Che razza di sapore aveva (ha?) il gelato al gusto puffo?
E i bambini che lo mangiavano (rischiando l’acetone, come voleva la leggenda metropolitana ai tempi) erano consapevoli di tifare implicitamente per Gargamella gustando la crema azzurrina?
Il discorso generale dei testi de "Lo spirito continua" è una prosecuzione di quello dei primi dischi. Sempre "negazione" del modus vivendi della gente comune, ma con qualche anno in più sulle spalle che permette di vedere le cose con maggior lucidità e minor acredine, e, dal punto di vista "letterario", un’incrementata capacità di saper cogliere la giusta frase ad effetto, quella da poter citare e da gridare ai concerti a squarciagola. Tale maturazione è percepibile addirittura nel corso del disco, che procede dal vecchio al nuovo: in breve, possiamo quasi dire che il lato "A" è più vicino a "The early days", il lato "B" molto più il linea col successivo "Little dreamer". Per inciso, trovo che i vecchi supporti audio, dischi e cassette, offrissero un modo di suddividere le canzoni che spesso era interessante e che si è perso coi CD. Ad esempio, quasi sempre il lato A era più bello del B, e nel B solo la prima e l’ultima canzone di solito erano valide.
Il disco si apre con una canzone quasi programmatica, "La vittoria della sconfitta" che, tutto sommato, è anche la più vicina alle tematiche dei primi dischi per quanto è carica d’odio e di livore.
Non sprecare parole e sorrisi per me
io conosco gia` la fine del libro
non mi serve addolcire il dolore
perché io ho perso
ho già scelto la sconfitta
la vittoria della sconfitta
L’evidente ossimoro assurge a bandiera: ah, voi dite che sto sbagliando? Bene, io ne sono pienamente consapevole, si tratta di una mia libera scelta e sono pronto ad accettarne le conseguenze.
sempre, fino a quando creperò
davanti a qualche vostro palazzo
in ginocchio, con il corpo distrutto
ma con la mente attiva
perché l’odio rimane
[…]
Torna anche il tema del "palazzo" (cfr. Tutti Pazzi) e, per l’ultima volta c’è quel "voi" che personalmente trovo un po’ fastidioso. Più avanti troveremo un "tu" che però è tutta un’altra cosa: il plurale implica di prendere un insieme di persone e di farne un gruppo che pensa omogeneamente, il che è sempre un errore. Parlare ad una persona in particolare, anche se immaginata con uno stereotipo, è più corretto e rispettoso.
"Lasciami stare", successivamente, offre un esperimento interessante di flusso di coscienza:
[…]
Due fiumi corrono a cavallo
un cavo si tuffa nell’acqua
due ombre si muovono nel letto
luce si spegne, luce si accende,
cado all’indietro, strano sapore
è un’ora che corro dove sono?
stronzo, stronzo, ti sono addosso ora
perché, adesso, sono qua e non c’è nessuno?
il cielo, le mie tasche
tocco tutto con un dito
labbra, pelle, un saluto ed e` finito
strade belle fumano
animali ridono allegri
l’acqua mi bagna addosso
noi veloci dentro il buio
serrature aperte urlano
calci in faccia e soldi
ancora, ancora, apro gli occhi e non ci sento
la mano sanguina, gioia estrema, dove sei?
andare via, la finestra si è spaccata
adesso ricordo, corri forte anche per me
suoni, luci, lacrime, lacrime
Cantato in maniera veloce ed incalzante, questa sequenza di immagini una dietro l’altra alterna immagini surreali ("Due fiumi corrono a cavallo", "strade belle fumano"), frammenti di azioni( "due ombre si muovono nel letto") e persino qualche frammento di narrazione sconnessa ("labbra, pelle un saluto ed è finito" è probabimente una breve storia d’amore). Non credo che abbia senso cercare un filo logico, forse solo l’autore potrebbe dire qualcosa di più, ma il testo è godibile lo stesso. Il senso di tutto questo è di riprodurre il concetto di pazzia. Poco dopo, infatti:
Lasciami stare, sono pazzo, sì sono pazzo
non mi toccare sto per spaccare
lasciami stare, lascia la mia testa da sola
ammazzami subito, lasciami gridare o
uccidimi!
