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Annecy 2009 parte prima, ovvero come imparai a odiare i bambini sudanesi

affiche_annecy09_fr.jpgLuci e ombre sull’edizione 2009 del Festival di Animazione di Annecy. E ora che ho creato tensione, permettetemi un cappello introduttivo sul mio rapporto con questo festival. Giunto ormai alla mia settima presenza consecutiva, il festival di Annecy è diventato un’abitudine annuale a cui non riesco più a fare a meno, tanto che l’idea con cui gigioneggiavo gli anni scorsi di saltarlo per fare più ferie in estate ormai mi è diventata estranea. Non riesco più a immaginare il mio giugno senza tutti i piccoli riti della settimana di Annecy: la tartiflette, gli aerei di carta, i siparietti di Bromberg, i croissant di fronte alla Pierre Lamy, il prato vicino al lago, il pranzo dalle vecchiette, la spesa di cadeaux al Monoprix, i piccoli riti del viaggio, la biretta a prezzi paurosi dal Pirate Pub, le fumetterie da esplorare. E i cartoni animati, certo. Sì, lo so che è un termine improprio e sminuente, che bisognerebbe dire “cinema di animazione”, ma lo trovo un termine troppo freddo, dove invece cartoni animati è più affettuoso, più vicino allo spirito che io attribuisco all’animazione. Insomma, io non mi vergogno di dire che ad Annecy vado a vedere i cartoni, che diamine.

Luci e ombre, si diceva. Togliamoci il sassolino dalla scarpa e proclamiamo pure che le giurie hanno fatto dei gran pasticci, quest’anno. Il corto vincitore del Grand Prix per il cortometraggio, il cui nome e i cui autori non citerò per ripicca, era proprio brutto ed è stato scelto, evidentemente, solo per il suo contenuto sociale: era infatti un documentario sul dramma dei bambini rapiti e ridotti in schiavitù in Sudan. Un grosso problema, per carità, che è giusto affrontare e non è di principio sbagliato farlo in animazione (per quanto sia inutile usare questo mezzo), ma premiarlo in virtù del messaggio e non in virtslavar2jpg.jpgù della qualità del lavoro (che, come si sarà capito, era meno che mediocre) mi ripugna. Possiamo quindi dire che l’edizione 2009 di Annecy non ha avuto un vincitore nei cortometraggi. Un immagine del non-vincitore è comunque qui a destra, così vi fate un’idea anche voi.Ma non è l’unico guaio. Sempre nei cortometraggi, è stato premiato l’ottimo Runaway di Cordell Baker. Nulla da eccepire sulla scelta, se non che le musiche del corto sono opera di un certo Benoit Charest, che era anche giurato. Mi risulta impossibile concepire come un festival della serietà e dell’importanza come quello di Annecy abbia commesso una simile leggerezza. E ancora: non è stato proclamato un solo film vincitore del premio per il lungometraggio, ma si è scelto di attribuire un ex-aequo a Mary and Max (a sinistra) di Adam Benjamin Elliott e a Coraline di Henry Selick. E’ palese che mary-and-max7.jpguna giuria che non riesca a scegliere abbia fallito il suo compito; tuttavia, da come è stato attribuito il premio (Cristallo a Elliott, e poi, a sorpresa, ex-aequo a Selick) si sospetta che il vincitore in effetti sia Mary & Max, e salvataggio delle chiappe nei confronti delle major hollywoodiane che stanno lanciando il film in questo momento e potrebbero essere generose in futuro nei confronti di un festival sempre affamato di sponsor. Puzza anche molto l’attribuzione del premio del pubblico a Brendan et le secret de Kells di Tomm Moore e Nora Twomey, vista la pioggia di applausi e le ovazioni che hanno seguito Mary and Max (e anche Coraline, suvvia). Ah, e giusto per chiudere, nella giuria dei corti c’era Elliott, autore di uno dei lunghi in concorso. Non un vero conflitto di interessi, ma comunque una situazione poco pulita. Va detto, comunque, che c’è stata la fondata impressione che Elliott fosse radicalmente contrario alle decisioni dei suoi colleghi giurati.
Per la prima volta, durante il pomeriggio di sabato i vincitori dei premi sono stati divulgati alla stampa, con una preghiera di non diffusione che solo gli svizzeri e i giapponesi avranno rispettato. Io non mi sono spoilerato, ma avevo intuito che c’erano dei grossi problemi: questo “leak”, probabilmente era per preparare il pubblico e ridurre le contestazioni, che comunque un po’ ci sono state. E, comunque, è mancata l’atmosfera di festa e la pioggia di applausi che seguono la proclamazione del corto vincitore.

