E’ tempo che sento parlare dei biscotti Oreo, vedendoli citare spesso nella cultura popolare americana come se fossero Nettare degli Dei, ed è tempo che ero curioso di assaggiarli. Io non sono un biscottaro, amo poco i dolci in generale, e forse per questo mi sfuggiva cosa ci fosse di così particolare in questo prodotto. Per chi non lo sapesse, gli Oreo sono biscotti con due cialde con dentro una cremina, non dissimili dai Ringo come dimensione e dai Prince Lu come concetto. Le cialde sono al cioccolato e il ripieno, nella versione standard, alla crema al latte. Scopro inoltre che sono anche commercializzati in Italia dalla Saiwa, ma nei supermercati non li ho mai visti. Forse perché non sono un biscottaro e salto sempre quello scaffale.
Così, quando il mio amico C. è stato in Indonesia e si è trovato di fronte un’offerta speciale di Oreo a mille gusti diversi, mi ha chiesto se ne volevo. Sì, perbacco, ne volevo, ed ecco che mi son trovato ben sei confezioni di Oreo: due al gusto standard, uno al doppio cioccolato, altre due a due varianti di “gusto gelato” (qualunque cosa voglia dire!) e uno alla fragola. Come bonus per il pacco c’è financo un piccolo contenitore rotondo, probabilmente per CD a giudicare dalla dimensione, ovviamente a forma di Oreo.
E così li ho assaggiati, partendo dal gusto di base. Beh, boni. Sono meno esageratamente dolci dei Ringo (qualcuno li aveva addirittura definiti “salati”, ma mi pare eccessivo) e spingono di più sul cacao nelle cialde. Hanno un effetto “uno tira l’altro” non trascurabile, bisogna porvi attenzione. Io non puccio, ho sempre odiato pucciare, quindi non posso giudicarli da questo punto di vista, ma essendo un prodotto pensato per gli americani, che non pucciano (bravi ragazzi!), probabilmente non performano bene. Dal lato negativo, la confezione si apre con difficoltà man mano che si scende verso il basso, ma magari è un difetto del packaging indonesiano.
Insomma, boni, gnam, vi dedicherò qualche colazione.
Pur avendo iniziato col gusto “standard”, sono curioso di provare la versione supercioccolato, e secondo me anche le versioni al gelato devono essere interessanti. Ma quella alla fragola, quella mi spaventa: non so se sono io, ma ogni prodotto industriale alla fragola per me è l’apoteosi del sapore artificiale. Caramelle, ciupaciù, merendina, gelati, sciroppi, persino marmellate alla fragola, hanno un sapore dolciastro, chimico e irriconoscibile rispetto al frutto. Tutti i frutti, quando trattati industrialmente cambiano un po’ sapore rispetto alla versione fresca, ma in qualche modo ne vengo a patto. La fragola no, quella mi fa inveire profondamente. E quindi? Beh, assaggerò lo stesso gli Oreo alla fragola, sperando che William Oreo Jr. abbia scoperto il segreto per rendere le fragole edibili nei dolci confezionati, ma più probabilmente ci sarà un party in ufficio in cui quel mattacchione di XX porta ad assaggiare una specialità esotica: gli Oreo indonesiani alla fragola!
(Ancora un grazie di cuore a C. per lo sbattimento che si è preso per portarmi i biscottini!)
Nel 1989, a quindici anni scarsi, un bel sabato pomeriggio primaverile feci un giro per Alassio con alcuni miei compagni di classe più alla moda di me. Cambiando i nomi per far finta di tenere alla privacy, c’erano Dario, appassionato di motorette, Rolando, allampanato, bagnino, un po’ lunatico, e Samuele, biondo, mezzo tedesco, già allora PR di discoteche.
Non si trattava di una situazione da film americano il cui il nerd si aggancia ai compagni più popolari (magari membri della squadra di football) e poi lo derideranno ma poi lui avrà la sua rivincita conquistando l’amore della capitana delle cheerleader. No, eravamo compagni di classe, anche abbastanza amici, ma con interessi diversi: loro la domenica pomeriggio andavano in discoteca, io giocavo di ruolo, e non per questo mi sentivo inferiore.
Lo scopo del pomeriggio era di girare per il paese, osservare la gente (e questo mi divertiva) e guardare le vetrine dei negozi di vestiti, attività per la quale ho finto un cortese interesse. “Oh, che graziosa camicia coi fiocchetti rococò. Sì, certo, mi piacerebbe proprio averla. Ma se dovessi scegliere tra quella e questa cintura di coccodritto, non saprei proprio cosa prendere. Non posso averle entrambe?”.
A un certo punto, passammo di fronte a un negozio di sanitari e Dario apostrofò Samuele: “Ehi, guarda, qui vendono il tuo motorino!”. Non era la prima volta che Dario rimproverava a Samuele il fatto che il suo mezzo di trasporto (forse era un Fity?) era inadeguato alla sua statura sociale, e l’evidente riferimento era “la tua motoretta è un cesso!”. Io risi educatamente per la battuta, mi voltai verso il negozio, e vidi una motoretta della stessa marca di quello di Samuele dentro il negozio. Allora risi pù forte.
Non uscii più con quel trio, ma io e Rolando negli anni successivi divenimmo molto amici superando le nostre differenze e arricchendoci a vicenda. Finito il liceo, finì la nostra amicizia. Peccato.