Interessante il fatto che in "Tutti pazzi" la follia era quella della "gente comune", di "loro", mentre ora il pazzo è chi cerca di scostarsi, quindi "noi". Un primo sintomo di resa?
Poco interessante il primo esperimento di canzone in inglese che segue, "Thinkin’ of somebody else" il quale, se non ho capito male, racconta semplicemente di un tradimento fatto col pensiero, mentre "Diritto contro un muro", già a partire dal titolo, è concettualmente molto simile nel riprendere i temi poco sopra esposti di pazzia e di diritto di fare le proprie scelte ancorché sbagliate.
[…]
io sto andando dritto contro un muro
sto sbattendo la mia testa contro un muro
ma è meglio che riempirla di merda!
[…]
Il lato A si conclude con "Niente", già vista in precedenza che, seppur risuonata, offre lo stesso testo che ho già commentato.
Prima canzone del lato B, e prima virata concettuale, è "Un amaro sorriso":
[…]
Forse stiamo sbagliando
ma chi sarà mai l’eroe del giusto?
non rimarrà niente di quello che siamo
risate sfuocate nello specchio del vivere
sberleffo alla santa ragione
[…]
soli in un abbraccio disperato…
Non rimarrà niente di quello che siamo
ribelli al nostro destino
piccola minaccia in un tempo sbagliato.
Arrivano i dubbi, in qualche modo. Non solo un "forse stiamo sbagliando" che è quasi rivoluzionario, ma anche la consapevolezza che lì fuori c’è un mondo con cui bisogna confrontarsi, e non solo rifiutare. Non basta quindi stringersi tra di noi, "soli in un abbraccio disperato", siamo destinati a scomparire senza lasciare traccia. Lo "sberleffo alla santa ragione", oltre ad essere una frase estremamente incisiva ed azzeccata, ribadisce ancora che la pazzia è "nostra", non "loro".
Dopo un’altra canzone in inglese, "Straight and rebel", anch’essa poco interessante, arriva un trio di canzoni quasi unanimanente considerate dei gioielli.
"Qualcosa scompare" è l’evoluzione del filone intimistico di "Tutto dentro" o "Chiuso in te stesso":
Mesi trascorsi di un’età passata
non riesco più a divertirmi
cosa sta succedendo?
L’unica certezza resta la precarietà
io non cerco più nessuno
ho gia` trovato troppa gente
ma sono rimasti in pochi attorno a me
resta, per favore, non andare via anche tu
è tutto quello che ho, è tutto, è niente
l’unica certezza resta la solitudine
Ma se sono qui è stata solo una mia scelta
fatti sentire, fatti vedere
dovunque tu sia, dovunque io vada
saremo sempre unici.
In questo pezzo più che il significato generale, che è sostanzialmente una disillusione dei rapporti umani, colpiscono le singole frasi, che i bravi fan dei Negazione scrivevano un po’ ovunque. "Dovunque tu sia, dovunque io vada saremo unici", "L’unica certezza resta la solitudine, l’unica certezza resta la precarietà", "È quello che ho, è tutto, è niente". Il testo, nel suo complesso, è un po’ frammentario e non dei migliori, però ne traspare una maturità che ai tempi degli intimistici della gioventù era sconosciuta.
Enigmatica la penultima canzone del disco, "Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi".
Voglio rituffarmi nella notte e ritrovare
la mia compagna di sempre, perché lei
mi sta aspettando: io lo so che è là,
in qualche angolo della mente, pronta a
trascinare la sua luce e ad inondare i miei occhi.
