Fare colazione prima di lavarsi è ping, farla dopo è pong.
La scrittura corsiva è ping, quella in stampatello è pong.
Dormire a sinistra è ping, dormire a destra è pong. Anzi, in generale la sinistra è ping e la destra pong, con l’eccezione delle scarpe. Quella di destra è infatti ping e quella di sinistra pong.
Firefox è ping, Internet Explorer è pong. Anche Opera è pong.
Le mele sono ping, le pere pong. Ma le susine sono il frutto più ping che ci sia.
Boccaccio è ping, Dante è pong, soprattutto nel Purgatorio.
La birra è ping, il vino dipende: quello bianco ping, quello rosso di solito pong. Il Lambrusco è chiaramente ping; d’altronde, bevande più pong del Barolo non credo ce ne siano.
La doccia è ping, il bagno è pong. Diamine, se è pong!
Paperino è ping, Topolino pong, questo è ovvio. I nipotini sono, in ordine dal più ping al più pong: Qui, Qua, Quo.
Sexy Italia è ping, Brava Italia è pong.
Anna dai Capelli Rossi è ping, Heidi è pong. Più pong di Heidi è Remì, e ancora più pong di Remì è Candy Candy. Anzi, se si paragona Heidi a Candy Candy, Heidi sembra ping!
Le motorette sono generalmente ping, le automobili pong; però i maxi-scooter sono più pong di gran parte delle auto.
Il calcio è uno sport terribilmente pong, ma è nulla in confronto alla ponghità del football americano. Un ping-sport di squadra è chiaramente il basket.
Il Wii è ping, la Playstation pong, l’XBox ancora più pong.
La focaccia e la pizza sono due cibi ping, ma la pizza è leggermente più pong, soprattutto se coi wurstel.
Io, comunque, sono ping.
(questa la prendo alla larga e ci ficco un po’ di anedottica inconcludente, quindi mettetevi comodi)
Ormai saprete bene che ho frequentato le scuole elementari dalle suore, e le funeste conseguenze sono sotto gli occhi di tutti (ad esempio guardando il “fotoromanzo” della scorsa settimana). Ovviamente, in un istituto simile si prestava particolare attenzione alla formazione religiosa, e per quanto riguarda i sacramenti, la regola di quella scuola era “comunione in terza, cresima in quinta”. Se è abbastanza comune fare la prima comunione alle elementari, è invece più consueto posporre la cresima più in là, alle medie se non oltre, poiché persino nelle parrocchie si riconosce che la cresima dovrebbe essere fatta in piena coscienza e non come semplice “rito di passaggio”. Evidentemente da noi non la pensavano così, e l’idea era di far diventare tutti soldati di Cristo (immagine che mi ha sempre fatto un po’ paura) prima che fosse troppo tardi e uno magari potesse cambiare idea.
Nel mio caso, la situazione è stata peggiorata da un sillogismo operato in famiglia: mia sorella ha solo un anno più di me, fare una festa con tutti i parenti è molto impegnativo, quindi facciamo anticipare a Luca i suoi sacramenti. Fu così che io feci la comunione in seconda e la cresima in quarta. Inoltre, poiché il catechismo avveniva in classe, arrivai completamente impreparato a entrambi i sacramenti, tanto che il mattino stesso della cresima mia sorella mi istruì con l’indispensabile: “Dopo che il vescovo ti unge, devi dire E con il tuo spirito e poi Amen” (o quel che è, non pretendete da me le frasi giuste!). E’ vero, imparai qualcosa l’anno dopo, durante la preparazione della mia classe, ma ormai il danno era stato fatto.
Dopo le due cerimonie, a casa mia si tenne una festa di grandi proporzioni. Non ricordo altre occasioni in cui una tale quantità di parenti si sia raccolta in un solo luogo, nemmeno ai matrimoni che sono seguiti negli anni, e mi rendo conto di come fosse razionale l’idea di dimezzare lo sforzo, visto che evidentemente l’imposizione del sacramento non era altro che una scusa per una festa in famiglia. E nelle due occasioni i parenti fecero i regali. Purtroppo, a differenza di molti miei amici per i quali si trattò di un Natale supplementare, gran parte dei miei regali furono (giustamente) a tema: Bibbie, piccole croci d’oro, libri a tema religioso. E, in occasione della cresima, un mucchio di compassi.
