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Annecy 2012 parte III: Il resto

Rieccoci qua. Partiamo con una scorsa ai cortrometraggi fuori concorso, che hanno regalato, come sempre, qualche sorpresa interessante. Intanto, parliamo di qualche grosso nome non in concorso. Perché non sono in concorso? Ce lo chiediamo un po’ tutti, forse per loro scelta? Boh! Innanzitutto, sua maestà Bruno Bozzetto. Forse inizia a essere un po’ anzianotto per realizzare animazione, che è fatta in pratica da qualcun altro, ma le idee, l’intelligenza e l’inimitabile sguardo satirico sono i suoi: Rapsodeus (a sinistra) sembra un episodio nuovo di Allegro non troppo, con un brano di Listz, ripercorrendo la strada dell’umanità che cerca sempre qualcosa. Bellissimo. C’è poi Paul Bush, che con Lay Bare fa quel che fa sempre, animando foto (in questo caso particolari del corpo umano), ma con la sua solita classe. E’ riuscito quasi a commuovermi con foto di ombelichi e di orecchie. Davvero mediocre invece il lavoro di Paul Driessen, che realizza una rilettura dell’ Oedipus incasinata e priva di mordente. Me lo sono pure dormicchiato. Ultimo da citare è Georges Schwizgebel, che ci regala ancora uno dei suoi voli pindarici con Romance (a destra). Come per altri citati, non inventa nulla di nuovo, ma lo fa benissimo, con grazia e poesia.

Al d là dei nomi famosi, qualche citazione sparsa sempre dai corti fuori concorso. (Notes on) biology di Danny Madden (USA) è una divertente variazione sul tema dei “flipper” (le animazioni fatte sugli angoli dei quaderni che vengono fatti scorrere rapidamente), arrivando a conquistare l’intero quaderno con elefanti a razzo. The Maker di Christopher Kezelos (Australia, USA) è una graziosa interpretazione del tema della reincarnazione, fatto con pupazzi in uno stile che deve qualcosa a Tim Burton. Grain Coupon di Xi Chen e Xu An (Cina), temutissimo per i suoi 19′ di lunghezza, è memorabile per essere forse il primo corto cinese che ho visto a non fracassarmi troppo la minchia, anche se ci ho messo metà film a capire che uno dei due personaggi è una donna. Parla di due artigiani a cui viene chiesto di falsificare un francobollo.

Proseguendo i corti fuori concorso, c’è Flamingo Fierté (di Tomer Eshed, Germania) che è scemo forte, ma è anche un sacco rosa, e parla dell’unico fenicottero etero in un gay pride di fenicotteri omosessuali. Divertente. Chiruri di Kenji Kawasaki è una curiosa contaminazione di tematiche e design giapponesi mainstream con ritmi e atmosfere più rarefatte e difficili da trovare negli anime. Interessante anche The Pub (Joseph Pierce, UK) che racconta della giornata in un pub di una pubbista, e nel modo in cui lei trasfigura le persone con cui ha a che fare. Proiettato nella serata finale, infine, un corto mainstream, un piccolo seguito del discreto Rapunzel intitolato Tangled ever after. Ok, è un corto di inseguimenti rocamboleschi come ne abbiam visti mille, ma si ride proprio tanto.

Anche quest’anno mi son visto una bella fetta di TV, e ci sono diverse cose da menzionare. Stella and Sam “Voyage sur la lune” è una graziosa intepretazione dei giochi per bambini. Certo, chiunque abbia letto Calvin & Hobbes sospirerà, ma è un sacco kawaii e lo spirito è quello giusto. The Gruffalo Child, produzione inglese direi ad alto budget, è uno specialone di mezzoretta tratto da un romanzo per bambini narrato da Helena Bonham Carter. Fa un sacco di tenerezza, diverte e insegna. Che si vuole di più? Premio meritato. Come è strameritato il premio a Secret Mountain Fort Awesome “Nightmare Sauce”, una folle folle storia impossibile da riassumere su una serie di mostri e il loro rapporto con gli incubi, in uno stile che ricorda il Robert Crumb più strafatto e con una serie sorprendente di trovate per una serie tv. C’è spazio anche per un anime shonen, Blue Exorcist, di cui vediamo il primo episodio. Molto canonico nei temi e nella realizzazione (demoni, botte, divise scolastiche) ma più piacevole da vedere del previsto. Ci ha inoltre insegnato che Azatoth tira con la fionda ai gatti.