Voglio tornare nel buio perché lei
al sole non si puo` vedere, perché
lei non ha bisogno del sole, ed io la devo trovare,
ma so dove è e so in che posti sta,
non si può nascondere,
non si deve nascondere…
Voglio chiudere gli occhi, ora,
e trovarmi nel mio mondo.
I beati non conoscono il buio e
non capirebbero una di queste parole
se provi anche tu sono certo che
la troverai e se non vedi niente
vuol dire solo che sei cieco…perché:
lei ha bisogno di qualcuno che la guardi
Non è chiaro chi o (più probabilmente) cosa sia questa "lei". Tendo ad escludere che si tratti di un ricordo di una fidanzata passata, ma che piuttosto sia la personificazione di un concetto, forse la libertà, la giustizia, la verità: l’insistenza sugli elementi visivi a coppie(luce- buio, notte-sole, occhi-cieco) danno l’idea di qualcosa di irrealizzato ma che esiste in potenza. Quindi, al di là di quello che pensava l’autore, in realtà si può interpretare il testo un po’ come si vuole. E se non vedi niente…beh, vuol dire solo che sei cieco! Si intravede inoltre un concetto di catarsi: il dolore, il buio, la sofferenza come mezzo per raggiungere il proprio scopo.
Il disco si chiude con la title-track, "Lo spirito continua", che merita di essere studiata per intiero.
Lo spirito continua…
…continua…lo spirito…
dietro lamenti melodiosi
risuona la voce di un vecchio
a raccontare il senso di una vita
collezione di attimi
per le sensazioni più belle
ma lo spirito continua!
Leggo di me negli occhi di gente sconosciuta
leggo di me in loro
e non sono ostili
Ma il ricordo può uccidere il bisogno…
…non ho paura di quel rumore
c’è un lampo nei tuoi occhi
che non potrò mai spiegarti
mentre ti alzi e te ne vai
guardo verso una parola lontana…
…Il gioco di immagini è riuscito
esplode una risata sensuale…
Io sorrido sopra il mio odio
scoprendomi dentro un amore spesso negato
scopro te nel mio corpo
non voglio ucciderti
Devi solo imparare a conoscermi
io farò lo stesso
e forse allora anche la ferita
farà meno male
lo spirito continua
potremo davvero essere vecchi e forti.
Cos’è lo spirito? In che senso continua? Al di là del fatto che suona dannatamente bene, e questo già basterebbe, proviamo a capirlo.
La canzone è strutturata come un crescendo, iniziando con una chitarra acustica e deviando sempre di più verso l’hardcore più scatenato. Tale struttura musicale è parzialmente replicata in quella narrativa: la prima parte, fino a "le sensazioni più belle" racconta di un vecchio. E’ palesemente una metafora dei soliti "altri" (i quali hanno una storia, hanno qualcosa da raccontare, esistono da tanto tempo), ma vista con dolcezza e affetto per il vecchio nemico. E allora, nella seconda parte, affrontiamo questo nemico, analizziamolo, cercando di superare il vecchio odio che, abbiamo visto, non ha portato a nulla. La scoperta è sconvolgente: "loro" non sono così diversi! "Leggo di me negli occhi di gente sconosciuta" e, sorprendente, "non sono ostili"! Sì, certo, c’è da lavorare per capirsi (quel "lampo nei tuoi occhi" è ostile), i linguaggi sono differenti ("una parola lontana") ma qualcosa si può fare. Non più solo negazione.
E allora, con la musica che cresce ancora, quasi una rivelazione. Si può sorridere sopra l’odio e scoprire l’ironia, pronunciando contestualmente per la prima volta la parola "amore" (in precedenza era stata utilizzata solo in associazione ad altri termini negativi, in "Tutto Dentro", "Maschere" e "Incubo di morte") e tendere la mano al vecchio avversario. Solo così c’è una possiblità di dare alla propria voce e alle proprie emozioni ("lo spirito") una durata nel tempo e un’autorevolezza ("vecchi e forti") che finora parevano impossibili.
