Il mio rapporto coi sogni è piuttosto strano. Premesso che non ne so molto dal punto di vista scientifico o psicoanalitico, mi sono dilettato nel cercare di riconoscere alcune caratteristiche, le quali non so se abbiano fondamento scientifico o se siano solo ipotesi campate per aria. Vabbé, non è il mio mestiere scrivere cose serie da queste parti.
Innanzitutto, non ricordo quasi mai cosa sogno. A volte mi rimane qualche tiepida impressione al risveglio, ma essa svanisce presto: suppongo si tratti di una conseguenza del fatto che ho la fortuna (o sfortuna?) di essere immediatamente attivo appena sveglio. Dopo un minutino scarso dal risveglio sono in grado di fare qualunque cosa, mentre invece vedo che la quasi totalità delle persone necessita di parecchio tempo per carburare. Conseguenza di questo è una cesura molto netta tra il sonno e la veglia, e quindi poco tempo per fissare nella mente i ricordi onirici.
Tuttavia, le volte in cui riesco a ricordarmi un sogno quasi sempre è un particolare molto forte e spesso deriva da un sogno lucido.
Un piccolo ripasso sui sogni lucidi per chi ne è a digiuno. Un sogno lucido avviene quando il sognatore è conscio del fatto che sta sognando; con questa consapevolezza, non è difficile addirittura manipolare i sogni secondo la propria volontà. Non starò ad approfondire questi concetti e le implicazioni filosofiche che hanno, dato che Alexandro Jodorowski ne parla a lungo in Psicomagia, che è un libro particolarmente interessante e di piacevole lettura (curioso però che gli sia sfuggita l’analogia con la meccanica quantistica per quanto riguarda il rapporto tra osservatore e fenomeno osservato). Leggetelo, non ve ne pentirete.
La cosa che mi inquieta è però che la maggior parte dei sogni lucidi che faccio mi sfuggono di controllo, e di solito prendono deviazioni su argomenti per me molto sgradevoli. Sostanzialmente il fatto è che, entrato nella zona di lucidità, mi dico "speriamo che non accada questo" e, ovviamente, appunto per il fatto che la mia mente è attirata da quell’avvenimento, esso succede.
Un esempio che mi porto dietro dall’età prescolare vede mia mamma e mia sorella che danno da mangiare ai pesci nel lago del Mulino. Questo posto non è altro che un piccolo slargo del torrente Rio Sbruggia del solito Sassello, i cui dieci metri quadri scarsi sono stati elevati per qualche ragione al rango di lago. Bene, da quel lago all’improvviso si leva un Tirannosauro, ovviamente subito dopo che mi sono ricordato di avere paura di quei bestioni estinti.
Più di recente qualcosa di peggiore. Andavo allegramente sulle rotaie con un tipico carrellino da miniera quand’ecco che il super-Luca pensa "ehi, speriamo di non finire orribilmente stritolati in qualche meccanismo!" ed ecco che tac! mi ritrovo maciullato in mezzo a degli ingranaggi. Notevole il fatto che, in questo caso, esiste anche un passaggio logico: i carrellini da miniera sono presenti nel film "Indiana Jones e il tempio maledetto" dove c’è anche una scena in cui un cattivo fa una fine del genere. A qualche livello più sepolto della mia mente devo essermi ricordato di questo legame.
Infine è di pochi giorni fa un sogno lucido ancora più assurdo: stavo con un amico della cui eterosessualità ho alcuni dubbi. Mi son detto "ehi, speriamo che non ci provi con me" e ta-dah! mi sono ritrovato a spompinarlo (il timore della passività trasformato in essere attivi mi lascia un perplesso, ma non voglio indagare oltre).