Ed eccoci finalmente alla domanda, una cosa di cui non riesco ancora a capacitarmi: si può sapere perché diamine per la cresima mi hanno regalato tre scatole piene di compassi e balaustrini?
Frollini del Diavolo: nome popolare per i comuni garofani nella provincia di Benevento, derivato da una celebre leggenda del luogo. Il mito vuole infatti che San Boleto un giorno se ne stesse camminando in una strada di campagna, quand’ecco che il Diavolo lo avvicinò e gli offrì dei garofani, sussurrando “Che ne diresti di questi bei frollini appena sfornati?”. San Boleto, che ne sapeva letterarmente una più del diavolo, rispose: “Vade retro Satana! Non sono frollini, sono garofani!”. Il Diavolo allora sbattè il cappello per terra e se ne tornò negli inferi. Da allora, il giorno di San Boleto, a Benevento i giovani sgranocchiano garofani e si appuntano frollini al petto.
Krippadong: alla lettera Limonculo, pratica diffusa in Birmania che prevede l’inserimento di un agrume nel retto per scopi mistici. Gli adepti del Krippadong, riconoscibili grazie al loro aspetto sofferente ma trascendente, superano di rado il primo anno di seminario, stroncati da violenti blocchi intestinali.
Barfing Lady/Puking Lord: coppia di cocktail di gran voga negli aperitivi milanesi, uno pensato per il pubblico femminile e uno per quello maschile. Il Barfing Lady consiste in tre parti di Sambuca, una parte di vodka, due parti di Vov, tre cucchiaini di sale e un limone intero spremuto, mentre la sua controparte virile prevede la grappa al posto della vodka. La bevanda dev’essere consumata “alla goccia”, ovverosia tutta d’un fiato, e provoca spesso e volentieri il vomito immediato nel bevitore (da cui il nome dei cocktail), per l’ilarità di tutti gli altri avventori. Bere un Barfing Lady o un Puking Lord e rimettere due o tre volte nel corso di una serata è diventata una delle mode del 2008, tanto da richiamare l’attenzione dei media, con servizi di Studio Aperto, articoli su Leggo e richiami in fiction e trasmissioni televisive.
Genova, mercoledì 7 maggio 2008
Il qui presente protagonista, insieme ai suoi sidekick Kumagoro e Carlo, si trova al Centro Commerciale Fiumara di Genova, in occasione della visione di Il treno per il Darjeeling. Dopo una frugale cena a base di Cappello del grullo (sic) il trio ha una mezzoretta che avanza, e invece di fare il solito giro all’antipaticissimo Mediaworld opta per farsi un giretto al supermercato, per verificare se è vero che la Fanta costa meno della Sprite come al locale dove hanno appena cenato. Eppure, nella sezione bibite, non sono le blasonate bevande ad attirare la loro attenzione, bensì due lattine di bevande energetiche: Brava Italia e Sexy Italia. Il richiamo è irresistibile, e Luca prende la prima, Carlo la seconda, Kuma fa un cenno di approvazione. Questo articolo si occuperà di recensire Brava Italia e di documentare l’assaggio della stessa. Se Carlo vorrà fare lo stesso sul suo blog per la gemella Sexy Italia, sarà una figata.
Impossibile non immaginarsi le riunioni di marketing che hanno preceduto la scelta del nome: “…e questo sarà un energy drink commercializzato puntando sull’immagine dell’Italia vincitrice dei mondiali di calcio, proprio nell’anno degli europei. Come nome, proponiamo la frase che tutti i tifosi esclamano per esortare la nazionale…”. E per quanto riguarda la Sexy, italiani = gran trombatori, ovviamente. Come allargare la linea? Forse con Operosa Italia con un italiano che mette su una fabbrichetta tessile che paga in nero? O con Artistica Italia e un Leonardo in copertina, così da strizzare anche l’occhio al Codice da Vinci? Un Magica Italia con Harry Potter vestito da Pulcinella come la vedreste?
