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Come Jovanotti mi ha minato l’esistenza

Oggi parliamo di musica. Forse farà piacere a qualcheduno dei miei lettori sapere che mi sono riavvicinato a questo mondo da quando ho scoperto la musica classica, ma questo non c’entra molto col resto del discorso, tanto più che il tema del discorso è Jovanotti.
Nel 1988 mi piaceva Jovanotti. Penso che io, quattordicenne, facessi parte del pubblico ideale del primo Jovanotti, il postpaninaro che parlava di fare casino, che aveva un mito nebuloso dell’America e che era l’emblema di chi è arrivato al successo senza sforzo, quasi per caso. Era il Jovanotti di Jovanotti for President, il suo primo album, quello in inglese con Gimme Five, The Rappers, Ragamuffin e Go Jovanotti Go. Quest’ultima canzone addirittura l’avevo imparata quasi tutta a memoria, e l’inizio di quel testo immortale lo so ancora:
Baby baby do you wanna drive my car/’cos I can’t get the license/I’m just the superstar/I got the blue leather jacket and the baseball hat/I don’t look at the words I just care for the fact.

Durante un’esibizione a Deejay Television, Jovanotti spiegò ai suoi fan come equalizzare lo stereo. Seduto sul bordo di una piscina dell’Aquafan abbracciando uno stereo portatile a cassette con le tipiche tre frequenze da equalizzare (bassi, medi ed alti), il prode “cantante” chiarì:

– La levetta di sinistra l’alzate al massimo, quella di mezzo la lasciate così com’è mentre quella di destra anche quella l’alzate al massimo.

(e sono ragionevolmente sicuro che l’anacoluto ci fosse nel suo discorso originale). Io obbedii senza neanche pensarci troppo. Jovanotti diceva di fare così, Jovanotti era un fico, quindi questa era l’equalizzazione corretta. Pochi mesi dopo passai ad ascoltare Heavy Metal e rinnegai Jovanotti regalandone la cassetta a mio cugino, ma ormai ero talmente abituato all’equalizzazione alla Jovanotti che settaggi diversi mi suonavano male. Anche quando ebbi in seguito accesso ad equalizzatori con più bande, utilizzai sempre la regola della V: alti e bassi al massimo e le altre bande a scemare fino ai medi, tenuti neutri.

Di recente, giacché ascolto musica un po’ differente, un giorno mi è sorto un terribile dubbio, e ho controllato come ho equalizzato il lettore mp3 e tutti i software che uso sul pc per sentire musica. Ho scoperto che il virus dell’equalizzatore alla Jovanotti non mi ha ancora lasciato.
Allora sono uscito e, durante una tempesta mi sono inginocchiato sotto la pioggia e, sferzato dal vento, ho gridato al cielo: “PERCHÉÉÉÉÉÉÉ?!?”.

Ok, forse no. Ma il resto è vero.

(qualche giorno di pausa per questo blog. Si ritorna poi con la nuova sezione La faccia come il culo, che probabilmente detesterete. Cazzi vostri.)

Misteri della vita LXVIII: Arachnophobia

Io ho una paura matta dei ragni; mi fanno talmente ribrezzo che faccio fatica anche a scrivere questo post perché mi costringe a pensare a loro. So che è una fobia estremamente diffusa, ma non ho mai capito da dove si origini, tanto più che ogni altro tipo di insetto/aracnide a me fa un baffo, ivi compresi scorpioni, scarafaggi,  e vespe. Ok, i ragni sono brutti, camminano per terra con le loro zampette e sono velenosi. Eppure anche tu sei mica tanto bello, anche tu cammini per terra con le tue zampette e anche tu sei velenoso. Vabbé, forse velenoso no, ma le api e i funghi mi sono simpatici, e anche i serpenti alla fin fine li trovo dei bravi guaglioni.
Insomma, che fanno di tanto male i nostri octapedi amici?

