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Surviving Ciucpalaniuc
Da tempo diversi miei amici mi tessono le lodi di Chuck Palahniuk. Non essendo in generale gente da apprezzare Il Codice da Vinci o Susanna Tamaro (o almeno, non solo), mi sono convinto di fare un tentativo. E allora sono andato alla Feltrinelli nella sezione Ciucpalaniuc (è la pronuncia esatta, quella che pochi conoscono) e ho scelto quasi a caso Survivor nell’edizione Oscar Mondadori.
Confesso subito di non averlo amato moltissimo: vediamo di capire cosa non va in Ciucpalaniuc, o magari cosa non va in me che non capisco Ciucpalaniuc.

Non è facile descrivere in due parole la trama di questo libro senza spoiler perché ha una struttura cronologica piuttosto intricata: parte dalla fine e narra la trama mediante un lungo flashback, a sua volta intersecato con incisi temporali in un passato ancora anteriore. Dirò quindi solamente che Survivor è un libro profondamente americano, e questo è sostanzialmente il suo più grosso limite. Si tratta infatti di una spietata satira della società americana, messa alla berlina in molti aspetti tipicamente yankee:vediamo allora la frammentazione delle religioni fino alle sette, lo show business e il suo spietato marketing, i mass media, i fast food, la psicoanalisi come pseudo-religione, il mito della strada e delle storie "on the road", persino l’evento più americano di tutti, il Superbowl. Tutto questo viene demolito con situazioni e personaggi grotteschi ed esagerati, tanto da ridicolizzare tutti questi miti. Ma il problema sta nel fatto che se un lettore americano può aver bisogno di tali iperboli per vedere in maniera distaccata una società così alienante, per un europeo con un minimo di coscienza critica e un minimo di informazione tutto questo è lampante, e quindi la narrazione è ridondante. D’accordo, sappiamo che spesso religione e business si fondono, e che alcune sette sono pericolose. C’era bisogno di inventare una cosa come i Creedish? Direi proprio di no.

C’è un altro aspetto che non ho apprezzato molto: il fatto di voler essere cool a tutti i costi, cioè il dover dimostrare di essere un autore cult, come recitato in modo quasi prevedibile dal risvolto di copertina. E allora assistiamo ad alcune trovate che sono certamente curiose e divertenti alla lettura, ma che lasciano l’idea di essere una sorta di fan service, un modo per compiacere i propri lettori dando loro l’idea originale e spiritosa. E allora assistiamo ad una numerazione delle pagine al contrario (da 280 a 1, per simulare un sorta di countdown), qualche riferimento al sesso in maniera sempre bizarre (i fan di Ciucpalaniuc amano ricordare il rimming), un gusto per gli elenchi probabilmente mutuato da un altro scrittore cult degli anni precedente, Bret Easton Ellis. Insomma, per dirla come i giovani, questo signore se la tira un po’ troppo.

Come se non bastasse, anche la forma mi ha disturbato nella lettura. Ho trovato lo stile di scrittura molto faticoso da seguire, per la struttura composta da frasi brevissime, spesso sotto la riga, talvolta senza un periodo completo. Tale frammentazione può essere un modo per riprodurre la mente non proprio normale del protagonista, ma sospetto che sia un ulteriore tentativo di essere cool e moderno e, perché no, di rendere la lettura più facile. Da pagina 112:
Qui c’è la memoria del loro esserci stati. Dei loro viaggi. Del loro passaggio.
Questo posto è quello che l’assistente sociale chiamerebbe una fonte documentaria di prima scelta.
La storia dell’inaccettabile.
Vieni qui per un pompino gratis. Sabato 18 giugno 1973.
Sul muro c’è scritto così.
Sembra di leggere un titolo di "Panorama"!
E, come impressione, la traduzione di Michele Monina e Giovanna Capogrossi non aiuta molto. Ho trovato un orribile "tè ghiacciato" per quello che probabilmente era "ice tea", ma molte frasi qua e là mi suonano maluccio. Ad esempio, a pagina 281:
Chiamerà un ragazzo. Dopo che mi sono addormentato profondamente, capita a volte.
O a pagina 202:
Se finisco ammazzato da un qualche assassino che mi tiene la testa nel forno, è perché lei non ha mai controllato i miei messaggi

Forse sono stato troppo severo; tutto sommato l’impressione generale non è così negativa. La lettura è nel complesso piacevole, e ci sono delle pagine decisamente divertenti, su tutte gli estratti dal Libro delle Piccole Preghiere o la scena al superbowl. Però, e su questo temo di poterci fare ben poco, questo signore Ciucpalaniuc e i suoi libri mi stanno un po’ sui marroni. Dubito che gli concederò un’altra possibilità.

Neve a fumetti

Manco a farlo apposta, pochi giorni dopo la mia invettiva contro gli sci e quella "roba bianca, fredda e bagnata" mi ritrovo con la mia città, Genova, sommersa da una coperta bianca. Che poi da piccolo mi dicevano a scuola che la neve tiene al caldo le sementi sotto la terra, e io mi chiedevo ma che cacchio, ma non è fredda la neve?
Comunque, complici vecchi ricordi di nevicate commentate con gli amici, la mente corre alle varie nevicate viste nei fumetti.

La neve dell’Eternauta, silenziosa e mortale, spietata e indimenticabile.
La neve che sorprende Petrilli in "Storiella Bianca" dell’immortale Andrea Pazienza.
La neve eterna del Tibet in una delle più belle avventure di Tin Tin.
La neve che compare in Watchmen, nella visita a Ozymandas. In Watchmen c’è tutto, non poteva mancare la neve.
La neve che persino in un fumetto cinico come Sin City va a portare un briciolo di commozione, in "Notte Silenziosa"
La neve che introduce un personaggio importante come Zio Paperone nel "Natale di Paperino sul Monte Orso".
La neve che per i soldatini delle Sturmtruppen non è altro che un ulteriore modo per morire.
La neve che suggella l’ultimo numero di Video Girl Ai, che in gioventù
leggevo sempre ascoltando "The Celts" di Enya e commuovendomi
inevitabilmente al comparire di Ai in mezzo alla neve.
La neve di Ken Parker, che nei territori selvaggi frequentati da Lungo Fucile è quasi sempre un’insidia mortale.
La neve che mi ha rivelato l’impareggiabile Trondheim nel suo bellissimo "Slaloms".
La neve giocosa di Calvin & Hobbes, che appena caduta verrà subito tramutata in pupazzi poco ortodossi.
La neve in persona, la deliziosa Oyuki in Uruseiyatsura.

E chissà quante ne ho dimenticate…

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