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Flautò Trudy

Una volta il professor Locatelli, in prima media, per farci esercitare col lessico ci fece trovare in classe tutti i sinonimi del verbo “dire” da usare per introdurre un dialogo, scrivendoli progressivamente sulla lavagna.
“Esclamare!” Bene. “Parlare!” No. Non è transitivo. “Ribattere!” Eccellente! E così via.

Dopo un po’, quando le proposte iniziavano a latitare, sparai la cartuccia che avevo tenuto in serbo fin dall’inizio: “flautare”.
Avevo incontrato questo verbo in un Giallo dei Ragazzi, serie che leggevo spesso prendendone i volumi dalla biblioteca di Alassio. Non ricordo come l’avessi scoperta, visto che non sono mai stato appassionato di gialli, ma in un modo o nell’altro mi ero sciroppato una bella trentina di libercoli. I miei preferiti erano la serie “Hardy Boys”, che è stata poi spietatamente parodiata in South Park. Penso di essere stato uno dei pochi in Italia a cogliere il riferimento. Mi meriterei un premio.

Beh, comunque, in un Giallo dei Ragazzi c’era un personaggio che si chiamava Trudy che a un certo punto flautava qualcosa, e siccome era scritto in un libro, era per forza valido. Alzai la mano e dissi “Flautare!”. Il professore ridacchiò e disse: “Flautare? Fai come XYZ, ti inventi le parole?”. Non ricordo chi fosse lo scrittore XYZ, forse D’Annunzio, o forse Gadda, e il paragone poteva anche essere lusinghiero, ma io ci rimasi male perché “flautare” non era stato scritto sulla lavagna. E Trudy, allora, cosa aveva fatto?

Letture al sole IV

Di bello:

Mumin e i briganti di Tove Jansson: la migliore lettura del weekend è il primo volume della serie integrale dei Mumin pubblicata da Black Velvet, regalatomi da Golosino per il mio compleanno. Ero un po’ dubbioso, perché avevo solo sfiorato i Mumin tanti anni fa su Linus e non mi avevano colpito molto, ma sono rimasto davvero impressionato dal surrealismo, la sottile crudeltà, la follia di questi strampalati troll finlandesi. Ho apprezzato molto come le strisce paiano balzare follemente da un argomento all’altro da una all’altra, però mantenendo un vago canovaccio, e come i disegni, apparentemente semplici, siano in realtà ricchi di piccoli tocchi di classe come personaggi che agiscono sullo sfondo o separazioni tra le vignette costruite in modo elaborato. Una bella scoperta.

Super Paradise di Ralph König: il primo volume arrivato in Italia di König (che da noi è stato trattato editorialmente piuttosto male) non è il primo della saga di Conrad e Paul, ma piuttosto forse un punto di svolta, dato che si svolge quando nel colorato e pittoresco mondo gay di Colonia fa capolino l’AIDS. Divertente in modo amaro: curiosamente, di solito questa è una caratteristica delle opere italiane.

Dylan Dog n.4: Il fantasma di Anna Never di Tiziano Sclavi e Corrado Roi: sono affezionatissimo a questo Dylan Dog. Mi è sempre piaciuta la commistione di reale e sogno, il personaggio di Anna Never (le svampite sono sempre irresistibili!), i disegni di un Roi in ottima forma, persino il controfinale a sorpresa (cosa che poi diventerà una iattura per Dylan Dog). E pazienza se lo spiegone finale è un po’ raffazzonato e incoerente, è un albo che si legge davvero con piacere.

Di abbastanza bello:

(sigh, ero partito con l’idea di dare solo due categorie, bello e brutto, e ora siamo già a quattro…)

Dylan Dog n.5: Gli Uccisori di Tiziano Sclavi e Luca Dell’Uomo: disegnatore ospite per una storia con uno spunto un po’ scemino, ma che ha di buono l’introduzione di uno dei personaggi più memorabili di Dylan Dog, il lord H.G. Wells, e alcune scene di massacro ben congegnate. Si noti come, a questo numero, si continua a cercare di dare una continuity facendo spesso riferimento agli albi precedenti. Si smetterà presto.

