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Misteri della vita XXVII

Recentemente si parla molto di influenza aviaria, con informazioni contraddittorie che alternano allarmismo e isteria a tranquillizzazioni e minimizzazioni altrettanto eccessive. Io di carattere sono molto scettico, quindi continuo a gustare il pollo, animale che amo molto, felice del fatto che sia sceso di prezzo e irridendo coloro che, per eccesso di prudenza, si privano del prelibato alimento.
C’è però un aspetto di tutta questa storia che mi incuriosisce: le uova. Essendo una malattia che pare si trasmetta attraverso il sangue, mi pare più che ragionevole che il virus sia presente anche negli embrioni, quindi nelle uova. Inoltre, le uova, a differenza della carne di pollo, si consumano frequentemente crude (maionese, creme varie, gelati, carbonara…), senza l’effetto disinfettante della cottura. Come se non bastasse, la provenienza delle uova nei prodotti industriali è spesso ignota. La mia curiosità è data dalla latenza di notizie da parte dei mass media su questo aspetto, visto che continuano a focalizzarsi sull’aspetto più evidente, quello della carne. Anche nell’ipotesi che le uova siano sane, perché non dirlo? O, per mettere la cosa sotto un altro aspetto, perché perdere un’occasione di creare isteria e allarmismo?
La mia ipotesi è che semplicemente non ci abbiano mai pensato. Ecco la ragione di questo post: far scendere un brivido di terrore a chi, dei miei lettori, affogherà le patatine in quella merda gialla.

Un anno di pinguini (che puzza!)

Oh, che palle, il post del compleanno: lo fanno tutti i blog. Questo, che è un blog che ama pensarsi atipico (anzi, forse non è neanche un blog in senso comune, ma vallo a spiegare a tutti gli amici che non vogliono leggermi perché "non mi piacciono i blog"), magari poteva risparmiarsi il consueto articolo in cui, approfittando della ricorrenza, si tirano le somme. E invece no. Così va la vita.
Mi piace pensare di scrivere per me, e non per compiacere i miei lettori. Questo è solo parzialmente vero: da un lato, lo ammetto probabilmente senza stupire nessuno, controllo il numero di visite e sono contento quando c’è qualcuno che mi legge e magari che mi commenta. Non vi tedierò con le mie analissime statistiche, ma sappiate che siete in lenta ma irregolare crescita (picco massimo a luglio. Imbecilli, andate al mare invece di leggere Pinguini!). Per ora circa 15 al giorno, all’inizio eravate 10. Se il trend dell’aumento del 150% annuale persiste, datemi qualche secolo e supero Selvaggia Lucarelli e Beppe Grillo. Il successo di pubblico è pertanto minuscolo, quasi trascurabile, ma tiro avanti per la consapevolezza che chi mi legge in generale lo fa con piacere. Basso indice d’ascolto, alto indice di gradimento, avrebbero detto una volta in Rai. Così va la vita.
D’altra parte, scrivo quello che mi pare, tirando fuori dei mattonazzi che probabilmente non legge nessuno ma che mi piace pubblicare solo perché si tratta di pensieri che mi frullano per la testa da anni, ed è ora che vengano tramandati ai posteri. Ovviamente, sto pensando alla serie sui Negazione che presto porterò a compimento (eh, così va la vita), ma probabilmente anche quella sulla Settimana Enigmistica è del genere. L’unico vincolo che cerco di pormi è di evitare di raccontare quello che mi capita giorno per giorno o di commentare l’attualità: per queste cose avete l’imbarazzo della scelta, se invece volete un fesso che vi racconti aneddoti della sua infanzia (vero che ridete con me e non di me? vero?),che esponga i suoi dubbi su un mondo a tratti incomprensibile o che vi faccia notare cose che avevate sotto il naso, mettetevi comodi. Ho ancora un sacco di cazzate da sparare. Così va la vita.

