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3/2011 parte III

Tre fumetti franciosi

Bludzee di Lewis Trondheim: Trondheim, mon amour, non è più prolifico come una volta, ma la qualità dei suoi lavori non è scemata. Bludzee è un fumetto assurdo: parte come una specie di Garfield, con un gatto protagonista a cui piace mangiare le crocchette, ma presto devia verso la fantascienza, il thriller, e sopratttutto verso un’ultraviolenza che sfiora il sadismo (del tipo, il pinguino che offre centinaia di modi di uccidere i nemici nessuno dei quali dura meno di 24 ore di sofferenza). Geniale, come sempre.

Le viandeir de Polpette di Julien Neel e Olivier Milhaud: Julien Neel è un altro dei miei grandi amori francesi. L’autore di Lou!, in questo caso, si limita ai disegni di una storia molto particolare e molto intrigante. In un mondo pseudo-medievale, forse con qualche sfumatura fantasy, la storia degli avventori di una locanda nella foresta. Molto lavoro sui personaggi e sulle relazioni tra di loro, disegni puffolosi ma non leziosi e il piccolo bonus di un sacco di ricette interessanti.

Un anno di Jiro Tanuguchi e Jean David Morvan: ok, ho barato, non è proprio tutto francese, in quanto disegnato da Taniguchi (autore amatissimo oltralpe), ma è più vicino al modo di fare fumetti europeo che a quello nipponico. Un anno è il primo di quattro volumi che raccontano la tenerissima storia di una ragazza un po’ ritardata che scopre il mondo, rendendosi conto in qualche modo della sua condizione. Che volete farci, sono un tenerone!

Tre serie tv recuperate dal passato

Mad Men: per la critica, in generale, è LA serie degli ultimi anni. In effetti, la qualità produttiva è altissima, e superato lo scoglio della prima stagione, in cui non succede pressoché nulla se non introdurre i personaggi, diventa anche molto appassionante. Personalmente a me ha colpito come tutti i personaggi siano umani e un po’ stronzi, e sia impossibile ammirarli o tifare veramente per loro, ma contemporaneamente si prova pietà ed empatia. Non è una cosa da poco, e racconta molto di tutti noi.

Gilmore Girls (“Una mamma per amica”): beh, a dire il vero l’ho iniziato nel 2010, ma son sei stagioni, c’è voluto il suo tempo. Forse agli antipodi rispetto a Mad Men, Gilmore Girls è una specie di favola, con personaggi pensati per affezionarsi, dialoghi veloci e pungenti, location carina e pulitissima, persino una specie di matrigna e una sorta di burbero principe azzurro. Si guarda con grandissimo piacere, ma si dimentica in fretta.

Community: mannaggia alle serie come Community che ci mettono un po’ a decollare! Mi piacerebbe un sacco farla vedere agli amici, ma dover dire “ci mette 10 puntate prima di partire” scoraggia chiunque. Peccato perché Community è una sit com che da un lato ripropone tutti i cardini del genere (il concetto di “famiglia”, anche se esteso a un gruppo di studio all’università), dall’altro fa il miglior lavoro di scrittura dei personaggi e delle relazioni tra di essi mai visto nella storia delle sit-com. Sono pronto a giurare che tra qualche anno la bibbia di questa serie sarà studiata nelle scuole di sceneggiatura. Ah, ed è anche un sacco divertente e strizza l’occhio a chi conosce il mondo dei telefilm in un sacco di modi.

Tre madri

Maria

La madre di Dimaco

La madre di Tito

(cri…cri…cri…)

Tre lungometraggi di animazione

Il re leone di Roger Allers, Rob Minkoff: sì, quel Re Leone. Forse l’avevo visto tanti anni fa, ma non lo ricordavo, e ho colto l’occasione di rivederlo al cinema, purtroppo in 3d, con la mia nipotina Silvia. E’ un film magnifico. E’ banale ribadire l’aggettivo “shakespeariano” che usano tutti, ma non si può farne a meno di fronte a una storia oggettivamente potente, anche per occhi adulti. Qualche leziosità, ma che ci vuoi fare, è la Disney.