Tra i sogni non esplicitamente lucidi, ho un solo esempio di un ricordo abbastanza chiaro. Risale a quando andavo alle elementari, e riguardava me che ero un esploratore e andavo alla ricerca di una civiltà perduta. Certo, nulla di tremendamente originale, ma pur non ricordandone i particolari mi è rimasto impresso il fatto che ci fosse una sorta di sceneggiatura e che l’avventura non riguardasse tanto l’esplorazione vera e propria, quanto i preparativi ad essa, come un film che, dovendo risparmiare sugli effetti speciali, indugiasse a lungo per fare il botto alla fine. Il problema è che il finale non l’ho visto: giunti al sospirato momento in cui finalmente arrivavo in cima alla montagna che cintava la valle misteriosa e stavo per gettare uno sguardo alla tanto attesa meta, ecco che la mamma mi sveglia per la colazione. Uffa.
Si noti infine quanti termini cinematografici ho inavvertitamente usato: "sceneggiatura", "film", "scena", "effetti speciali". Trovo infatti che, per le rade impressioni che ho, i sogni utilizzino un linguaggio sostanzialmente cinematografico nell’uso di campi, scene, dialoghi. Una cosa che da tempo mi chiedo è se prima dell’invenzione del cinema i nostri sogni fossero differenti oppure se il modo in cui intendiamo comunemente il cinema abbia qualche relazione col mondo onirico.
Il nuovo fumetto di Takahashi!
No, non di Rumiko, quella di Lamù. No, nemmeno Tsutomu, quello di
Jiraishin. E manco Shin, l’autore di "Lei, l’arma finale". Belìn, ‘sti
musi gialli oltre ad essere tutti uguali si chiamano anche tutti allo
stesso modo. Dev’essere parte del loro piano di conquista del mondo.
Riniziamo.
Il nuovo fumetto di Yoichi Takahashi! Come chi è?
L’autore di Captain Tsubasa! Sì, "Holly e Benji", devo dirvi proprio
tutto. Ehi, dove andate? Fermi con quel bookmark su un sito porno!
Continuate a leggere.
Captain Tsubasa
è una mia piccola perversione, l’ho sempre trovato un fumetto
assolutamente delizioso. Apparentemente questo contrasta col fatto che
trovo il calcio uno sport sostanzialmente noioso, ma in realtà è
proprio per questo che sono in grado di godermi l’assoluta
improbabilità delle partite senza sentirmi in dovere di confrontarle
col "mondo reale" e di lasciarmi quindi andare alla sospensione
dell’incredulità. Non si tratta perciò di gusto del trash, ma di puro
entertainment nel leggere qualcosa che non ci prova nemmeno ad essere
realistico e manco coerente. Per inciso, la versione animata mi piace
di meno, è troppo stiracchiata e priva di mordente.
Caratteristica di Tsubasa è però il gioco al rialzo.
Per andare avanti per le diecimila pagine e più della serie si è reso
necessario porre di fronte al buon Holly avversari sempre più forti con
colpi sempre più spettacolari ed improbabili. Takahashi c’è riuscito,
ma dev’essere stato estenuante. Probabilmente nella ricerca di qualcosa
di più rilassante, ha voluto tentare un ritorno alle origini, un
tentativo di riscoprire le radici del successo del proprio manga
riscoprendone in qualche modo l’innocenza iniziale. Il paragone
immediato è con Akira Toriyama, il quale all’inizio dell’ultima saga di
Dragonball, dopo una serie di
nemici e di onde energetiche sempre più forti, sente la necessità di
tirare il fiato e di inserire elementi umoristici. Ahimé, la parentesi
è durata poco.
Tornando a Takahashi, il suo tentativo è stato fatto con una nuova serie, Striker Jin.
Jin
è un giovane abitante delle isole nel sud del Giappone che gioca a
calcio. Ha un innato talento, ma preferisce giocare per danaro
piuttosto che per passione, e per questo risulta piuttosto antipatico a
tutti. Un incidente che cancella la sua famiglia gli farà cambiare
atteggiamento, e il suo obiettivo sarà di costruire una squadra
vincendo le diffidenze e le inimicizie. Il paragone ricorrente è di un
"lupo capo-branco", che sconfigge gli avversari e li sottomette alla
propria forza e al proprio carisma. Il calcio presentato qua, come al
solito, non è plausibile, ma tornando a riguardare ragazzini di
provincia perde la componente superomistica dell’ultimo Tsubasa e
risulta più misurato, quasi più vicino al lettore.