Concludo la trattazione parlando un po’ delle rassegne. Già dissi all’inizio che non ho cagato la povera Irlanda, ma ho visto altre cose. C’è stata serie di tre programmi dedicati all’amore: amore cortese, amore “pepato” e amore in musica. Curiosamente, il primo era mediocre mentre gli altri due proprio graziosi, me li sono davvero goduti. E dopo un po’ di anni che non lo consideravo, mi son deciso a rivedere lo Spike and Mike’s Sick and Twisted Animation Show confidando nel fatto che col tempo cambia anche il programma. Non del tutto, alcune cose erano proprio vetuste, ma complice l’atmosfera particolarmente gaia e goliardica del pubblico mi sono divertito tantissimo. E lascio per ultimissimo uno dei miei grandi amori. Non mi stanco di ripetere che genio sia Borge Ringe e come i suoi tre cortometraggi (Oh my darling, Anna & Bella, Run of the mills) debbano essere imparati a memoria, quindi un suo programma monografico me lo sono visto. E’ stato integrato con altri suoi lavori (non all’altezza, va detto) e con un documentario solo parzialmente interessante e un po’ fuori fuoco. Una nota di biasimo per la pessima qualità della proiezione, in alcuni casi i quadrettoni mpeg sembravano da Youtube.

All’anno prossimo!

Letture al sole I

Due parole su quel che ho letto lo scorso weekend, spaparanzato sulla sdraio al sole. Dura la vita. Vediamo se avrò voglia di farne una rubrica regolare, ché qui si pisola troppo.

Di bello:

Valentina Melaverde v.4, di Grazia Nidasio: Valentina Melaverde è meraviglioso. Le piccole grandi avventure di una tredicenne in una città negli anni ’70. Un fumetto splendidamente anni ’70, con lo spirito del tempo ma ancora moderno. E poi è proprio divertente e ben disegnato.

L’appartement v.1, di Kung Full: un horror coreano che mi son procurato nell’edizione francese, dopo che in Italia la serie è stata iniziata e subito abbandonata. Un disoccupato scopre che ogni giorno, alle 21.56, in alcuni appartamenti si spegne la luce. Indaga la cosa e scoprirà questioni inquietanti. E poi cambia il punto di vista… Fa un sacco di paura ed è costruito davvero in modo entusiasmante. Non vedo l’ora di finirlo.

Ralph Azam v.1-3 di Lewis Trondheim: il nuovo fantasy di Trondheim, dopo che ha, ahimé, abbandonato il Donjon, ne riprende lo spirito di follia, invenzioni e un po’ di sadismo nei confronti dei suoi personaggi. Si legge che è un piacere.

Di brutto:

Deadpool v.1 di David Lapham e Kyle Baker: io i supereroi non li reggo più in nessuna forma, neppure in quelle revisioniste / sopra le righe/ postmoderne. Ho provato a concedere un’eccezione per questo per uno scrittore che mi piace con uno dei miei disegnatori preferiti, ma no. Supereroi, no.