Doni del cielo

Il Signore Iddio non ci ha creati tutti uguali, e a ognuno di noi Egli ha donato delle capacità particolari. Maradona sa palleggiare coi limoni, Berlusconi sa raccontare le balle, Peter North può…ehm, sorvoliamo. In genere si tratta comunque di talenti che possono essere sfruttati per avere successo economico o sociale, come nei tre esempi citati.
E a me cosa ha donato Domeniddio? Come minimo, io possiedo i seguenti quattro talenti:

(Sì, vabbé, c’è poi il dettaglio che le persone più intelligenti di me che conosco si contano sulle dita di una mano (1), ma questo è marginale. Come siete pignoli!)

(1) No, non conosco meno di cinque persone.

Ossimori, pizzerie e bevande dolciastre

Dallo scontrino di una pizzeria milanese (facciamo i nomi? facciamoli! Anema e cozze, in via Palermo; la pizza è più che buona):
Limoncello omaggio 6 x 0,06
0,36

Ora, io non sono ricco, ma posso permettermi di fregarmene dei sei centesimi. Non sono neanche uno di quegli amanti delle questioni di principio che vanno a protestare per amor di giustizia. Il problema è che a me il limoncello fa cagare, e lo prendo quando me lo offrono per una combinazione di atavica cortesia e di squallida avidità. Ma tu, stupido ristoratore, inventore di simpatici calembour nelle insegne, se proprio vuoi fare lo splendido concedimi uno sconto oppure taglia quel piccolo furto chiamato coperto, e tienti pure quella fetida brodaglia gialla!

La cassiera e la vip misteriosa: una storia colla morale

Autunno 2004: Genova, Coop di Piazza Piccapietra
Sono in coda alla cassa dopo una spesa svogliata. C’è gente, e, appoggiato al carrello, mi guardo intorno in attesa del mio turno.
Il mio sguardo cade su una signora bionda, piuttosto in carne, circa cinquantenne. Non è certamente una bellezza, eppure qualcosa scatta: sono assolutamente certo di averla vista prima. Provo a pensare a conoscenti e luoghi frequentati di recente, ma è il buio. Beh, pazienza. Quando è quasi il mio turno, però, sento una cassiera dire ad un’altra:
– Hai visto chi c’è? E’ proprio lei!
Questo mi fa intuire che stavo sbagliando strada: la bionda in questione dev’essere una vip! E allora il mio pensiero spazia alla tv, allo sport, al cinema. Niente, niente, niente di tutto questo. Mi arrovello, anche ben dopo che sono uscito dal supermercato. Forse una presentatrice? Una valletta di altri tempi decaduta? Magari lavorava anche solo a Primocanale. Oppure è in politica e compare ogni tanto nei Tg regionali. E se fosse la moglie di qualcuno di importante e godesse solo di gloria riflessa? Il vuoto.

Il giorno dopo mi arriva l’illuminazione mentre mi faccio la barba (al mattino, col cervello fresco, ho spesso intuizioni folgoranti). Si trattava semplicemente di una signora che l’anno precedente aveva frequentato la stessa palestra in cui faticavo io. Il discorso delle cassiere era totalmente indipendente dalla questione.

La morale è: Non fidatevi di quello che sentite dalle cassiere dei supermercati

(oh, che vi aspettavate? Le favole di Esopo o di La Fontaine non hanno affatto morali molto più furbe!)

Odia gli stupidi: Introduzione

La serie di articoli "Odia gli stupidi" è stata concepita per il sito dei Bishoonen, un gruppo musicale ligure che si occupa di cover di sigle di cartoni animati e che tutti dovreste andare a veder suonare prima o poi. La responsabilità della creazione è da attribuire a me e a Gianluca Aicardi, ma il contributo di quest’ultimo è innegabilmente maggiore del mio. Per queste ragioni (il target e gli autori) il tono e lo stile potranno sembrarvi diversi rispetto ai soliti Pinguini: ciononostante, ritengo che siano una lettura talmente piacevole e divertente che la voglio proporre anche a chi, dei miei quattordici lettori, non frequenta i Bei Ragazzi.
Luca XX