Eppure pare che il bel gioco sia durato poco. Il fumetto dura solo due volumi, e ha un finale tronco:
una partita ben preparata in termini di aspettativa viene sfumata
subito dopo il cameo di tutta gang di Tsubasa. Assistiamo quindi al
finale qualche mese dopo: pare uno stratagemma simile a quelli di
Mitsuru Adachi nei finali delle sue opere, ma qui, più semplicemente,
rimane l’impressione che più semplicemente l’esperimento non abbia
avuto alcun successo e le spietate leggi dell’editoria giapponese
abbiano imposto la chiusura della serie. Il che, ovviamente, mi
dispiace, data la penuria spaventosa di manga da intrattenimento
decenti che il mercato italiano offre di recente.
Non starò a tediarvi coi numerini che tiro fuori, dato che trovo molto più divertente analizzare i referer: quando una persona giunge su un sito, può arrivarci o tramite accesso diretto (scrivendo l’indirizzo nel browser o usando un bookmark) oppure seguendo un link da un altro sito. Il posto da cui si proviene è un’informazione disponibile e si chiama appunto referer.
Per quanto riguarda il sito "Pinguini nel Salotto", sono ben pochi i siti che lo linkano. Ci sono quei disgraziati de Il covo degli sbronzi, c’è una ragazza che non conosco e che saluto, c’è il mio amico Carlo L. che mi ha segnalato nel suo blog. Sì, sono piuttosto isolato dalla blogosfera. Ogni tanto arriva gente da queste fonti, ma la parte veramente interessante sono i motori di ricerca. Anch’essi non sono altro che siti che indicizzano altri siti e osservando il link che si clicca si può capire qual è stata la chiave di ricerca utilizzata. Il mio sito, in particolare, ha una componente di testo dominante, e quindi, pur avendo poche visite, è raggiunto da molte ricerche. E direi che ho avuto qualche sorpresa, che, pure nel mio piccolo, dà conferma di alcune tendenze sull’uso di internet.
Un sito sfigato come il mio è tra i primissimi per google e msn search sulla ricerca pinguini, tanto che me ne arrivano sempre almeno un paio al giorno. Ovviamente questi due motori non sanno capire che, nonostante il titolo, io non parlo di pinguini in senso comune, però pare che in rete ci sia poco amore per i simpatici goffi uccelli antartici. Cattivi!
Si sa che su internet il sesso vende, e pure io ho avuto la mia dose di porcelloni che chissà cosa si aspettavano. Parecchio inquietante è la dose di gerontofilia che mi sono beccato: c’è il signore che cerca "zia figa", quell’altro che digita su google "cerco signore attempate" e quello che addirittura va a cercarsi "scopare mia nonna". E che cazzo, un po’ di decenza, gente! Per fortuna c’è gente sana alla ricerca di "tette calde", "casalinghe esibizionismo", "manga tette" o "mi piace scopare" (come dargli torto?). Non sono sicuro che chi cercava "calcio nelle balle lotta tette" andasse a cercare siti sporcellosi, ma è comunque finito nel posto sbagliato. Nè calci nelle balle né lotte né tette da queste parti, sorry.
(NB: purtroppo dopo aver scritto tutte quelle frasi in un solo periodo temo che le visite a questo scopo si moltiplicheranno!)
Ci sono poi quelli che sono assolutamente incapaci ad usare i motori di ricerca. Una persona è arrivata da queste parti cercando "frasi per compleanno", ma proseguendo fino alla nona pagina di google. Amico, se non hai trovato quello che cerchi nella prima pagina, al massimo nella seconda, vuol dire che hai sbagliato chiave di ricerca, non che quello che vorresti trovare sta sepolto nelle pagine successive! Stessa storia per quello che cerca "metafore genitori" ed è arrivato fino all’ottava pagina, o il mattacchione che alla ricerca di "barze" si è scorso sei pagine prima di giungere in un posto che denigra le sue amate storielle.