Un esame più approfondito della lattina dimostra (foto a destra) che essa è prodotta in loco, in via Fiumara a Genova. E’ quindi un prodotto nostrano, e come tale sano, genuino e di qualità garantita. I più maliziosi penseranno magari che il fatto che fosse situato in un supermercato in Fiumara appunto perché prodotto lì dietro. A me piace pensare che vengano prodotti in via Fiumara, caricati su camion inquinantissimi e trasportati fino al magazzino del distributore nazionale di energy drink a Salerno e da lì spediti via nave a Spezia, dove c’è il distributore regionale per la Liguria, e ancora via treno per Voltri, e da lì su un Ape per tutti i supermercati di Genova, compreso quello in Fiumara. Ed è per questo che costa 1.69 euri e non 0.07 come sarebbe il suo prezzo giusto.
Domenica 18 maggio 2008 mi son deciso ad assaggiare Brava Italia. A casa del campione del mondo di Tennis Garden (autore delle foto) il vostro eroe ha gustato la bevanda saporita. Ecco quello che è successo.
Uno dei motti spiritosi che i giovani dalle mie parti (ma non solo, direi) amano ripetere è il seguente:
– Sei incazzato? Beh, scendi dal cazzo e vai a piedi.
A parte che non fa ridere e, come per la questione del libro e la messa, è una debole risposta preconfezionata…cosa diamine significa? Se io sono in bicicletta non sono “inbiciclettato”, se sono su un camion non sono “incamionato” quindi perché un “incazzato” dovrebbe scendere dal cazzo (e andare a piedi)? Tutto questo non ha senso!
Tra l’altro a me l’immagine evoca un signore col cappello a cavalcioni di un enorme pene, un po’ come Peter Sellers nella celebre scena di Stranamore con la bomba atomica, ma ovviamente, suppongo che ci sia ben più di una sfumatura sessuale (e daje…). Dev’essere questa la ragione per cui, l’unica volta in cui ho espresso questo dubbio sono stato fulminato da una serie di risatine di circostanza del genere “Questo qui è uno che non sa come va il mondo!”. E invece no, perbacco! Ora mi spiegate perché uno incazzato dovrebbe scendere dal cazzo! Per giove pianeta!
Vicino a casa mia, a Genova, è situato il prestigioso Teatro della Tosse di Genova. Passandoci davanti, poco tempo fa, mi son ricordato che un mio amico, che chiameremo S., lavora lì come tecnico delle luci.
S. , come me originario di Alassio e trasferito a Genova, è stato mio compagno di classe alle medie, compagno di giochi di ruolo durante le superiori, e mio coinquilino nonché compagno di camera durante il primo anno di università. Non è stata una convivenza molto felice, tanto che da allora, in tutti i coinquilinaggi in cui mi sono trovato, ho sempre imposto come vincolo irrinunciabile la camera singola.
Non che io ed S. non andassimo particolarmente d’accordo, ma soffrivo per la mancanza dei miei spazi, e soprattutto lui russava come un ananasso. Dato che una delle Crudeli Leggi della Vita stabilisce che “chi russa si addormenta sempre per primo”, per evitare di trascorrere ore insonni a fissare il soffitto avevo preso l’abitudine di sentire la radio notturna per passare il tempo e coprire il rumore. Avevo uno di quegli stereo “portatili” con maniglione che si usavano ancora nei primi anni ’90, a cui attaccavo dei cuffioni enormi e ascoltavo Radio Due, Planet Rock (amatissimo programma che mi ha avvicinato alla radio nel 1991, ormai defunto da lustri) fino a mezzanotte e poi Rai Stereonotte. Ad un certo punto, comunque, mi addormentavo, e in seguito, verso il mattino, mi svegliavo un attimo per spegnere la radio e liberarmi delle cuffie.
Una notte, passò una canzone bellissima. Non mi è mai accaduto, né prima né dopo, di essere così rapito e commosso nel profondo dall’ascolto di una canzone. Sarebbe bello poter dire che l’ho cercata all’inverosimile e solo l’altroieri l’ho finalmente scovata e oggi sto festeggiando il ritrovamento di quel gioiello, ma non è così. Tutto quello che so è che si tratta di una canzone stupenda passata su Rai Stereonotte in una notte tra il 1993 e il 1994, a naso tra mezzanotte e le due. Non ricordo manco in che lingua fosse cantata. Un po’ poco, temo. Ma forse è meglio così: probabilmente quel pezzo mi era piaciuto tanto per le condizioni particolari in cui lo ascoltai, risentendolo sarebbe stata una delusione.
O no?