ODIA GLI STUPIDI

Commentario esegetico alle sigle delle serie animate d’annata

di Gianluca Aicardi

Ogni serie animata che venga importata in un Paese diverso da quello di origine (ossia, in gran parte dei casi, USA o Giappone) richiede, come ogni altro prodotto audiovisivo, la traduzione, l’adattamento e il ridoppiaggio dei dialoghi nella lingua di destinazione. Una peculiarità dei prodotti seriali, però, è costituita da ciò per cui il simpatico complessino celebrato in questo sito è diventato (quasi) famoso: le canzoni eseguite durante le sigle di apertura e chiusura di ogni episodio. Le sigle sono importanti, definiscono il tono della serie, affascinano e fidelizzano il pubblico, e sono anche un modo per aumentare il giro d’affari di una produzione. Per questo motivo, la prima ondata di animazione televisiva giapponese giunta in Italia a partire dalla fine degli anni Settanta ha visto sorgere anche il fenomeno della riscrittura delle sigle, talvolta inserendo testi italiani sulla musica originale, più spesso in toto. I dischi delle sigle venivano poi venduti con profitto sul mercato italiano, sulla scia del successo del programma TV.

Il vero e proprio patrimonio culturale rappresentato dalle sigle commissionate dalle nostre reti televisive tra gli anni Settanta e gli Ottanta nasconde interessanti punti di analisi, da un punto di vista testuale, musicale e storico. Tralasciando quest’ultimo aspetto, il più complesso (attorno a quelle produzioni ruotavano molti illustri personaggi del mondo televisivo e discografico di allora, e le vicende produttive di certi brani meriterebbero un approfondimento ben più ampio), rimane da esaminare il valore musicale di ciascuna di quelle canzoni, ma soprattutto il testo che le accompagnava, e che spesso era il punto dolente dell’intera operazione. Ricordiamoci infatti che stiamo parlando di oggetti pensati unicamente come prodotti di consumo, e per di più diretti quasi esclusivamente a un pubblico molto giovane. Questo non ha impedito ad alcuni dei musicisti coinvolti (molti dei quali, come vedremo, vantavano una vasta esperienza e indiscusse capacità) di creare un impianto musicale magari manierista[1], ma efficace e talvolta persino pregevole; la qualità dei testi, d’altro canto (e anche qui c’erano fior di professionisti a curarli), era l’ultima preoccupazione di autori e committenti, che puntavano soprattutto a ottenere motivi semplici e orecchiabili.

Così, con le dovute eccezioni, le sigle delle serie animate sono da sempre popolate di strofe improbabili e ritornelli deliranti, di immagini accidentalmente surreali e di vere e proprie assurdità logiche, pressappochismi e goffaggini stilistiche; tutti elementi che per comodità riassumeremo nel termine tecnico di “stupidate”.

Le categorie di stupidate sono essenzialmente quattro:

stupidate assolute: versi che esprimono concetti erronei e/o ridicoli (per citarne una celebre, l’idea che un robot, essendo un ritrovato scientifico, mangi “libri di cibernetica” e “insalate di matematica”, benché possa ancora passare per metafora comica), inclusi errori di logica senza licenza poetica che tenga, e cantonate dovute a ignoranza scientifica o pressappochismo (“una stella che è esplosa anni luce fa”)

stupidate relative: concetti che potrebbero funzionare di per sé, ma non hanno senso parlando della serie in questione (Lupin non “ruba i soldi solo a chi ce n’ha di più per darli a chi non ne ha”, non si è mai sognato di farlo in vita sua!)

stupidate poetiche: il ricorso a versi di scarsa qualità, goffi o involontariamente comici (“le caprette ti fanno ciao”), oppure elementi inseriti a sproposito per pura necessità metrica

strafalcioni linguistici: errori puri e semplici nell’uso della lingua (“spazio e tempo non ti fermerà”)

Nella serie di articoli che seguiranno in questa rubrica, useremo questi strumenti di analisi, ma non solo: il tentativo è quello di sviscerare questi testi non tanto per metterli alla berlina ma anche e soprattutto per capire cosa c’era di valido, quali possono comunque considerarsi riusciti, facendo sempre le debite proporzioni e non dimenticando mai il tipo di materiale e di ispirazione che stiamo trattando.

Cercheremo anche di dire qualcosa sul versante musicale, talora con l’assistenza tecnica dei Bei Ragazzi in persona.

Enjoy.


[1] Quando non contenente veri e propri stralci di brani già esistenti, come si vedrà caso per caso.

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