E ancora, ogni tanto sbucano gli studentelli sfaticati furbacchioni che cercano roba già fatta per i loro compiti. Non spiego altrimenti le ricerche su "commenti Malavoglia", "rapporto col lettore Manzoni" o lo spudoratissimo "saggio breve la fame nel mondo". Certo che i professori potrebbero sforzarsi di trovare qualcosa di più interessante…
Pare incredibile, ma alcuni sono arrivati nel posto giusto. C’è quello che cerca "Malmsteen il demonio" ma avrà scoperto che è un mistero anche per me, c’è quello che cerca "luca xxmiglia" e mi ha trovato, c’è il signore che cercava "recensioni blankets" e pure lui ha trovato una delle pochissime recensioni di questo bel fumetto. Molto inquietante è colui il quale ha cercato "ancona livorno empoli roma ancona modena otranto", ovvero lo spelling di "Aleramo". Io avevo le mie ragioni per farlo, ma non riesco ad immaginare perché qualcun altro dovrebbe scrivere questa esatta sequenza. Evidentemente ha fatto copia e incolla da quell’articolo a google e poi è tornato indietro, ma me ne sfugge la motivazione.
E infine c’è il contadino tecnofilo che usa google per "cerco stalla a Sassello". Sniff, chiedi a Baciccia al Piano, puoi sempre comprare la mia vecchia adorata casa!
C’è un italiano, un francese e un inglese che.
L’analisi del funzionamento delle storielle è stato già adeguatamente dibattuto da Achille Campanile nel "Trattato delle Barzellette", e spinguinato da Elio e le Storie Tese nella meravigliosa "vendetta del Fantasma Formaggino", quindi in questa sede vi toccherà ascoltare i miei lamenti su questo argomento. Le barzellette sono una mia maledizione: non mi piacciono, non credo di aver mai riso ad alta voce ascoltandone una, raramente mi solleticano anche solo un minimo di divertimento intellettuale. D’altra parte difficilmente le scordo, e ho addirittura anche un certo talento nell’individuare il finale prima che esso venga raccontato. Come se questo non fosse abbastanza, ho problemi anche dal punto di vista opposto: se devo raccontare una barza, l’interrogazione al mio database di storielle fallisce spesso, e, quando le ricordo, il racconto è decisamente scadente, sia per le mie scarse doti di oratore sia per l’abilità di sintesi che mi contraddistingue, che mi fa andare dritto al nocciuolo della battuta tralasciando gli orpelli, che in realtà sono ciò che rende (dovrebbe rendere) le barzellette divertenti.
Tutto questo mi pone in difficoltà quando, in società, è il momento delle barzellette. Di solito in buona fede, mi vengono raccontate per passare un po’ di tempo, o credendo di divertirmi, o magari (il peggio!) per rompere il ghiaccio tra sconosciuti. A metà barzelletta mi rendo conto che o la conosco già oppure so dove va a parare; nella migliore delle ipotesi la barzelletta mi soprende ma non mi diverte. E allora che fare? Dipende sostanzialmente dai rapporti che ho con la persona in questione. Se posso permettermelo, la interrompo a metà o, alla fine, rimango impassibile e chiedo sarcasticamente "e poi come va avanti?". Se invece non posso, per educazione o perché non mi conviene far indispettire l’interlocutore, allora sorrido con cortesia alla fine. Ma non chiedetemi una grassa risata, non fa per me. Per quella ci sono mezzi più semplici ed efficaci.
E ora, per la gioia dei grandi e dei piccini, svelo uno dei grandi misteri che le logge massoniche riservano solo agli iniziati delle cerchie più interne: come vincere ad Ambarabacicicocò. Tralasciando l’analisi delle sordide storie di zoofilia sottese al testo che già Claudio Bisio ha spinguinato, osserviamo la struttura di questa conta.