Io sono Legione di John Cassaday e Fabrien Nury: horror, fantastoria e spionaggio sono ingredienti che se mescolati hanno del potenziale, ma in questo caso son stati sfruttati proprio male. Trama confusissima, con personaggi che appaiono agire a casaccio e Dracula tirato fuori dal cappello (ma no? quando inizia una storia in Romania, si sa che finisce sempre lì). Pffff, ho fatto proprio fatica a finirrlo…

Darwin di Paola Barbato e Luigi Piccatto: a me le storie apocalittiche piacciono un sacco, ma questa mi ha fatto proprio rizzare i capelli per la sciatteria, la confusione, la povertà dei dialoghi, la banalità dei personaggi e delle situazioni. Salvo solo l’idea, da quel che so inedita, di una Parigi post-apopocalittica (con inevitabile visita a Tour Eiffel e Louvre!) e i disegni di Piccatto.

Annecy 2012 parte II: Cortometraggi in concorso

Già dissi che uno dei mantra ricorrenti di chi commenta Annecy è “Quest’anno la selezione era in media buona, ma mancavano i corti di spessore”, cosa che sento ripetere da quando frequento il festival. Inizio a questo punto a chiedermi cosa diamine siano i corti di spessore. Beh, comunque quest’anno mancavano i corti di spessore, e la selezione è stata in media scarsina. Ragioni? Mah! Forse la fantomatica “crisi”, per la quale ci son meno soldi da spendere per una cosa squisitamente improduttiva dal punto di vista economico come i cortometraggi animati? Forse il fatto che il comitato di selezione, per la prima volta, era interno al festival e ha fatto un lavoro mediocre? O semplicemente un caso? Boh!
Ma vediamo cosa c’era di notevole, in un senso o nell’altro.

Iniziamo col vincitore del Cristallo di Annecy, che non ho ancora detto essere Tram di Michaela Pavlatova (Francia,a sinistra), una ritmatissima animazione sulle fantasie erotiche di una guidatrice di tram. Certo, “manca di spessore”, ma direi che sono stato contento di questo premio, è un lavoro divertente, stuzzicante e molto originale. Potete vederne un teaser qui. E’ stato invece ignorato completamente dai premi il buon Aalterate di Christobal de Oliveira (Francia, Olanda, a destra), una storia onirica molto avvolgente e interessante, in particolare per una scena in cui le parti animate aumentano progressivamente fino a comporre un mosaico astratto complesso e ipnotico. Certo, se non ce lo diceva nel riassunto capire che erano gli ultimi pensieri di una donna in coma era quasi impossibile caprilo, ma visto che è un’opera prima confido nelle prossime prove dell’amico Christoballo.

Il secondo premio è stato relativamente prevedibile, in quanto si tratta di un corto che facilmente piace alle giurie: Edmond était un âne di Franck Dion (Francia, Canada, a sinistra) racconta del classico omino sfigato che scopre la sua vera natura quando, per fargli uno scherzo, gli mettono delle orecchie d’asino. E’ una storia sulla propria natura e sull’autorealizzazione. A me gli asini sono un sacco simpatici, soprattutto se paragonati a quegli stronzi malvagi dei cavalli, ma riconosco che è un corto furbetto e poco seminale, ma tuttavia ben realizzato e, in ultima analisi, apprezzabile. Immancabile il corto molesto dell’anno. Senza dubbio, il vincitore è Some Actions Which Haven’t Been Defined Yet in the Revolution di Sun Xun (Cina). Le tecniche più astruse come (in questo caso) l’incisione su legno possono essere suggestive, ma portano quasi irrimediabilmente a opere noiose e farraginose. Chissà di cosa parlava questo corto, mi sono appisolato un minuto o due e poi mi son svegliato con un tizio che si masturbava in primo piano. E già che parliamo di molesti, c’era anche un corto sullo schermo di spilli, pardon, sul fottuto schermo di spilli: Le Grand Ailleurs et le petit ici di Michèle Lemieux (Canada) , che come suggerito dal titolo e come da tradizione del fottuto schermo di spilli, era du’ maroni così di seghe mentali autoriferite.