Tatsumi di Eric Khoo: si tratta di una biopic di Yoshihiro Tatsumi, celebre fumettista giapponese inventore dei gekiga (manga per adulti, non nel senso di “con tette e culi” ma nel senso di “con temi maturi”), inframmezzata con racconti brevi tratti dall’opera di Tatsumi. L’animazione un po’ spartana si sposa benissimo con la durezza dei temi e con la storia di un Giappone che vive il suo boom nel dopoguerra anche dal punto di vista dei fumetti. Visto ad Annecy fuori concorso, applausi infiniti.

Il gatto del rabbino di Joan Sfar e Antoine Delesvaux: tratto dal bellissimo fumetto omonimo di Sfar stesso. Io a Sfar ci voglio un sacco di bene perché è amico di Trondheim e perché è quasi altrettanto eclettico, e attendevo molto questo film. In un curiosissimo 3D (si fa una sorta di messa in scena a pannelli senza spessore) racconta una storia di popoli, religioni, avventura, amore in un’Africa più leggendaria che mai ma vista con l’amore di chi l’ha conosciuta.  Un po’ troppo lenta la prima parte (accanto a me un tizio si è messo anche a russare!), ma la seconda metà è a dir poco strepitosa. Ha vinto il Cristallo come miglior film ad Annecy 2011.

(sì, due su tre li ho visti ad Annecy, ma che se passo una settimana a guardare cartoni animati roba buona ne vedrò, e poi nel 2011 non sono manco usciti film Pixar!)

Bonus: un fumetto americano

Io le pago di Chester Brown: Chester Brown, quando fa autobiografia, si mette a nudo in modo così spietato da sembrare quasi masochista. In questo volume analizza le sue esperienze con le prostitute, partendo dal fatto razionale che egli non desidera relazioni esclusive con tutti i problemi che si portan dietro, ma sente la mancanza del sesso. Da questo punto di partenza si dilunga sulla legislazione sul meretricio e sui dettagli del rapporto tra le prostitute e i clienti, e divaga ulteriormente sui vari tipi di relazioni tra esseri umani, tra cui la grande domanda che in tanti ci siamo posti: “Ma davvero l’amore romantico è la forma di amore più importante? O è Hollywood ad avercelo inculcato?”. A tratti agghiacciante nel suo lucido cinismo, ma imperdibile.

Tommy Wirkola
Intervallo

Forza con quella chitarra! Sta iniziando l’intervallo! Plin, plinplinplin!

Signori, era anni che aspettavate! Le foto di Sassello sotto la Nevicata del Secolo.

E dov’è il calcinculo, per Plutone?

Si sappia che qua ho imparato cosa diamine è un “blocco”.

Il tirotto di patate è la vera delizia di Sassello, altro che gli amaretti!

In questo campo c’è stata l’unica prodezza sportiva della mia esistenza. Ne ho già parlato?

Eccoci quasi a casa…

Il fotografo si scusa di non aver fotografato più da vicino, ma la strada era impercorribile. Ma io so che tutti i lettori sono lieti di poter finalmente visualizzare il contesto dei miei racconti…vero?

Sulla sinistra, la fontanella. Non la vedete? E’ lì, sotto un metro di neve.

Questo campo è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il pickup è del Sindaco dell’Unesco.

E ancora un enorme grazie a Marco P. per le foto, e non solo per quelle

Pinguini fuori dal salotto

Oggi fa freddo in tutta Italia. Ma, in particolare, fa freddo in un paese ben noto ai miei lettori. Guardate qui l’apertura del Secolo XIX:

No. Non a Monza, siete scemi? E nemmeno a Savona. Ad Albisola? Quasi… sì, ieri a Sassello c’erano -22°. Il trattore di Baciccia non parte, e il ciliegio sotto casa di Arturo si è spaccato dal freddo. Le mucche nelle stalle muggiscono dal freddo, nemmeno stando vicine riescono a scladarsi. Il Rio Sbruggia si è ghiacciato, e i gamberi di fiume che lo popolano sono surgelati, pronti per finire in tavola o per un gustoso ghiacciolo. La gente mangia i gelati di Gina per riscaldarsi, e il calcinculo ai giardinetti, venuto a gennaio per l’occasione, regala il vin brulé a chi prende il fiocco invece del solito giro gratis. Ma un gruppo di ragazzini, nella remota frazione del Piano, non si scoraggia e gioca lo stesso a nascondino e a pallone tutto il giorno, fermandosi solo per far merenda e guardare i cartoni in TV.

La mia memoria è cristallizzata come se a Sassello ci fossero -22° ininterrottamente da trent’anni.

(un grazie a Sk. per lo spunto)