (ma no? quando inizia una storia in Romania, si sa che finisce sempre lì). Pffff, ho fatto proprio fatica a finirrlo…

Darwin di Paola Barbato e Luigi Piccatto: a me le storie apocalittiche piacciono un sacco, ma questa mi ha fatto proprio rizzare i capelli per la sciatteria, la confusione, la povertà dei dialoghi, la banalità dei personaggi e delle situazioni. Salvo solo l’idea, da quel che so inedita, di una Parigi post-apopocalittica (con inevitabile visita a Tour Eiffel e Louvre!) e i disegni di Piccatto.

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Annecy 2012 parte II: Cortometraggi in concorso https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/annecy-2012-parte-ii-cortometraggi-in-concorso/ https://pinguini.xxmiglia.com/index.php/2012/06/annecy-2012-parte-ii-cortometraggi-in-concorso/#comments Sat, 16 Jun 2012 11:42:53 +0000 http://www.xxmiglia.com/?p=1279 Già dissi che uno dei mantra ricorrenti di chi commenta Annecy è “Quest’anno la selezione era in media buona, ma mancavano i corti di spessore”, cosa che sento ripetere da quando frequento il festival. Inizio a questo punto a chiedermi cosa diamine siano i corti di spessore. Beh, comunque quest’anno mancavano i corti di spessore, e la selezione è stata in media scarsina. Ragioni? Mah! Forse la fantomatica “crisi”, per la quale ci son meno soldi da spendere per una cosa squisitamente improduttiva dal punto di vista economico come i cortometraggi animati? Forse il fatto che il comitato di selezione, per la prima volta, era interno al festival e ha fatto un lavoro mediocre? O semplicemente un caso? Boh!
Ma vediamo cosa c’era di notevole, in un senso o nell’altro.

Iniziamo col vincitore del Cristallo di Annecy, che non ho ancora detto essere Tram di Michaela Pavlatova (Francia,a sinistra), una ritmatissima animazione sulle fantasie erotiche di una guidatrice di tram. Certo, “manca di spessore”, ma direi che sono stato contento di questo premio, è un lavoro divertente, stuzzicante e molto originale. Potete vederne un teaser qui. E’ stato invece ignorato completamente dai premi il buon Aalterate di Christobal de Oliveira (Francia, Olanda, a destra), una storia onirica molto avvolgente e interessante, in particolare per una scena in cui le parti animate aumentano progressivamente fino a comporre un mosaico astratto complesso e ipnotico. Certo, se non ce lo diceva nel riassunto capire che erano gli ultimi pensieri di una donna in coma era quasi impossibile caprilo, ma visto che è un’opera prima confido nelle prossime prove dell’amico Christoballo.

Il secondo premio è stato relativamente prevedibile, in quanto si tratta di un corto che facilmente piace alle giurie: Edmond était un âne di Franck Dion (Francia, Canada, a sinistra) racconta del classico omino sfigato che scopre la sua vera natura quando, per fargli uno scherzo, gli mettono delle orecchie d’asino. E’ una storia sulla propria natura e sull’autorealizzazione. A me gli asini sono un sacco simpatici, soprattutto se paragonati a quegli stronzi malvagi dei cavalli, ma riconosco che è un corto furbetto e poco seminale, ma tuttavia ben realizzato e, in ultima analisi, apprezzabile. Immancabile il corto molesto dell’anno. Senza dubbio, il vincitore è Some Actions Which Haven’t Been Defined Yet in the Revolution di Sun Xun (Cina). Le tecniche più astruse come (in questo caso) l’incisione su legno possono essere suggestive, ma portano quasi irrimediabilmente a opere noiose e farraginose. Chissà di cosa parlava questo corto, mi sono appisolato un minuto o due e poi mi son svegliato con un tizio che si masturbava in primo piano. E già che parliamo di molesti, c’era anche un corto sullo schermo di spilli, pardon, sul fottuto schermo di spilli: Le Grand Ailleurs et le petit ici di Michèle Lemieux (Canada) , che come suggerito dal titolo e come da tradizione del fottuto schermo di spilli, era du’ maroni così di seghe mentali autoriferite.