Per continuare sulla scia dei lungometraggi, c’è un corto coreano che parla di altra roba pesa, e cioè delle donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e usate come oggetti sessuali dai soldati giapponesi in Indonesia. Si chiama Herstory (a sinistra), è diretto da Jun-ki Kim ed è un buon lavoro, strutturato come un documentario con la voce fuori campo in prima persona di una donna coreana che ricorda. Forse un po’ fastidiosa la rappresentazione dei giapponesi esattamente come erano mostrati dalla propaganda americana dl tempo (denti sporgenti, occhiali, sgraziati e storti), ma la cosa è evidentemente voluta. Spasso coreano, insomma. Rimanendo in oriente, due corti giapponesi da segnalare: il primo è di nientepopodimenoché Katsuhiro Otomo, si intitola Hi-no youjin (a destra) e parla di pompieri nel giappone dell’antica Edo con una storia d’amore impossibile sullo sfondo. Dà l’idea di essere un’idea per un lungometraggio abortita, perché ha un sacco di spunti appena accennati e personaggi che, evidentemente, erano pensati per avere una storia e una personalità che rimangono appena in nuce. Il secondo è Tsukumu di Shuyei Morita, ed è una storia di fantasmi alla giapponese, con un tocco di umorismo, gran begli sfondi e un sacco di ombrelli.

Il premio del pubblico non lo condivido affatto, e infatti ho manifestato il mio disappunto non applaudendo durante la premiazione e incrociando le braccia. Si tratta di Second Hand di Isaac King (Canada), un classico apologo morale sulla frenesia della vita moderna vs. i vecchietti che vivono tranquilli e riciclano. Ah, i danni che ha fatto Frédérik Back e la sua fottuta sedia a dondolo! Più condivisibile il premio Canal+ (che poi so’ sacchi!) a Una furtiva lagrima di Carlo Vogele (Lussemburgo,a sinistra), divertente animazione di… pesci morti! Altri due film degni di nota e che accomuno solo io nella mia mente malata sono Sunny Afternoon di Thomas Renoldner (Austria, a destra) e Rossignols en décembre di Theodore Ushev (Canada). Li accomuno perché sono corti astratti ma figurativi (eh?!?) che si basano in qualche modo sulla musica, ma il primo è una presa per il culo sulle avanguardie, condita con un’appendice perché, come dice l’autore “di più è meglio”, il secondo una rutilante sequenza di immagini pittoriche con un fortissimo impatto visivo ed emotivo. L’austriaco è stato il mio vincitore morale, il canadese colui che avrebbe dovuto vincere qualcosa sul serio.

Altri due premi da citare: il terzo premio è andato a Seven minutes in the Warsaw ghetto di Johan Oettinger (Danimarca), premio a mio parere incomprensibile per la solita storia dei nazisti che fanno una cattiveria senza senso. Mah! Meglio il premio della giuria Junior a Historia d’este di Pascal Peréz (Spagna, a destra) , un piccolo filmino divertente su un tizio che beve un sacco di caffé, brandy e birra giustificandosi con se stesso. Non un capolavoro, ma la giuria junior deve premiare film simili non, come ha fatto in passato, film impegnati per darsi un tono. Concludo con qualche rapido cenno. Era molto atteso il nuovo Barry Purves, sicuramente il miglior animatore di pupazzi al mondo, con Tchaikovkij elegija (Russia, Bielorussia) ma ha piuttosto deluso: grandissima prova tecnica, ma un po’ arido. C’è un estone che fa l’estone, quindi con una storia surreale coloratissima e divertente a modo suo: Villa Antropoff di Vladimir Leschiov e Kaspar Jancis; c’è anche il nuovo Pes, che fa sempre la stessa cosa e questa volta fa il Fresh Guacamole.

Beh, dai, alla fine qualcosa di cui parlare c’era. Che mi fossi sbagliato?