Le delusioni aiutano a crescere (C) Kotekino

Io non sono un grande amante di dolci. Le mie perversioni alimentari sono più orientate verso le patatine, la carne, la pizza; tuttavia c’è un’eccezione: il cioccolato. Da piccolo, poi, era il mio “premio”: dopo aver sparecchiato la tavola o fatto qualche altra piccola incombenza, mi guadagnavo il diritto di prendere uno o due cubetti della delizia marrone, che inevitabilmente non mi bastavano mai.
Una mattina, durante la terza o la quarta elementare, vidi un po’ di folla intorno al banco di Nadia, e notai che la gente si allontanava con in mano una carta di cioccolatino. Col cuore in gola mi avvicinai e chiesi a Nadia senza pudore: “Posso averne uno?”. Lei fu un po’ sorpresa (non ero molto in confidenza con quella bambina) ma disse comunque “Certo!” e mi porse…una carta di cioccolatino di stagnola. Per un momento fui indeciso se mettermi a piangere o picchiare quella sfrontata, ma poi notai che mezza classe era impegnata in una strana attività: tutti coloro che prima avevo visto con una carta di cioccolatino in mano erano seduti sul banco ed erano impegnati a lisciarla con pazienza, togliendo ogni minima pieghetta. Si trattava semplicemente di una moda stupidina che era scoppiata e che, ovviamente, sarebbe durata meno di una pipì di farfalla.
A questo punto, con la mia carta in mano, mi diressi al mio posto. La lisciai un pochino, ma poi sentendomi troppo imbecille, emisi un sospiro e mi misi ad odorare la carta. Almeno così potevo immaginare il cioccolato che c’era stato dentro.

Enciclopedia Stronza XX: Gorlap, Lampadina, Semaforo rosa

Gorlap: materiale per pentole e padelle realizzato nel 1973 in laboratorio dal chimico Heinrich von Salmonn, ottenuto mediante la miscela di vari ingredienti chimici e da un composto realizzato a partire dalla pelle secca del gorilla. La linea Gorlap Kitchen non resistette più di un anno sul mercato per motivi di vario tipo. Innanzitutto, non di rado nei piatti cucinati con pentole in Gorlap capitava di trovare peli di gorilla; in secondo luogo, se portati a una temperatura superiore ai 52 gradi, gli utensili in Gorlap cominciano a emanare un deciso odore di gorilla morto. Ultimo ma non meno importante, l’utilizzo del Gorlap ha portato sull’orlo dell’estinzione i gorilla del Congo, e a causa di questo gli utilizzatori del materiale sono spesso visitati da fantasmi di scimmie che tirano loro cacca ectoplasmica.

Lampadina: oggetto speciale del primo classico Super Mario Bros per Nintendo. Nessuno sa come ottenerla né a cosa serva, e i programmatori del gioco negano la sua esistenza, ma Alan, amico di mio cugino Lorenzo, dice che c’è.

Semaforo rosa: speciale colore di un semaforo posto in un incrocio di Bigadina Sabbiafine, in Emilia Romagna. Nel 1988, l’assessore al traffico Rosella Menabuoi decise di sperimentare un nuovo segnale al semaforo principale della cittadina romagnola. In esso compariva un quarto colore, il rosa appunto, che secondo l’idea del fantasioso assessore sarebbe servito a favorire le donne: col semaforo rosa, possono passare solo le donne, sia in auto che a piedi, che sono così al riparo dai pirati della strada, quasi sempre uomini. Purtroppo, in questo modo, col semaforo rosa passavano indistintamente tutte le donne, come automobiliste e come pedoni, da qualsiasi direzione provenissero, provocando una serie di incidenti mortali. Tre mesi dopo, la popolazione di Bigadina Sabbiafine era composta unicamente da maschi e da Rosella Menabuoi, che girava in elicottero.