(una nota sulla lettura dei Dylan Dog: nell’estate 1987 avevo a disposizione a Sassello la prima decina di Dylan Dog e ne rileggevo qualcuno ogni giorno, quindi se dico che ho letto i primi albi decine di volte non è un’esagerazione. La rilettura di questi primi numeri è quindi più che altro un tuffo nella nostalgia e nello riscoprire dialoghi che sapevo a memoria, ed è pertanto un po’ difficile darne un commento asettico. Quindi, non lo darò!)

Di così così:

Castelli 25 di Alfredo Castelli & AA.VV.: un volume dell’ANAF dedicato al venticinquennale proefessionale di Alfredo Castelli, pubblicato nel 1991. Esso raccoglie un’antologia di brevi storie del celebre e vanaglorioso sceneggiatore con divagazioni scritte da lui medesimo, ripropondendosi di tracciarne la carriera. In realtà l’obiettivo è alquanto mancato, perché arrivato al suo ingresso in Bonelli, intorno al 1980, le luci si spengono perché il materiale, a detta del BVZA, è facilmente reperibile, e probabilmente per questioni di diritti, aggiungo io. Ciò non toglie che ci sono alcuni gioiellini tratti dal Corriere dei Ragazzi o dal Giornalino che vale la pena recuperare.

L’amara storia dell’aquilone che non volava

Sassello, 1983 circa

Quando stavo in campagna dai nonni, i miei venivano solo occasionalmente a trovarci, e di solito finivano per portarci qualche regalino. Una volta giunsero con un aquilone, e lo stesso giorno anche il mio amico Daniele tirò fuori dal cappello un aquilione: non so se si trattasse di una  straordinaria coincidenza, oppure se ne avesse uno tra i suoi giochi e si fosse ricordato della sua esistenza solo vedendo il mio. Comunque andammo nei prati accanto a casa mia per far volare quella coppia di gioielli, e qua si consumò il dramma: l’aquilone di Daniele volava benissimo, tra lo spasso e la meraviglia del mio gruppo di amici, mentre il mio non ne voleva sapere di levarsi. Non so perché, forse era fatto meno bene, o l’avevamo montato male, o non erano stati fatti i giusti sacrifizi al dio Eolo, ma il mio aquilone non volava.

Allora lo presi e me ne andai, piagnucolando tra me “Perché il mio aquilone non vola e quello di Daniele sì?” e andai a sedermi sulla scala di casa dei Pamparotti, che (casomai non foste una delle sei persone che lo sanno) sta a qualche centinaio di metri più distante. Mi sentivo come un eroe dei cartoni animati giapponesi alle prese con una ingiusta e titanica lotta contro il destino: l’Universo non vuole che il mio aquilone voli! E io, per combatterlo, me ne sto giustamente a frignare e sperare che qualcuno si accorga della mia assenza e venga a cercarmi per consolarmi! Ok, nei cartoni animati giapponesi di solito non funziona così, ma insomma, vediamo di venirci incontro.

Lieto fine: nessuno si accorse della mia assenza perché erano troppo presi a far volare gli aquiloni e divertirsi. Lieto fine? Eh, sì! Muovi il culo, stronzetto, e smettila di compatirti o torno indietro nel tempo a farti bullismo!

(è un periodo che ce l’ho col mio me stesso di qualche anno fa, che volete farci!)
Letture al sole III

Di bello:

Nonnonba – Storie di fantasmi giapponesi, di Shigeru Mizuki: la migliore lettura del weekend è un altro vecchio manga, in questo caso di Shigeru Mizuki, poco noto in Italia ma uno dei mostri sacri giapponesi, in questo caso quasi letteralmente! Infatti questo volume è un interessante ritratto parzialmente autobiografico dell’infanzia dell’autore, in cui una specie di tata parla dei classici mostri giapponesi (yokai) al ragazzino protagonista, mostri che lungi dall’essere mitici fanno parte dell’esistenza quotidiana. E’ un racconto su un Giappone in cui la tradizione (rappresentata dagli yokai ) si scontra e si fonde col presente (lo spettro della guerra, la povertà, le malattie) e il futuro (le città così lontane e moderne, il cinematografo). Più un manga storico che un horror, ma un’opera monumentale.