Essa, come tutte le altre, prevede che si segua il ritmo della filastrocca, facendo un "passaggio" ad ogni sillaba. La filastrocca è costituita da 46 sillabe:
Ambarabacicicocò (8)
tre civette sul comò (7)
che facevano l’amore (8)
con la figlia del dottore (8)
il dottore si ammalò (7)
ambarabacicicocò (8)
Quindi, se si è in due "starà sotto" la persona che fa la conta, se in tre quello successivo, se in quattro quello ancora dopo e così via. Ecco uno schema fino a 10 persone:
Persone | Posizione |
2 | 0 |
3 | 1 |
4 | 2 |
5 | 1 |
6 | 4 |
7 | 4 |
8 | 6 |
9 | 1 |
10 | 6 |
Se non si può contare oppure ci sono abbastanza persone da avere il dubbio che possano essere esattamente 23, si può porre un pochino di attenzione in più e notare che 41 e 43 sono numeri primi: questo implica che mettersi nella terza o nella quinta posizione è praticamente sicuro ( * ), a meno di non avere più di quaranta amici. In tal caso, comunque, siete abbastanza popolari da poter affrontare l’onta di stare sotto.
Sempre nel caso che ci siano diverse persone ma non si sappia di preciso quante, sono da evitare la prima, la quarta e la sesta posizione: 40,42 e 45 hanno molti divisori.
Se si è in due e si è obbligati a fare la conta, allora bisogna giocare un po’ sporco. Suggerisco tre trucchi:
1) iniziare a contare da se stessi invece che dal proprio "avversario"
2) far diventare 47 o 49 le sillabe presenti. Lo si può fare comprimendo due sillabe in una da qualche parte (viene bene sul "tre ci" che sono già abbastanza legate) o eliminando il dittongo su "si ammalò", trasformandolo in uno iato e portando quindi a quattro sillabe invece che tre il complesso di quelle due parole. Aggiungere un ulteriore "cò" alla fine non funziona.
3) stabilire arbitrariamente che chi è colpito dall’ultimo "cò" è colui che vince e non colui che perde.
Tutto questo è applicabile ad altre conte, basta sapere il numero di sillabe che le compongono. Ad esempio, la filastrocca su Pierin stitico e il solito dottore perverso ha 42 sillabe. Mettetevi per quinti o contate solo se siete in meno di sei.
Supponendo che dopo un’eliminazione si proceda con la persona seguente, non è banale trovare una formula generale (o magari lo è per chi ha preso più di 20 dell’esame di Algebra o l’ha studiata un po’ più di recente di me). Esaminiamo alcuni casi semplici, e poi vediamo come ricondursi ad essi per i casi più complessi.
In due, la situazione è identica al caso banale. Vince chi fa la conta.
Per il seguito stabiliamo una convenzione: i giocatori vengono denominati A, B, C e così via, corrispondenti alla loro posizione iniziale (A = 0, B =1 etc.). Nel proseguire del gioco, la loro posizione varierà,ma il loro nome (ovviamente) rimarrà costante.
In tre si parte da questa situazione:
Posizione | 0 | 1 | 2 |
Giocatore | A | B | C |
Essendo 46 mod 3 = 1, viene eliminato il giocatore B, e la conta riparte da C. Ci si ritrova quindi nel caso
Posizione | 0 | 1 |
Giocatore | A | C |
E vince di nuovo A.
In quattro la situazione iniziale è questa:
Posizione | 0 | 1 | 2 | 3 |
Giocatore | A | B | C | D |
46 mod 4 = 2, viene quindi eliminato C. Attenzione, ora la conta riparte da D, quindi la situazione è la seguente:
Posizione | 0 | 1 | 2 |
Giocatore | B | D | A |
E, visto il caso precedente, vince chi è nella posizione 0, cioè B.
…e così via. Sostanzialmente si può operare per induzione e costruire ogni passo basandosi sul precedente. Proabilmente esiste una tecnica generalizzata più efficace ma temo che sia al di sopra delle mie possibilità. Se qualcuno ha voglia di approfondire, è il benvenuto. Per quanto mi riguarda, penso di aver dedicato abbastanza tempo ad ambarabacicicocò.
Postilla: Carlo C.mi fa correttamente notare che qualcuno usa suddividere il primo e l’ultimo verso in "am-bara-ba-ci-ci-co-co". Tale ipotesi è supportata dal fatto che così ogni riga risulta un verso ottonario, e in effetti non mi suona male una divisione simile, anche se personalmente preferisco la mia ipotesi. Accettando questa versione, il numero di sillabe della conta è 44: tutti i ragionamenti sopra esposti rimangono validi ma vanno rifatti i conti.
