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Enciclopedia Stronza I: Capo Merda, Tricchiarello, Trattoria Pino

Premessa
L’Enciclopedia Stronza nasce dalla collaborazione tra Luca XXmiglia e Marco Agustoni per ovviare a tutte le lacune che presentano le tradizionali enciclopedie. Esse, per incuria o più probabilmente per malizia, lasciano fuori dai propri voluminosi tomi alcune voci preziosissime per la cultura di chiunque: grazie all’Enciclopedia Stronza, nessuno più ignorerà questi aspetti dell’Umana Conoscenza.
(Nota bene: l’Enciclopedia Stronza, per definizione, non è in ordine alfabetico)

Capo Merda: questo promontorio, situato in Scandinavia, è delimitato da scogliere a strapiombo sul mare, in cima alle quali è costruito il paese omonimo. Il simpatico nome deriva dagli enormi stormi di gabbiani che lo sovrastano e che vi depositano copiose quantità di guano, coprendo completamente la ridente cittadina. Il suolo risulta così molto scivoloso, e le cadute dei cittadini nel precipizio sono all’ordine del giorno. A causa di questa iattura, la città si sta gradualmente spopolando e i capomerdini si stanno estinguendo.

Tricchiarello: giuoco popolare simile alla morra cinese, diffusosi in Italia Settentrionale durante la calata dei lanzichenecchi. L’allegra soldataglia, tra un massacro e l’altro, insegnò ai Lombardi come giocare. Una partita comincia nel momento in cui una persona sfida qualcun altro a questo gioco, dichiarando ad alta voce: “Tricchiarello” e tirando un buffetto sul naso all’avversario. A questo punto, vince chi per primo estrae una nespola dalle proprie tasche (non vale avere già una nespola con sé). Le partite a Tricchiarello possono durare diversi mesi, a causa della stagionalità delle nespole. Si narra addirittura di sfide prolungatesi per anni, a causa delle particolari condizioni climatiche che in diverse epoche storiche avevano reso difficile reperire i prelibati frutti.

Trattoria Pino: nella Trattoria Pino si mangiano solo pini, in tante forme: pino fritto, risotto al pino, pino alla griglia, insalata di pino, pino al pino, gelato di pino e così via. Il proprietario si chiama Pino e si arrabbia se qualcuno non mangia i pini, ma si arrabbia pure se qualcuno li mangia perché è come se i clienti mangiassero lui stesso. Gli unici che abbiano mai mangiato un pasto completo sono stati dei Ronfi di passaggio, eppure il ristorante ha una clientela affezionata perché Pino quando si arrabbia fa delle facce buffe.

Auguri Renzo e Mari!

Renzo e Mari

Il suo sguardo guarda lontano poiché egli sa che dopo la cerimonia lo aspettano cibo, birra, amici ed una paletta musicale. Che volere di più?

Auguri di tutto cuore a Renzo "Kotekino" Sala e alla sua deliziosa sposa Mari!
(Un grazie ad Antonello C. per la foto.
E adesso basta roba seria, torniamo a parlare di stronzate!) 

Aladino e il Genio del Campanile

Verso la fine delle elementari ero ancora uso andare a messa, ma ero giudicato abbastanza grande per andarci da solo se necessario. In una di queste occasioni, in una domenica pomeriggio invernale, ascoltavo Padre Tommaso che teneva l’omelia nella chiesa dei cappuccini di Alassio. Quand’ecco che incombe la tragedia. Padre Tommaso lamentava la necessità di fare dei lavori urgenti al campanile, per i quali servivano dei fondi che la chiesa non aveva a disposizione. "Quindi, oltre l’usuale questua, verranno distribuite delle buste nelle quale fare un’offerta", concluse il frate sorridendo sotto la barba.
Io andai in panico. Da bambino non avevo mai una lira in tasca (non avevo semplicemente l’abitudine di portarmi dietro del danaro), ma consegnare la busta vuota mi pareva tremendo. Se è il prete a chiedere soldi, pensavo, è un po’ come se lo facesse Dio per interposta persona, e quindi non dare nulla è in qualche modo un peccato! Finirò all’inferno! (per qualche strana ragione, invece, non mi facevo problemi a non dare niente nella normale questua, che per di più è pubblica, ma per ora torniamo al piccolo Luca spaventato)
Mi ritrovai quindi a sperare: "Beh, magari dentro la busta qualcuno ha lasciato qualcosa…". Aprii la busta e ci trovai dentro una banconota, mille lire. Per me erano un piccolo tesoro e sarebbero bastate.
Quindi, in quel fatidico pomeriggio, ho avuto a disposizione un desiderio come quelli del Genio della Lampada e l’ho utilizzato per trovare mille lire. Avrei potuto desiderare la Pace nel Mondo, o di diventare ricchissimo, o che Nicole Kidman mi spupazzasse il salame per il resto dei miei giorni o, con rara astuzia, di avere altri infiniti desideri a disposizione. D’altronde, i frati hanno riparato il campanile e io ho avuto l’anima salva. Accontentiamoci, per questa volta.