E, a distanza di quasi vent’anni, siamo diventati vecchi e forti? Sì e no. Sì nel senso che c’è ancora qualche babbo di minchia che commenta i testi dei Negazione sul web e che, nel ristretto ambito degli amanti del punk hardcore, sono un gruppo amatissimo e ricordato. No nel senso che l’esperienza dell’antagonismo italiano, al di là dell’esempio particolare dei Negazione, non è riuscita a varcare i ristretti confini dei Centri Sociali e poco oltre, e si è rifugiata in un umbelicale protesta senza confronto. Più no che sì, insomma. Ma non è ancora finita: Lo spirito continua, potremo davvero essere vecchi e forti.
(Next: Little Dreamer, o la svolta internazionale)
Da piccolo, come tutti i bambini, ero lieto che l’attenzione degli adulti fosse diretta a me. Altri bimbi, per ottenere questo scopo, spaccano la casa o picchiano i fratellini mentre io, che ero tranquillo ma ero anche un ottimo osservatore, mi ero rivolto a vie più oblique. Notavo infatti che un grosso magnete per l’attenzione dei grandi era il telegiornale: a casa mia se ne guardavano sempre due, sia all’ora di pranzo che a cena. La mia deduzione era quindi che dovevo finire sul telegiornale. Ma come? Anche qui non era difficile rispondere: notavo che nel tiggì c’era un’insistenza quasi morbosa nel parlare di omicidi, stragi e delitti. Quindi il gioco era fatto, basta farsi ammazzare e finisco in televisione! Chiesi anche conferma:
– Mamma, se mi ammazzano finisco sul telegiornale?
– Probabilmente sì.
Mi bastava. Poi mi resi conto di una sbavatura nel mio astuto piano…
Giovedì
10:30 Cortometraggi in concorso 4
Senza dubbio il migliore dei cinque programmi in concorso, Corti 4 offre uno dietro l’altro una serie impressionante di bei lavori. Si parte con City Paradise, britannico, di Gaelle Denis (a sinistra), opera in tecnica mista 2d, 3d, riprese dal vero e disegni tradizionali (olè!), che ci racconta di come per imparare una lingua bisogna immergersi in una nazione. E la deliziosa giapponesina Tomoko protagonista del corto prende alla lettera questo principio. Segue Maestro, dell’ungherese Géza M. Toth, in 3d, che raccontando di un musicista che si prepara ad un concerto sviluppa una gag a sorpresa davvero azzeccata e una regia perfettamente adeguata allo scopo (non dico altro per non rovinare la sorpresa…ma i movimenti di macchina apparentemente assurdi non sono a caso!). Morir de Amor (a destra), prodotto in Germania da Gil Alkabetz era uno dei miei favoriti personali per la vittoria generale, e ho sofferto che sia stato ignorato. Due pappagalli si annoiano in una gabbia in una casa in bianco e nero e si ricordano della coloratissima giungla in cui vivevano prima di venir catturati. La loro storia si incrocia con quella del loro padrone e della sua poco fedele moglie. Commovente e divertente allo stesso tempo. Buono anche Imago…, di Cédric Babouche, francese, storia di aviatori a metà tra Hergé e Miyazaki, un po’ già visto ma esteticamente molto bello, e Chahut, franco-belga di Gilles Cuvalier, opera surreale su una città deserta durante un carnevale.