( * ) Dimostrazione: se n è il numero di persone che giocano e k è la posizione, vale 46 mod n = k. Questo implica che esiste a tale che a * n + k = 46, dove a è il numero di giri che si percorrono nella conta, e quindi a * n = 46-k.
Quando 46-k (nello specifico, k=3 o k=5) è primo allora a (che rappresenta il numero di giri che si percorrono nella conta) può essere solo 43/45 e n = 1 (cioè si gioca da soli!) oppure n=43/45 e a =1 (tanti giocatori, poco più di un giro).
Di recente, per colpa di Trondheim ma non solo, ho iniziato a studiare francese. Mi sarebbe piaciuto seguire un corso vero, ma i miei impegni sono un po’ troppo stringenti per potermi permettere due sere a settimana o giù di lì da dedicare ad uno sfizio come questo. Quindi, da inguaribile presuntuoso che sono, ho deciso di fare da solo: mi sono recato in libreria e ho acquistato un corso. Iniziando con pazienza e dedizione lo studio, mi sono ritrovato in un mondo che era dai tempi dei primi anni del liceo che non affrontavo più: quello dei corsi di lingua.
Trovo adorabile la demenza dei dialoghi dei corsi di lingua staccati dal loro contesto, se osservati come se fossero una sceneggiatura e non lezioni. Ci sono sempre alcuni personaggi assurdi che iniziano parlando come dei deficienti delle cose più stupide scandendo le parole e poi, per coincidenze misteriose, si trovano ad affrontare situazioni che richiedono discorsi più complessi che vengono sciorinati con parlantina più naturale. Un po’ come se, nell’Amleto, il protagonista dovesse aspettare che i suoi spettatori abbiano imparato il verbo essere e relativa negazione per poter declamare il famoso monologo.
Nei dialoghi che ho affrontato succede che a Strasburgo ci sono un italiano trapiantato all’estero, un certo Mario (Mariò, mi raccomando) che est clarinettiste. Questo figuro,rappresentato come un panzone con gli occhiali, sta con una certa Claire, una francese magra e col naso a punta, che fa l’insegnante di musica. Un giorno (precisamente nella Lesson 1) vanno al Festival de la musique della loro città. Quel giorno cambierà la loro vita. Vedono infatti la segretaria di Claire, una franco-irlandese di nome Fiona, che canta. Oh, elle chante très bien! Ed è una sana ragazzona coi capelli rossi con due belle chiappone! Altro che quella francesina scassapalle tutta ossa! I tre vanno a bere una bière e mangiare une croque-monsieur e qualche giorno dopo Fiona invita i nostri eroi a casa sua, per fêter. Fiona sta in Rue de la Republique, ovviamente ad un numero semplice, il cinque: d’altra parte è la prima lezione sui numeri, quelli complicati devono ancora arrivare.
Fiona offre da bere champagne e poi spara la bomba: ha deciso di aprire una scuola di musica, forte delle sue skill di segretaria e di canto dilettantistico. E, guarda un po’, ha deciso che Mario diventerà professeur di clarinetto e Claire, chissà perché, di batteria. I due, probabilmente ubriachi marci, ovviamente accettano senza esitare.
Cambio di scena: si avvicina l’anniversario di Mario e Claire. Mario va a comprare un gâteau forêt noir. La vendeuse gli fa notare che quella piccola è per sei, quella grande per dodici: forse per due persone è meglio un baba au rhum. Ma quel maledetto panzone italiano pizzaspaghettimandolino se la prende tutta e probabilmente se la magna da solo. Claire in qualche modo se la prende per il regalo peloso, e decide di vendicarsi: nella Lesson 8 lo benda e lo porta a fare un giro in macchina…à Paris! E che andiamo a fare a Parigi? Suprise! Probabilmente Mario spera di trovare là Fiona nuda sulla Torre Eiffel pronta per un giochino a tre, ma temo che le sue speranze saranno deluse. Lo scoprirò nella prossima lezione.