Noi uomini duri

Cosa credi, che io sia ancora un bambino che si lava la faccia con gli occhi chiusi?
 Richard Cunningham in Happy Days (citazione non letterale)

Avrò avuto sei, sette anni e questa frase di Happy Days mi sconvolse. E che diamine, vado già a scuola, ormai sono un ometto, come non fanno che ripetermi le vecchie zie. E poi arriva un Cunningham qualunque a farmi ricredere: eh, no, non ci sto! Passai diverso tempo a soffrire riempendomi gli occhi di sapone prima di capire che in realtà nessuno si lava la faccia con gli occhi aperti, appunto perché gli occhi (intesi come bulbi oculari) non vanno lavati. Eppure, questo modo di dimostrare la propria virilità non è meno imbecille di diversi altri che gli ometti mettono in pratica molto spesso. Sì, anche io.

Il Vero Uomo mangia piccante. In una tavolata di adolescenti c’è sempre un maschio alfa (o aspirante tale) che ordina la pizza "del diavolo" o qualcosa di simile solo per fare quello che "più piccante è meglio è", ovviamente senza sentire poi alcun sapore per l’effetto anestetico del peperoncino. Le pizzerie lo sanno e di solito nelle pizze piccanti mettono gli ingredienti più scadenti.

Il Vero Uomo regge l’alcool. "Io una volta ho bevuto diciotto litri di birra! E non sono stato male! Non preoccuparti, guido io. Io sono abituato a guidare dopo aver bevuto, e con solo tre o quattro gin tonic non ho nessun problema. Sì, ci sono gli etilometri, ma sono tarati per gente con meno autocontrollo di me".

Il Vero Uomo non ha mai freddo. Forse è una reazione al fatto che molte signorine sono un po’ troppo freddolose, ma il Vero Uomo si veste più leggero del necessario, non usa il cappello o la sciarpa quando servono e spesso si sbottona il cappotto. "Uff, che caldo. Che ci posso fare, a me il freddo non fa niente. Pensa che in inverno io scio sempre senza guanti!". Il che si ricollega al fatto che…

Il Vero Uomo non si ammala. O meglio, si ammala, ma minimizza. "Trentasette e sette, cosa vuoi che sia? Fino a trentanove non è vera febbre! Una volta sono andato a scuola con quaranta di febbre, e non me n’ero manco accorto.". Visto che lui non è malato, non prende nemmeno medicine. "Guarda, le medicine fanno più male che bene, perché il corpo poi si abitua e non reagisce in modo naturale. Dammi retta, aspetta che la malattia faccia il suo corso."

Suggerisco qui tra le righe che i Veri Uomini sono rari perché di solito non vivono a lungo. D’altronde, una vita col sapone negli occhi ogni mattina non credo sia degna di essere vissuta.