14:00 TV 4
Quest’anno sono riuscito a vedere molta poca TV, per difficoltà ad incastrarla con tutta la roba da vedere e perché in effetti non ha grande priorità rispetto ad altri programmi più importanti. Ho anche avuto sfortuna, avendo mancato quasi tutti i programmi con un premio vincitore. Questo programma era definito "per adulti", e di solito si tratta delle opere più valide o per lo meno più stimolanti per un pubblico critico. E però non è stato nel complesso esaltante; da ricordare è il lungo speciale dell’inglese Angry Kid, ad opera della Aardman Animation (Wallace & Gromit, Galline in fuga), vincitore del premio come miglior especiale, che tutto sommato regge abbastanza sulla distanza (il dubbio era legittimo, essendo la serie di Angry Kid costituita da micro-episodi di un minuto o due), il demo di Co2 della durata di soli due minuti, francese, che parla del backstage di una rock band (il soggetto perlomeno è originale!) e lo spassoso americano Green Screen Show, un’idea davvero curiosa. Un gruppo di attori recita improvvisando su un tema, mediante interazioni tra di loro e col pubblico, di fronte ad uno green screen. In fase di post-produzione viene aggiunta animazione in qualià di effetti speciali alle gag. E’ molto divertente, ma si basa unicamente sulla bravura degli attori, e in fondo l’animazione è solo un orpello aggiuntivo. Confesso di avere ronfato su Suppostar contre Mechantor, ma mi dicono che era una serie superoistica per bambini ricca di idee.
18:00 Frank & Wendy
Oh, che peccato. L’animazione estone, pur essendo estremamente monocorde come stile, aveva fatto vedere cose interessanti negli anni scorsi, e quindi ci si aspettava qualcosa di interessante da questo primo lungometraggio della nazione baltica. Purtroppo le speranze sono andate deluse: il film non è altro che un collage dei pochi episodi prodotti della serie di Frank & Wendy, praticamente giustapposti con una labilissima cornice. La serie, vista l’anno scorso, appariva incoraggiante, ma il tratto volutamente sgradevole, l’estremo cinismo e le trame surreale di satira sui film di spionaggio stancano in fretta: è uno stile adatto alle serie, in un lungo è davvero fuori posto.
21:00 Canadesi indipendenti 2
Solitario mi son visto questo programma alla sala Pierre Lamy, fortunatamente in ottima posizione. Si tratta di una serie di corti canadesi al di fuori del solito National Film Board, il quali offronotutto sommato visioni anche alternative. Infatti si son visti ben quattro astratti (di cui uno buono, Pssst di Anne-Marie Sirois e uno particolarmente molesto, Movements of light di Karl Lemieux) oltre ad altri tre o quattro non narrativi. Tutto questo rende il programma piuttosto pesante anche se interessante, e non poche persone hanno abbandonato la sala durante la proiezione. Stolti, perché l’ultima proiezione, Mr. Reaper Really Bad Morning di Carol Beecher e Kevin Kurytnik, è invece uno spassosissimo corto umoristico sulla Bieca Mietitrice che se la passa male un lunedì mattina.
Venerdì:
10:30 Avoid Eye Contact 2
"Avoid Eye Contact" è il nome del progetto, coordinato da Bill Plympton, che riunisce gli animatori indipendenti di New York e pubblica una serie di dvd con le loro opere. L’anno scorso era uscito l’ottimo primo dvd e quest’anno è stato presentato il secondo, messo contestualmente in vendita. Curiosamente, però, se l’anno scorso era stata proiettata solo una parte del dvd e quest’ultimo costava di meno che da altre parti a comprarlo dalle manine sante di Sigme Baumane, quest’anno in proiezione c’erano corti non contenuti nel dvd il quale costava di più che nei circuiti normali!. Peccato, perché tra i corti mancanti c’erano forse le due cose migliori: Catch of the day, il nuovo corto questa volta non umoristico di John Dilworth (Dirdie Birdie), Guard Dog e una candidatura all’Oscar di Bill Plympton. Per il resto il programma era anche inferiore al precedente: Patrick Smith continua con le sue deformazioni di corpi, Sigme Baunane si dà all’umorismo sofisticato tralasciando la sua ormai mitica fissazione per il sesso orale, Micheal Overbeck ci delizia con un’apocalisse vista da Atlante.