Ma parliamo d’altro. Nove lungometraggi in concorso, ne ho visti sette e gli ultimi due è come se li avessi visti (Battle for terra e Monster & Aliens), grande varietà di temi, di tecniche e di qualità. Si è passato dalla stop-motion dei due vincitori, boogie.jpgMary and Max e Coraline, al 3d un po’ primitivo della satira sociale del norvegese Kurt turns evil (mi aspettavo un po’ di più dai norvegesi, dopo l’ottimo Slipp Jimmy Fri di due anni fa), allo spasso dell’ultraviolenza in cut-outs di Boogie el aceitoso (un’immagine qui a destra), e persino l’animazione tradizionale su rodovetro per My dog tulip e Brendan et le secret de Kels. Fuori concorso invece non c’era moltissimo di interessante. Citerò solo per farvi venire un po’ di curiosità la follia di Edison & Leo, un pasticciaccio di avventura molto più spassoso da raccontare che da vedere, e la tradizionalissima ma molto divertente storia di riscatto sociale Sunshine Barry & the Disco Worms. Parlerò di entrambi in seguito.

Una volta tanto, per quanto riguarda i cortometraggi, è mancato davvero qualcosa che spiccasse sugli altri: se ricordate, infatti, c’è un mantra che si ripete ogni anno “Quest’anno i corti non erano male, ma mancava il capolavoro ricco di spessore”. Ecco, forse l’edizione 2009 ci si è avvicinata un po’. Il sabato mattina, tradizionalmente, riguardiamo la lista dei corti proiettati ed è abbastanza facile restringere i candidati a quei 5-6 lavori che meritano di più, e qualcuno di questi vince sempre qualcosa. Quest’anno la cosa è stata pressoché impossibile, ma non necessariamente per la mancanza di bei lavori: anche per la mancanza di corti particolarmente fetidi. Quelli proprio brutti saranno stati tre o quattro, uno dei quali, ricordiamolo, è stato il vincitore.
gordini017ima.jpgVa però detto che la giuria, con l’eccezione del Grand Prix, ha premiato dei bei lavori, in particolare quello che è stato il mio personale vincitore: L’homme à la Gordini, una storia di libertà d’espressione un po’ surreale ambientata in un mondo ideale degli anni ’70, ha preso il premio per l’opera prima (nonché quello dei bambini, ma quello conta di meno). Potete vedere quant’è ganzo qui a sinistra. Il Premio Speciale è andato al già citato Runaway di Cordell Baker, un corto tradizionale canadese ricco di ritmo e di gag visive (e di qualche metafora sociale), mentre la Menzione Speciale è finita all’apprezzato (da me, almeno) e stravagante Please Say Something di Davide O’Reilly, stora d’amore tra gatti e topi con un design particolare e un po’ “difficile” e narrata a blocchi narrativi slegati.

Un po’ moscetta anche l’offerta delle anteprime: Panique au village, che è divertente in episodi da tre minuti, è assolutamente insopportabile nella forma di lungometraggio. Credo che nessuno, in sala non abbia dormito almeno un po’, maledicendo le grida stridule dei personaggi del film. E’ stato presentato inoltre un altro lungo francese, Les Lascars, tratto da un fumetto che non conoscevo. Non l’ho visto.

I film di scuola sono sempre difficili da vedere, un po’ per la programmazione (spesso alle 23, lo spettacolo che io sono uso saltare) e un po’ perché molto popolari, e i biglietti finiscono subito. Ne ho visti tre su cinque, e ho anche visto quasi tuttsocks.jpgi i vincitori. Che culo. Il vincitore assoluto, For Socks’ sake di Carlo Vogele, l’ho visto (animazione di oggetti in modo creativo, un po’ alla PES: immagine qui a destra), mi è piaciuto, ma il secondo, Ex-E.T. di Benoît Bargeton, Yannick Lasfas, Rémy Froment e Nicolas Gracial non mi colpito un granché, tanto che me lo sono mezzo sonnecchiato. Il terzo premio, The Soliloquist di Kuang Pei Ma, l’ho mancato. L’impressione, comunque, è di un calo della qualità. Non è un buon segno.