Dieci universi pallosi

Un tema che piace molto agli scrittori di fantascienza è quello dei mondi alternativi, ovvero immaginare come potrebbe essere la nostra Terra se la storia avesse preso una strada differente. E allora giù di mondi in cui Hitler ha vinto la guerra o in cui l’Impero Romano non è mai caduto o popolati da uomini rettile; oppure, specularmente, si è giocato spesso sugli universi virtualmente indistinguibili, quelli in cui io penso muovo l’indice invece del medio e non cambia null’altro; infine, la terza alternativa più battuta è l’universo in cui uno specifico evento è andato in modo differente o una determinata persona non è mai esistita (i "What if…" della Marvel o anche "La vita è meravigliosa" di Frank Capra).
Io, che amo rompere le palle, ho invece immaginato dieci mondi che sono sostanzialmente uguali ai nostri se non per alcuni aspetti della società che in fondo sono convenzioni. Spinguiniamo il multiverso, ed immaginiamoci mondi in cui:

1) i ritmi lavorativi non sono scanditi dal concetto di "settimana", ma da quello di "quaterna": ogni tre giorni di lavoro ce n’è uno di vacanza.

2) nelle automobili la disposizione dei pedali non è standard, ma cambia da modello a modello, esattamente come, nel nostro mondo, cambiano tutti gli altri comandi (fari, tergicristalli, doppie frecce).

3) viene considerato disgustoso osservare qualcuno che mangia, come per noi lo è osservare qualcuno che defeca (questo è già più radicale e non mi stupirei se qualcuno l’avesse già sfruttato)

4) la maggior parte dei libri, quaderni, fogli sparsi è più larga che alta. Il default è landscape, non portrait.

5) il sorriso, cioè l’atto di mostrare i denti, è considerato come un atto ostile.

6) i computer, oltre agli usuali mouse e tastiera, hanno anche un’interfaccia azionata coi piedi.

7) in bagno non si tira lo sciacquone dopo aver fatto la pipì, ma lo si fa prima di usare il water.

8) i maiali sono comuni animali domestici e mangiarli è considerato un atto di barbarie (come nel nostro mondo lo è quasi ovunque per cani e gatti)

9) le parti del corpo che la morale vigente prevede necessario coprire sono le mani e i piedi. Al mare, quindi, la gente sta coi genitali in vista ma indossa guanti e calze.

10) si ritiene che la sede dei sentimenti sia il fegato, non il cuore.

Per quanto mi riguarda, il mondo 8 si avvicina alla mia concezione di inferno. 

Il sangue dei regazzini morti

A volte mi perdo ad immaginare che fine potrebbero aver fatto alcuni personaggi che ho incontrato nella mia esistenza, persone che pur essendo presenti nel mio ricordo hanno giocato un ruolo marginale nella mia vita. Purtroppo, questi figuri sono tutti morti.

Vincenzo: Vincenzo dimenticò ben presto i suoi effimeri compagni di classe di quella prima elementare in cui aveva passato tre mesi. Non che gli fossero antipatici, ma aveva altri problemi: ci vedeva malissimo, nonostante quegli occhiali spessi come una fetta di salame tagliata da un buongustaio, ed era anche un po’ sordo. Dato che il mondo esterno gli pareva così inaccessibile, Vincenzo si rifugiò in quello interno, passando sempre più tempo da solo, e per tenersi compagnia iniziò ad inventare storie: il suo piccolo manipolo di eroi spaziali del mondo di Qorx, combattenti contro l’ingiustizia, forse non brillava per l’originalità del soggetto, ma le trame erano così elaborate, gustose e ricche di colpi di scena che chiunque se ne sarebbe appassionato. Ogni giorno Vincenzo sbrigava più in fretta possibile tutte le stupide incombenze che il mondo richiedeva (la scuola, i compiti, il cibo, il sonno), così da poter rimanere sdraiato sul letto a fissare il soffitto, la sua posizione preferita per inventare storie. Purtroppo nessuno ha mai goduto delle storie di Vincenzo, perché se ne è andato silenziosamente come ha vissuto, all’età di sedici anni: troppo preso da Qorx, si è dimenticato di respirare.