14:00 Film di scuola 3
Ultimo programma di corti di scuola che sono riuscito a vedere, si pone come qualità a metà strada tra gli altri due. Da ricordare il franco-spagnolo Citoplasmas en medio acido, pupazzi e plastilina per le vicissitudini di uno studente che si annoia durante una lezione; Overtime, francese, (vincitore del premio come miglior corto di scuola, a destra) in cui piccole rane di pezza, simili a Kermit dei Muppet, prendono vita dopo la morte del loro creatore dando origine ad un corto ritmatissimo, divertente e anche con qualcosa da dire sul rapporto tra creazione e creatore; Born to be alive, ancora francese, che parla di un gatto brutto che vuole suicidarsi, con gag a volte già viste ma design 3d originale e piacevole; Plan B, assurdo belga che narra una complessa storia di spionaggio e viaggi nel tempo un po’ inconcludente e soprattutto con un tipo di disegno assolutamente non adatto alla trama.
16:00 TV 2
Avevo poco entusiasmo per questa visione, piazzata perché in concomitanza c’era davvero poco da vedere, e tutto sommato penso di non avere avuto torto. Un programma dedicato ai bambini in cui nulla è veramente degno di nota. Salvo, giusto per il design, Chalk Zone, storia di un bambino i cui disegni prendono vita in un mondo parallelo. All’iniziare dell’ultimo programma, un canadese a pupazzi sulle renne di Natale della durata di 45′, io e i miei compagni ce la siamo svignata.
18:00 Alosha Popovich
Qualcuno mi ha convinto a saltare Politically Correct 2 per vedere questo supposto ottimo film, dicendomi che si tratta di un Astérix in animazione. Bah, doppio bah! Qualcosa di vaga ispirazione al capolavoro di Goscinny e Uderzo c’è, ma inglobato in un film tutto sommato piuttosto noioso e, soprattutto, privo di verve e di gag riuscite. Insomma, non si ride con Popovich, e non è un difetto da poco in un prodotto di stampo classico/Disneyano.
21:00 Cortometraggi in concorso 5
E con questo programma si conclude anche il concorso principale di Annecy 2005. Pur non avvicinandosi alle meraviglie del programma 4, offre tuttavia una varietà di stili e di tecniche che si vedono raramente. Notevole è L’èlèphant et les quatre aveugles, prodotto in Francia ma realizzato dal russo Vladimir Petkevitch, che riprendendo una favola indiana anima la sabbia in immagini molto spettacolari. Troppo lungo, però. Non si può ignorare il vincitore parzialmente inaspettato del Cristallo di Annecy, The Mysterious Geographic Exploration of Jasper Morello (a destra), che unisce la vetusta tecnica delle silhouettes a spettacolari immagini in 3d per narrare una storia molto articolata (quasi da lungometraggio) in stile Jules Verne con venature steampunk. Il polacco Tomek Baginski, candidato all’Oscar nel 2003 per The Cathedral, presenta il suo nuovo corto Fallen Art, in cui suggerisce una nuova tecnica di animazione molto particolare. Speriamo che Paul Bush non prenda esempio. Dies Irae, del francese Jean-Gabriele Périot, è un’assurda sequenza di foto di strade una dietro l’altra la cui colonna sonora è costituita da musica orientale piuttosto soporifera invece della consueta techno sparatissima di opere del genere. È stato non poco deriso, e sulla strada del ritorno ho fatto diverse foto all’autostrada per poterlo imitare.