Sul fondo del cielo, di Osamu Tezuka: raccolta di storie brevi di Tezuka in una bella edizione della Hazard. Tezuka è come sempre un genio della narrazione, ma ciò che colpisce in questi racconti è il fatto che siano particolarmente “dark” e pessimisti. Tezuka ha sempre alternato uno spietato realismo in cui mostra il lato più oscuro degli uomini a un lato solare pieno di speranza e amore per la vita: in questi racconti è il primo che prevale, spesso accostato a delirii, incubi e visioni. Alcuni racconti sono più riusciti e altri meno (cito tra i migliori quelli del direttore mendicante e quello dedicato alle lotte studentesche) , ma in generale bellissimo e a tratti agghiacciante.

Dylan Dog 2, Jack lo squartatore, di Tiziano Sclavi e Gustavo Trigo:  non me lo ricordavo così interessante il secondo Dylan Dog! A parte gli spettacolari disegni di Trigo, Jack lo squartatore è solo un pretesto (e un curioso deus ex machina per il finale!) per una piccola trama gialla ottimamente sceneggiata. Se poi aggiungiamo le belle pennellate che sa dare Sclavi quando è in forma (penso ad esempio al personaggio del lord innamorato) e qualche finezza di sceneggiatura, otteniamo un bonelliano veramente apprezzabile.

I am a hero v. 6, di Kengo Hanazawa: sono sempre più convinto che quando questo manga apocalittico pseudo-zombesco sarà finito sarà da rileggere per reinterpretatare la storia, perché l’aspetto più interessante continua ad essere la domanda “cosa si sta immaginando il protagonista e cosa è effettivamente reale?” e appare che il confine tra le due cose sia sottilissimo. Ora siamo arrivati, comunque, nella fase zombesca dell’asserragliamento nel centro commerciale, inevitabile. Lettura comunque spassosa.

Di così così:

Dylan Dog 3, Le notti della luna piena, di Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani: in realtà questo Dylan Dog ha anche una bella sceneggiatura, con un paio di bei colpi di scena (Groucho imprigionato dalla strega mentre racconta la barzelletta, il ragazzo ritardato visto con compassione e che agisce da risolutore – tema poi molto sfruttato da Sclavi), ma io Montanari & Grassani, così rigidi e privi di espressività, proprio non li reggo e fanno perdere un sacco di punti.

Nodame Cantabile v. 23 di Tomoko Ninomiya: ultimo numero della serie regolare (ci saranno poi due speciali).  Avrebbe potuto finire in uno qualsiasi dei 5-6 numero precedenti, ma, come si usa in Giappone, c’è voluto un editor che dicesse “stop” in un momento pseudocasuale. In questo senso, lo scioglimento così atteso e telefonato perde molto di pathos, ma comunque un pochino ci si commuove lo stesso. E’ proprio impossibile non affezionarsi a Nodame!

Cornuti e mazziati

Alassio, Alassio (nel senso di “squadra di calcio dell’Alassio”), 1984 circa

L’allenatore spiega ai ragazzetti come bisogna comportarsi in caso di calcio d’angolo.
– Dovete andare incontro alla palla e incornarla in rete.

Un tizio spiritoso con la testa rotonda fa la battuta:
– Ecco perché si chiama “corner”!
Non fa ridere, e infatti non rise nessuno, ma io mi sentii in dovere di correggerlo:
No, deriva dall’inglese “corner”, che vuol dire angolo.

Pronunziai anche “corner” non come lo pronuncerebbe chiunque ha un’infarinatura di inglese, ma piuttosto “co-na”, come l’avevo sentito dire dall’insegnante di inglese Rossana, che ci aveva appunto spiegato questa curiosità.
L’anonimo spiritoso mi guardò con un po’ di pietà ma, scornato, stette zitto.

Ecco. Vorrei avere una macchina del tempo per tornare indietro e farmi del bullismo da solo.

Letture al sole II

Weekend di pochi volumi, ma di buona qualità media. Sono soddisfatto.