Discreta invece la selezione dei corti fuori-concorso. Ho sempre più l’impressione che questi programmi non contengano gli “scarti”, cioè i migliori corti non selezionati dal comitato apposito, ma piuttosto siano frutto di una selezione parallela (da parte di qualche altro oscuro comitato che agisce nell’ombra), e contemporaneamente racchiudano prodotti che non sono andati in concorso magari perché l’autore non lo voleva, o ha consegnato oltre il termine di scadenza, o ha qualche conflitto d’interesse con la giuria (vabbè, si dirà, questo evidentemente non è un problema…). Questo per dire che si assiste a qualche bella fetecchia, ma comunque non si tratta di programmi di “scarti” e quindi in quanto tale per forza inferiori al concorso. Ad esempio, cito qua e approfondirò in seguito The Spine, il nuovo corto di Chris Landreth e Madagascar, carnet de voyage, entrambi i quali avrebbero potuto anche essere vincitori di qualche premio.

Infine, una parola sui programmi speciali: questo era l’anno della Germania. I programmi ad essa dedicati non erano molti, ma nel complesso di buona qualità. Ne ho visti tre: un’ottima selezione di corti, una discreta selezione di corti di scuola, e un coraggioso programma dedicato solamente a opere astratte. Quest’ultimo, prima visione del lunedì, è stato un po’ pesante ma comunque nel complesso interessante. Va però detto che non si percepiva “Germania” dappertutto come è successo in altre annate, come la Corea, l’India, il Canada o persino l’Italia. Altra serie di programmi in rassegna era dedicata alla danza. E’ un argomento che non mi interessa molto, e quindi non le ho dato priorità: cioè, non ho visto nulla. Completano la rassegna i soliti Spike & Mike, Politically Incorrect e un programma per il quarantennale dello sbarco sulla luna. Complessivamente, comunque, non è parsa un’annata in cui i programmi di rassegna attirassero molto l’attenzione.

Altri appunti sparsi:

(Ok, le ombre le abbiamo capite… ma le luci quali erano? Beh, mi sono divertito un sacco come al solito, che si vuole di più?)

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La Ferrari

Padania, 2001.

All’inizio del secolo lavoravo e vivevo a Milano, ma passavo quasi sempre il weekend in Liguria. Ero felicissimo di sgommare via dalla metropoli, ma il viaggio era un discreto sbattimento, tantopiù che spesso andavo in macchina e, soprattutto con la bella stagione, era inevitabile trovare traffico.
In una di queste occasioni, ero già in pianura e si andava a rilento, in quella situazione immediatamente prima della coda in cui le distanze tra le automobili si riducono e la velocità di crociera si stabilizza sui 60-80 km/h: in questi casi, è inutile cambiare corsia o provare a sorpassare, bisogna rassegnarsi e andare piano. Almeno, questo vale per chi ha una Ka, ma non per chi possiede una Ferrari: chi le compra, evidentemente, ritiene che nel prezzo siano compresi impunità per gli eccessi di velocità e diritto ad avere la strada libera (*). Dietro di me sbucò rombante un bolide rosso che chiese strada lampeggiando coi suoi potenti fari. Io, che sono paziente e tranquillo, mi tolsi di mezzi e feci (ah, ah, ho scritto “feci”!) strada. Ma io sono anche malvagio, ed ebbi una splendida idea. Mi misi dietro la Ferrari e attaccai anch’io a lampeggiare, fingendo di voler passare, come per dire “Che diamine! Siamo andando a 80 km/h! Io ho una macchina che può arrivare ai 140, questa velocità è intollerabile!”, e sono andato avanti così per non so quanto tempo. Ovviamente il comandamento di quel signore era “non avrai altra corsia al di fuori di quella di sinistra” e non si sognò di scostarsi, così io godetti a lungo immaginandomelo sbavare dalla rabbia perché qualcuno voleva sorpassarlo. Oh, magari non gliene fregava niente e ha ignorato il babbo di minchia sulla Ka che lampeggiava come un ossesso ridendo ad alta voce, ma mi permetto di nutrire forti dubbi a riguardo.
Alla fine la strada si liberò e il mio temporaneo amico riuscì a sfrecciare lontano. Lo salutai lampeggiando coi fari, e mi spostai nella corsia di destra, per fargli fare un’ultima sbavata. Sono soddisfazioni.