Annecy 2012 parte I: Considerazioni generali e lungometraggi

Genova, sabato 2 giugno 2012.
Silvia, 5 anni: – Ma dove va lo zio Luca?
Miasorella: – Va a vedere i cartoni animati per una settimana intera.
Silvia: – Ma lo zio Luca è grande! Perché va a guardare i cartoni? E ci voglio andare anch’io!
Miasorella: – Chiamiamolo e diciamoglielo!

Spero proprio che tra qualche anno, quando Silvina sarà abbastanza grande, rimarrà così appassionata di cartoni animati da capire che i cartoni animati sono uno spasso enorme a qualunque età. E com’è andata quest’ anno? Beh, sinceramente, “benino“. Intendiamoci, mi sono divertito tantissimo come sempre, ho rivissuto in gran spolvero la Annecy Experience descritta l’anno scorso, ho visto un sacco di cose interessanti e ho espanso i miei orizzonti, ma oggettivamente il piatto forte del festival, il concorso di cortometraggi, è stato abbastanza scadente. Ma ci arriveremo con calma.

E’ stato l’ultimo anno della direzione artistica di Serge Bromberg. L’istrionico, polivalente, geniale comunicatore che ha lanciato il festival così com’è adesso si dedicherà ad altri progetti. Tenendo conto che l’anno prossimo il cuore del festival, il centro Bonlieu, sarà in ristrutturazione, è probabile che il 2013 porterà dei grossi cambiamenti. D’altronde, pensando a com’era il festival nel 2003, alla mia prima apparizione, e confrontandolo con quello di oggi si notano già non poche differenze: l’importanza data ai lungometraggi, che stanno pian piano soppiantando i corti, la perdita di valore delle rassegne, il comprimersi dei costi rinunciando a tanti frilli e, soprattutto, l’aumento di affluenza. Mai come quest’anno, in più occasioni, ho avuto l’impressione che il Festival di Cinema di Animazione di Annecy fosse vicino al collasso per l’affollamento.

Come da tradizione, ogni anno è dedicato a una nazione, e quest’anno è stato dedicato all’Irlanda. “Ma che animazione ha prodotto l’Irlanda?” chiederete voi. Eh, bravi. Poca roba e neanche molto interessante, infatti non ne ho visto proprio nulla. E, come l’anno scorso era successo per la Polonia, quest’anno c’è stata una nazione che è spiccata sulle altre per quantità di film proposti: la Corea del Sud. Quasi dieci anni fa, nel 2004, il festival era stato dedicato alla Corea, e ripensando alle pessime produzioni di quel periodo c’è da dire che hanno fatto davvero passi da gigante. C’è roba buona e meno buona, ma quello che colpisce è la varietà di temi e di toni dal punto di vista cinematografico, e, dal punto di vista dei contenuti, il ritratto spietato di una società che sembra disumana nella sua rigidezza, competitività e spietatezza. Viene spontaneo paragonare i coreani ai giapponesi: sono convinto che si tratta di due società simili, ma che i coreani siano molto più autocritici e spietati nei propri confronti (senza tralasciare il fatto che sei i coreani appaiono in un ottimo momento creativo,  il Giappone  è sempre più in crisi di idee). A sinistra, il bel manifesto del festival.

E parliamo subito di un ottimo lungometraggio coreano, fuori concorso: King of the pigs di Sang-oh Yeung. Uno scrittore fallito incontra un suo compagno delle medie, divenuto un manager, e insieme a lui ripercorre i ricordi della loro gioventù, soprattutto riguardo un loro compagno di scuola che avevano eletto come leader (appunto, il “king of pigs”) e  i drammatici eventi che ne seguirono.  Si tratta sostanzialmente di una storia di bullismo,  visto come specchio di una società in cui i forti e i ricchi prevaricano i  deboli e i poveri.  E, soprattutto, è una storia senza nessuna speranza, agghiacciante nella sua durezza: le scene nel presente dimostrano come il mondo fuori dalla scuola funzioni allo stesso modo del microcosmo scolastico, e il ricordo non porta nessun conforto. Forse la battuta chiave, pronunciata dal King of Pigs dopo aver picchiato un bullo, forse è proprio: “Ho una sola paura: che quando crescerete possiate guardare indietro a questo periodo e sorridere. Voglio che ricordiate solo terrore e dolore”.