Misteri della vita LXVII: Mani bagnate

Una delle peggiori iatture che possano capitare al Giovane Frequentatore di Toelette Pubbliche è di incontrare, dopo il lavaggio delle mani, l’asciugatore a getto d’aria. Ho cessato già da tempo di provare ad utilizzarlo, so che mi stufo dopo poco di stare con le mani a penzoloni in attesa che il getto faccia il suo dovere. Finisco quindi per asciugarmi le mani nei pantaloni, se essi lo permettono, oppure scuoto vigorosamente le mani e le tengo in alto finché non sono più bagnate. Non uso i fazzoletti di stoffa, che schifo, magari ci ho sternutito dentro o mi son soffiato il naso! Qualcuno usa persino passarsi le mani nei capelli per asciugarle, io no. L’igiene innanzitutto.

Insomma, a parte che ai produttori di getti d’aria, a chi giova un sistema così inefficiente? Cui prodest tutto ciò? E no, non è questione di ecologia: essendo dispotivi a resistenza elettrica, i malefici asciugatori consumano non poca elettricità (visto anche il tempo che rimangono accesi!), e penso che i fazzoletti di carta riciclata o gli asciugamani rotanti siano migliori.

Un uomo di mondo

Quand’ero un ragazzetto, diciamo intorno ai quattordici anni, lessi su Panorama un illuminante articolo sulle cose che “un uomo a trent’anni dovrebbe saper fare o aver fatto”. Dev’essere proprio duro riempire 200 pagine a settimana, anche tolte la pubblicità e le tette. Ai tempi i trent’anni erano ancora lungi da venire, tanto che di quell’elenco ricordo solo due voci: “Saper scegliere un melone maturo” e “Aver avuto una relazione con una donna sposata”. Sul melone ci sono, sulla donna sposata mi attrezzerò, non vorrei che l’autore di quel pezzo si offendesse. E’ infatti evidente che liste del genere sono totalmente arbitrarie, e probabilmente il giornalista misterioso aveva deciso di pubblicare la sua personale lista di cose che aveva fatto prima dei trenta, o magari che avrebbe voluto fare. E’ una cosa molto da blog, in anticipo vent’anni sui tempi. E io, vent’anni dopo, dico la mia.

Un uomo non è un uomo se, all’età di 33 anni non ha fatto le seguenti cose:

– ha tirato il freno d’emergenza in treno o in metropolitana, e per una buona causa (giuro!)
– ha visto una persona ordinare e bere una birra analcolica (no, non berne una. Ora non esageriamo).
– ha fatto una gara di birra e salsiccia (io l’ho pareggiata).
– ha programmato un videogioco sul Vic20, stando in 3.5 Kb di memoria (brutto, ovviamente).
– ha toccato un osso di stegosauro (New York, American Museum of Natural History).
– ha visto l’anteprima mondiale di un film (Monster House, Annecy 2006).
– ha dato le dimissioni senza avere un altro lavoro in attesa (bravo scemo! direte voi).
– è rimasto chiuso in ascensore e ha richiesto l’intervento dei pompieri (bravo scemo! direte voi).
– ha mangiato carne di almeno quattordici specie di mammiferi differenti (perché proprio quattordici? Perché quattordici sono i mammiferi che ho magnato di sicuro: mucca, maiale, capriolo, cervo, cinghiale, coniglio, lepre, canguro, pecora, bisonte, capra, renna, cavallo, asino. Non escludo poi che ci siano anche delfino e gatto, ma non posso assicurarlo).
– ha conosciuto il più grande fumettista vivente (su, non fatemelo ripetere, poi arrossisco…).
– ha contato le pecore fino a mille. E non ha dormito lo stesso.
– ha percorso di corsa la strada tra Vegliasco e Solva e ritorno (alla faccia dell’arbitrario…).
– sa scegliere un melone maturo.

E con questo, il cerchio si chiude. Ora posso andare a lavorare a Panorama.

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