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Io non parlo molto bene. Il Signore Iddio da questo punto di vista non è stato generoso (e anche da altri, i miei detrattori aggiungeranno): non solo sono piuttosto balbuziente, ma pronuncio male sia sia la "elle" che la "erre", tanto che quando devo dire la via in cui abito, "Aleramo", mi ritrovo spesso a dover fare lo spelling (Ancona Livorno Empoli Roma Ancona Modena Otranto, che cazzo!).
Ciononostante, mi piacerebbe indagare il processo attraverso il quale lo standista della Coconino Press a Lucca Comics 2004 abbia trasformato il mio cognome "Ventimiglia", che pur non essendo comunissimo è sensato, in uno pseudo-fiammingo Van Zella. Beh, tutto sommato suona bene, pare il risultato di un’avventura di un bagnino di Rimini con un’olandese in vacanza.
Il mio cognome serviva a quel signore per farmi dedicare il volume Blankets di Craig Thompson. Gliel’ho lasciato e sono tornato dopo un po’, scoprendo che nel biglietto che indicava che il volume è mio era stato redatto quell’errore (quell’orrore!), ma che fortunatamente mister Thompson ha avuto il buon senso di dedicarlo solo al mio nome. Fico. E’ il primo fumetto che ho dedicato a me: ne ho altri firmati, ma raccattati più o meno casualmente. Aprendo un volume di Cerebus trovato in offerta l’ho scoperto con l’autografo di Dave Sim (ok, lo fa con tutte le copie della prima edizione, non è così raro).

Blankets di Craig Thompson è un fumetto del genere autobiografico minimalista che è abbastanza di moda nella scena underground statunitense e canadese. Seth, Chester Brown, Howard Cruse, a modo suo anche una semi-celebrità come Daniel Clowes si dedicano a raccontare gli affari loro, e persino autori mainstream come De Matteis non disdegnano puntatine. Tutto sommato non è difficile capire il perché: parlando di se stessi è semplice esternare sensazioni che si conoscono bene, piuttosto che crearle dal nulla in personaggi inventati; inevitabilmente, quindi, le emozioni parranno molto vere. Ovviamente, vedendo la cosa da un altro punto di vista, c’è l’imbarazzo di divulgare le proprie esperienze. Molti autori si limitano a ricordi passati, sfumati e in qualche modo censurati, ma c’è chi, come Chester Brown, usa quasi violenza contro se stesso nel narrare gli episodi più imbarazzanti e inconfessabili. Dev’esserci qualcosa di terapeutico, in questo processo.

Il monumentale Blankets, quasi 600 pagine, è piuttosto moderato da questo punto di vista. Parla di argomenti difficili come la perdita della fede, il primo amore vissuto un po’ in ipocrisia, un rapporto coi genitori costellato di mancanza di comunicazione, ma tutto con gentilezza, con partecipazione ma senza affanno. La narrazione si muove tra il Craig bambino e i suoi rapporti col fratello e i genitori, e il Craig adolescente che conosce l’amore con Raina e vede il proprio mondo andare a pezzi.
Le lenzuola di cui si parla sono sia quelle dei letti sia le lenzuola di neve che coprono il nord degli Stati Uniti in cui è ambientata la vicenda: questi due luoghi, il letto caldo e rassicurante, e la neve nel suo gelido silenzio, fanno da cornice a gran parte degli avventimenti importanti della storia. Tutto il resto appare quasi sfuocato, quasi un contorno apparentemente irrilevante. Ma sarà proprio quel contorno a fare la differenza…
Il tratto di Thompson è ugualmente gentile, quasi timido: un bianco e nero molto sfumato con tecniche apparentemente simili al carboncino segna personaggi molto espressivi e sfondi appena abbozzati (intanto gli esterni sono quasi tutti nella neve!), con rare e violente deviazioni nell’espressionismo più tipico dell’underground americano (tipo Robert Crumb, per intenderci) quando i sentimenti o gli avvenimenti si fanno più forti.

Blankets, di Craig Thompson, Coconino Press, 590 pagine in b/n 17×24, brossurato con sovraccoperta, 29 euro.