Bene, vi siete depressi? Questo è solo l’inizio. Il vincitore del Cristallo di Annecy come miglior lungometraggio è stato Crulic – drumul spre dincolo, di Anca Damian, un film croato che parla della morte di un detenuto rumeno in Polonia dopo un prolungato sciopero della fame. Il tema è pesante, ma c’è dell’umorismo (nerissimo) ed è un film tecnicamente straordinario, ricchissimo di idee, di soluzioni visive, con un ritmo perfetto e testi eccellenti. L’animazione serve anche a questo: a trattare un tema del genere e renderlo fruibile; non riesco ad immaginarlo girato dal vivo. Ah, e si vedono alcune foto di Genova. Yeeee! L’ho visto un po’ dubbioso, mi sono ricreduto dopo due scene. Bellissimo.

Tristi? Rimaniao in tema e parliamo di Arrugas, film spagnolo di Ignacio Ferraras. vincitore del secondo premio. Si tratta di una storia d’amicizia tra anziani in una casa di riposo, tra l’isolamento dal mondo, l’attesa della morte e la minaccia dell’Alzheimer. E’ oggettivamente un bel film, triste ma senza essere patetico, e secondo me, nel lotto dei film di cui sto parlando, è uno dei pochi che forse potremo vedere in Italia.

Due rapidi cenni ad altri due coreani (almeno in parte). Coleur de peau: miel di Laurent Boileau e Jung Henin è una storia di adozione in Belgio di un bimbo coreano che, cresciuto, vorrà ritrovare le sue radici. E’ piaciuto in generale (ha vinto il premio del pubblico – cosa che mi ha sorpreso non poco), ma io non l’ho amato particolarmente, tanto che mi è scivolato via, lo sto dimenticando molto in fretta. Molto più duro e crudo è Eun-sil-yee (The Dearest) di Sun-Ah Kim e Se-hee Park: in un villaggio di campagna una ragazza ritardata è l’oggetto sessuale di diverse persone, muore di parto, e tutti cercano di ammazzare il suo bambino, mentre i servizi sociali e lo Stato sono assenti. Gasp. Al di là del tema, il film non è comunque un granché.

Ok, i più pesanti sono andati. Ronal the barbarian (di Thorbjorn Christofferesen e altri tre signori) è davvero un sacco divertente. Appare come una specie di Dragon Trainer (il vichingo/barbaro “sfigato” in un villaggio di superuomini), ma ha un sacco di riferimenti a un certo mondo gay, al sado/maso e all’iconografia heavy metal: balle volanti! Frustini! Amazzoni non-standard! Metallari ante-litteram! Demoni giganti e fiumi di sangue! Guardatevi un filmatino, dai. Corrisponde più o meno ai titoli di coda.  Si ride davvero tanto in questo film.

Un cenno breve a Tad the lost explorer, una parodia spagnola di Indiana Jones, abbastanza divertente e con alcuni comprimari azzeccati (dovrebbe essere distribuito anche in Italia, secondo il produttore esecutivo che ho conosciuto in coda), e a Le Tableau, una storia un po’ poco riuscita sui personaggi di un quadro alle prese col razzismo (ne ho dormito metà, a dire il vero!).

Infine, non ho visto anteprime, ma di Madagascar 3 ne facevo a meno e gli altri a naso ispiravano poco. Mi spiace però aver perduto Le jour de Corneilles di  Jean-Christophe Dessaint, di cui mi hanno poi detto un gran bene. Ne avevo il biglietto, ma l’ho scambiato per vedere stupri di ragazze ritardate. Sgrunt.