Gianfranco: Gianfranco, all’età di cinque anni, era palesemente fermo alla fase orale. Crescendo, fece grossi progressi e giunse alla fase anale, precisamente il 16 ottobre 2001. Quell’inverno iniziò a segnarsi il chilometraggio e i tempi di percorrenza per ogni suo viaggio, annotando i dati in bella calligrafia su un elegante taccuino a quadretti  della Fabriano che portava sempre con sé. La moglie Mariachiara, un po’ preoccupata della cosa, taceva, limitandosi a confidarsi col parroco Don Lino in confessione. Quel sant’uomo non mancava mai di irritarsi perché lei divagava su questi dettagli invece di confessarle i peccati.
Gianfranco non sapeva perché, ma quando aveva un foglio di carta sottomano disegnava sempre una lumaca, e in qualche modo pensava sempre a questi strani animaletti. Erano la sua ossessione, lui ne era consapevole e ne era infastidito, tanto più che il suo "quaderno dei chilometri" era disseminato di gasteropodi! Un giorno stava guidando in una strada di montagna e decise all’improvviso di liberarsi di questa sua mania. "Se le lumache vanno lente", pensò, "basta che io vada veloce! E poi calcolerò la mia velocità media!". E accelerò, guidando come un pazzo e prendendo ogni curva al limite.
Per definizione, guidare al limite significa che è sufficiente un piccolo imprevisto perché succeda un disastro. E l’imprevisto in questione fu Pina la lumaca, che stava attraversando con calma, calma, calma. Gianfranco, emerse dalla sua frenesia quando la scorse, cercò di schivarla e finì fuori strada. Negli 1,28 secondi in cui la sua Golf rimase sospesa per aria, Gianfranco pensò con sollievo che le lumache non volano, e che finalmente era libero. Invero, lo era.

Fabio F .:nonostante quello che potesse sembrare a Stasso de’ Stassis, Fabio era un bambino assai generoso, e non cambiò crescendo. Tutti avevano un profondo rispetto per quest’uomo biondo, dall’aspetto pallido e gracile: i colleghi in Comune a cui non negava mai una mano per coprirli in pausa cappuccino, i numerosi amici che sapevano di poter contare sul suo aiuto disinteressato, le associazioni di volontariato a cui collaborava con lavoro e denaro, la moglie e i fligli che lo additavano come marito e padre esemplare. Eppure c’era un motivo di imbarazzo per chi stava intorno a Fabio: il gioco del calcio. Fabio amava giocare da attaccante e magari se la cavicchiava anche, ma tutte le sue azioni erano una fotocopia: impossessatosi del pallone, si dimenticava completamente dei compagni e partiva in dribbling. Scartava uno, due, magari tre avversari, ma poi perdeva il pallone e l’azione si spegneva. Fabio era bravino, ma non era certo Maradona! In nome dell’affetto per questa pasta d’uomo i suoi compagni di squadra sopportavano questa sua mania, ma dopo l’ennesima partitella persa a causa di Fabio, si scocciarono e smisero di farlo giocare. Fabio ne fu molto rattristato perché, vi sarà chiaro, la sua generosità poteva esistere solo se il suo egoismo si sfogava sul campo. Dopo qualche mese di astinenza dal dribbling, Fabio una sera si rivolse alla moglie con un pallido sorriso stanco e le disse: "Cara, mi dispiace, ma devo fare la cosa più egoista di tutte", e si uccise.

Il Bambino Cattivo : quel giorno al September Fest il Bambino Cattivo era felice. Non aveva ottenuto il palloncino, ma almeno aveva fatto piangere quel bambino dalla faccia un po’ fessa. Eppure, il giorno dopo per qualche strana ragione tutto iniziò ad andargli storto. Nulla di grave, ma tante, tante piccole scocciature: la gomma della bicicletta bucata, il quaderno coi compiti delle vacanze mangiato dal cane, il compito di tabelline a sorpresa già uno dei primi giorni di scuola (e il maestro aveva anche chiesto 7×8, che è la moltiplicazione più difficile dell’intera Tavola Pitagorica!), il vigile che sequestra il Tango nuovo, persino le carote per cena. Era inquieto, e cominciò a pensare che forse non avrebbe dovuto fare quel dispetto. Quante storie aveva letto di bambini monelli che poi vengono puniti! Decise quindi di cambiare vita, e come prima cosa, il giorno seguente, pensò di tornare alla sagra a cercare quel bimbo dalla faccia un po’ fessa per chiedergli scusa. Perso nelle sue riflessioni, non vide il camion della spazzatura che stava arrivando, e più non vide altro. Arrivato in cielo (tutti i bambini vanno in Paradiso, anche quelli cattivi), trovò ad aspettarlo il palloncino volato via. Sospirò e finalmente lo prese.

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