(*) Mi si conceda un’invettiva: trovo in generale le macchine sportive piuttosto volgari (e mi perdonino gli amici che ne possiedono una, non è nulla di personale, lo sapete bene), ma la Ferrari per me è il prototipo della macchina da spacciatore, da impreditorinculo arricchito o da manager cocainomane abbronzato che  ha fatto i soldi sulla pelle dei dipendenti. Con buona pace del mito del design italiano.

Quozziorneim

Ho iniziato a studiare inglese in seconda elementare. A ripensarci, è stata una manovra non poco audace per una scuola di suore, ma la mia maestra in certe cose era abbastanza moderna, bisogna dirlo. Non ho mai capito se questo studio così precoce mi sia servito effettivamente, poiché il programma di quattro anni di scuola elementare è stato poi coperto entro la fine della seconda media, e il programma delle medie è stato sorpassato entro il primo quadrimestre della prima liceo dalla mia severissima (ancorché bravissima e tuttora molto amata dai suoi ex-allievi) insegnante al liceo. E’ però vero che iniziando presto a orecchiare la lingua d’Albione è possibile che sia stato facilitato in seguito.
Durante i quattro anni di studio, ho avuto due insegnanti, una in seconda e in terza e una in quarta e in quinta. Entrambe si chiamavano Rossana, ma la seconda voleva essere chiamata “Rox”. Secondo me le rodeva. In ogni caso, quello che ricordo esplicitamente di aver imparato alle elementari sull’inglese è quanto segue:

Vetsoll, folcs.

Martedì 6, mercoledì 7

martedi6-1.jpgmartedi6-2.jpgmercoledi7-1.jpgmercoledi7-2.jpg

Martedì 6
Oggi ho saputo che ad Agosto faremo una partita di calcio tra maschi e femmine. Il portiere è Marco, la mia parte invece è di scartare. Il premio per chi vince è una torta-gelato e per chi perde dei ghiaccioli. Però la faremo nel giorno in cui ci saremo tutti.

Una giornata oltremodo interessante. Avevo, e ho ancora, un certo dono di sintesi: una serie di frasi secche danno un sacco di informazioni precise e puntuali: ci sarà una partita di calcio (“Ho saputo”: chissà chi l’ha deciso e ha ritenuto necessario informarmi a questo proposito!). Tale partita, secondo la più classica rivalità  che si può avere a 8 anni o giù di lì, è tra maschi e femmine. L’unico ruolo predefinito è quello di Marco, che ha sempre voluto fare il portiere, anche se in effetti era più bravo a fare altre cose, mentre io finirò per “scartare”. Sono sempre stato poco capace a giocare a calcio, ma se c’è una skill  in cui ero particolarmente incapace era quella del dribbling. Mah. La partita avrà persino un premio: una torta-gelato per il vincitore e persino il premio di consolazione per i perdenti, in un impeto di generosità. E infine, dico persino che la faremo più avanti, quando anche gli amici ancora assenti potranno far presenza (siamo all’inizio di luglio, non dimentichiamolo, alcuni probabilmente erano in vacanza altrove: non tutti avevano i nonni a disposizione per tenere i bambini!). Non credo di fare torto a nessuno se faccio uno spoiler e vi dico fin da subito che questa partita non verrà mai disputata.

7/7/82
Qua a Sassello mi diverto quando so cosa fare.
Il fatto è che a Sassello non sappiamo a cosa giocare. Abbiamo voluto costruire una capanna ma non eravamo dei bravi architetti. Però quando giochiamo è sempre bello.

Questa entry è piuttosto contraddittoria: mi annoio o meno? Dai miei ricordi, mi divertivo sempre un pacco, ma si sa che i ricordi tendono sempre ad abbellire la realtà. Ma il punto chiave non è questo: non è vero che non eravamo dei bravi architetti! E’ stato Igor a distruggere la capanna, e lui e la sua progenie per settantasette generazioni ne pagheranno lo scotto!
Questa documentazione non è affidabile. Sono turbato…
(ah, curioso che abbia cambiato il formato di data solo per questa giornata…)

Fakt 4: Chandler

Ho ricevuto la mia prima visita dal futuristico e nuovissimo motore di ricerca di Microsoft, il tanto discusso Bing.
La ricerca era “donne che trompano” (sic).

Fakt: Google, Yahoo o Microsoft, certe cose non cambiano mai.