Di bello:

Habibi, di Craig Thompson: questo monumentale volume di quasi 700 pagine è rimasto in attesa di lettura dallo scorso Lucca Comics, forse perché ero spaventato dalla mole. E’ un vero e proprio romanzo grafico: romanzo, per il carattere di storia autoconclusiva con un ampio arco, e grafico non solo perché è un fumetto ma anche per il modo in cui la calligrafia araba è parte della storia. E il mondo arabo è il vero protagonista, in un curioso melange tra quello classico da Mille e una notte e quello moderno. Vediamo quindi grattacieli, bidonville in mezzo alla spazzatura e motorette accanto a eunuchi, sultani, harem e scribi. La storia è un po’ meno originale, parla di un rapporto un po’ contorto tra due persone, come si perdono e poi si ritrovano, il tutto che ruota intorno ai tanti modi possibili di dare e ricevere amore. Un gran bel fumetto.

Appartment vol.2, di Kang Full: secondo volume che conclude la storia horror di cui ho parlato la settimana scorsa, non svacca affatto quando si iniziano a scoprire le cose, e l’orchestrazione mediante i diversi punti di vista diventa sempre più complessa e interessante. Non ultimo, il fumetto ha anche una sua morale niente affatto trascurabile, e si usa spesso la parola psicopompo che è buffissima. Ancora più consigliato.

Golgo 13 vol.2, di Takao Saito: secondo volume su 3 di un “Best of” di Golgo 13, un fumetto noir giapponese (un gekiga più che un manga) pubblicato ancora oggi  a partire dal 1969. Impossibile tradurlo tutto, ma le storie scelte dall’autore e pubblicate in tre volumi sono davvero belle. In questo volume, in particolare, spicca la prima, lunga storia focalizzata sul destino dei Romanov intrecciata con una spy story particolarmente intricata, e una breve storia di vendette mafiose ambientata nel deserto americano.

Dylan Dog n.1, L’alba dei morti viventi di Tiziano Sclavi e Angelo Stano: mentre mi preparavo il caffè, mi è caduto l’occhi su una libreria e mi son detto “Ehi, ma da quanto tempo è che non mi rileggo il Dylan Dog dei tempi d’oro?”, ho afferrato il numero 1 e l’ho riletto. Non so dire quanto e cosa rileggerò di questa serie, ma intanto iniziamo con questo. A me piace poco Stano. Anche quando si impegna, come in questo albo, trovo i suoi disegni sgraziati e poco adatti alla narrazione. E inoltre il difetto principale di Dylan Dog, l’eccessivo citazionismo (o, potremmo dire, il servilismo nei confronti del cinema) è ben presente nella storia, tanto che le scene di azione e horror sembrano copiate da un distillato di film horror. Eppure i dialoghi sono perfetti, c’è umorismo, ironia, una scrittura di gran qualità, i personaggi sono introdotti con classe e naturalezza. Il primo Dylan Dog si legge ancora con grandissimo piacere cinque lustri dopo.

Di così così:

Le petit sale con di Madet: ion apparenza un fumetto semi-erotico con protagonisti animali antropomorfi, è in realtà la storia di una relazione nata male, proseguita peggio e finita, ovviamente, malissimo. Forse la cosa più interessante è l’analisi di come i due si rendano conto da subito che non funzionerà, né a letto né fuori, ma insistono comunque in una sorta di masochismo.

Nodame Cantabile vol. 22 di Tomoko Ninomiya: quasi giunto alla fine con un po’ di stanchezza questo manga per signorine cresciutelle (ditemi voi come si chiamano gli shojo per universitarie!) ambientato nel mondo della musica classica. Io ho l’impressione che, cercando di far evolvere i personaggi che erano delineati molto chiaramente, l’autrice abbia finito per snaturarli. Ma vedremo come finisce.

Notes, tome 2 di Boulet: originariamente pubblicato sul suo blog, Boulet (disegnatore del Donjon Zenith dopo che Trondheim ci ha mollato) raccoglie micro storie autobiografiche che spesso diventano dei carnet di viaggio, ma fa anche lo sforzo di crearci una cornice intorno, per la verità non molto riuscita. Interessante la varietà di stili di disegno che Boulet sfoggia, mentre le storie non sono malaccio ma mancano dell’incisività dei migliori diari di Trondheim o Sfar. Scritto in un francese colloquiale a volte piuttosto ostico, ma interessante da affrontare.

Di brutto:

Niente! :)