Per continuare sulla scia dei lungometraggi, c’è un corto coreano che parla di altra roba pesa, e cioè delle donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e usate come oggetti sessuali dai soldati giapponesi in Indonesia. Si chiama Herstory (a sinistra), è diretto da Jun-ki Kim ed è un buon lavoro, strutturato come un documentario con la voce fuori campo in prima persona di una donna coreana che ricorda. Forse un po’ fastidiosa la rappresentazione dei giapponesi esattamente come erano mostrati dalla propaganda americana dl tempo (denti sporgenti, occhiali, sgraziati e storti), ma la cosa è evidentemente voluta. Spasso coreano, insomma. Rimanendo in oriente, due corti giapponesi da segnalare: il primo è di nientepopodimenoché Katsuhiro Otomo, si intitola Hi-no youjin (a destra) e parla di pompieri nel giappone dell’antica Edo con una storia d’amore impossibile sullo sfondo. Dà l’idea di essere un’idea per un lungometraggio abortita, perché ha un sacco di spunti appena accennati e personaggi che, evidentemente, erano pensati per avere una storia e una personalità che rimangono appena in nuce. Il secondo è Tsukumu di Shuyei Morita, ed è una storia di fantasmi alla giapponese, con un tocco di umorismo, gran begli sfondi e un sacco di ombrelli.

Il premio del pubblico non lo condivido affatto, e infatti ho manifestato il mio disappunto non applaudendo durante la premiazione e incrociando le braccia. Si tratta di Second Hand di Isaac King (Canada), un classico apologo morale sulla frenesia della vita moderna vs. i vecchietti che vivono tranquilli e riciclano. Ah, i danni che ha fatto Frédérik Back e la sua fottuta sedia a dondolo! Più condivisibile il premio Canal+ (che poi so’ sacchi!) a Una furtiva lagrima di Carlo Vogele (Lussemburgo,a sinistra), divertente animazione di… pesci morti! Altri due film degni di nota e che accomuno solo io nella mia mente malata sono Sunny Afternoon di Thomas Renoldner (Austria, a destra) e Rossignols en décembre di Theodore Ushev (Canada). Li accomuno perché sono corti astratti ma figurativi (eh?!?) che si basano in qualche modo sulla musica, ma il primo è una presa per il culo sulle avanguardie, condita con un’appendice perché, come dice l’autore “di più è meglio”, il secondo una rutilante sequenza di immagini pittoriche con un fortissimo impatto visivo ed emotivo. L’austriaco è stato il mio vincitore morale, il canadese colui che avrebbe dovuto vincere qualcosa sul serio.

Altri due premi da citare: il terzo premio è andato a Seven minutes in the Warsaw ghetto di Johan Oettinger (Danimarca), premio a mio parere incomprensibile per la solita storia dei nazisti che fanno una cattiveria senza senso. Mah! Meglio il premio della giuria Junior a Historia d’este di Pascal Peréz (Spagna, a destra) , un piccolo filmino divertente su un tizio che beve un sacco di caffé, brandy e birra giustificandosi con se stesso. Non un capolavoro, ma la giuria junior deve premiare film simili non, come ha fatto in passato, film impegnati per darsi un tono. Concludo con qualche rapido cenno. Era molto atteso il nuovo Barry Purves, sicuramente il miglior animatore di pupazzi al mondo, con Tchaikovkij elegija (Russia, Bielorussia) ma ha piuttosto deluso: grandissima prova tecnica, ma un po’ arido. C’è un estone che fa l’estone, quindi con una storia surreale coloratissima e divertente a modo suo: Villa Antropoff di Vladimir Leschiov e Kaspar Jancis; c’è anche il nuovo Pes, che fa sempre la stessa cosa e questa volta fa il Fresh Guacamole.

Beh, dai, alla fine qualcosa di cui parlare c’era. Che mi fossi sbagliato?

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