Sabato:
10:30 Internet
I corti per internet sono tutto sommato uniformi. Piuttosto brevi (chi sta per oltre cinque minuti di fronte ad un monitor a guardare un’animazione?) realizzati in Flash (quindi con animazione fluida ma oggetti di solito rigidi e colorati uniformemente) e quasi tutti umoristici. Qualche eccezione, in tutti i campi, c’è, ma questa sorta di monotonia rende il programma a volte un po’ noioso. Tuttavia, qualche spunto interessante c’è. Intanto, il programma si apre e si chiude con i celeberrimi Happy Tree Friends, probabilmente considerati fuori concorso perché di livello superiore (avevano trionfato già nel 2003), con il pubblico che fa il coro sulla sigla. Di notevole c’è il fatto che i due corti italiani in concorso erano più che buoni: al di là dell’inevitabile campanilismo, io avrei premiato almeno uno dei due. Già un italiano, Stefano Buonamico l’anno scorso aveva vinto, e i lavori più recenti di Bozzetto sono in Flash: insomma, questo sta a testimoniare come dalle nostre parti ci siano più talenti tra gli animatori che fondi a disposizione. Di questi, John the Brave di Andrea Castellani è una specie di Samurai Jack, con grossi debiti a Tartakovski sia come regia che come stile di disegni, mentre il secondo Si tu n’étais pas là, di Mattia Francesco Laviosa (a sinistra) è sostanzialmente identico alla pubblicità della Campari con i due personaggi androgini, sebbene ambientata a fine ‘800 e, diciamolo, girata meglio. Vincitore è stato Long Distance Relationship, australiano di Bernard Derriman, che però mi è parso logorroico ma senza sostanza, pur con un inserto onirico abbastanza valido. Piccola segnalazione per l’americano Fleeced, molto stilizzato per una specie di favola esopica umoristica, e per il nippo-canadese Perestroika sulle vicissitudini di tre russi sempre affamati.
14:00 Cinémathèque Québécoise 2
Tanto era bello e interessante il primo programma della Cinémathèque Québécoise tanto è stato noioso e faticoso da seguire il secondo. Che strano! Ma forse si è anche trattato del fatto che il sabato, dopo oltre venti programmi seguiti, si tende ad essere più stanchi. Confesso di essermi brutalmente addormentato di fronte ad uno dei capisaldi della storia dell’animazione, The sinking of Lusitania di Winsor McCay (a destra), e di aver sopportato a fatica sperimentalismi come Histoire grise (Histoire verte) di Pierre Hébert, per non parlare dell’assurda opera messicane degli anni ’30 El tesoro di Moctezuma di Andrade e Alfonso Vergara. In compenso ci si poteva consolare con un delizioso Tex Avery, Rock-A-Bye Bear (ma quali Tex Avery non sono deliziosi?), un bel Fritz Freleng di propaganda Private Snafu: The three brothers e lo spassoso Brek! in plastilina del russo Garri Bardine.
18:00 Panorama 3
Sono rimasto scottato coi "Panorama" nel 2003, quando in una Pierre Lamy incandescente (era l’estate più calda del millennio, ricordate?) avevo visto una serie assurda di porcate. Visto anche che sono proiettati in sale minori e in orari poco agevoli, finisce che ne ho visto uno solo nel 2004 (non malaccio, dal poco che ricordo) e uno solo anche nel 2005. Peccato, perché, tutto sommato, non c’è tutta quella differenza rispetto ai corti in concorso…e addirittura scopro alcuni nomi noti tra gli autori, cosa che non mi sarei aspettato. Segnalo, di questo programma, Viaje a Marte, argentino di Juan Pablo Zaramella (a sinistra), che in tecnica mista plastilina/marionette racconta della piccola grande ossessione per gli astronauti di un bambino, con un inaspettato ed esaltante finale a sorpresa; KaBoom di PES (noto per la sua collaborazione con Avoid Eye Contact) è una specie di parodia della guerra, tanto surreale quanto efficace; Max entre ciel et terre, temutissimo perché realizzato da 35 bambini belgi, è invece un’apologia della diversità meno stucchevole di quanto temuto; cNote, del canadese Christopher Hinton (già vincitore qualche anno fa ad Annecy con Flux) che tenta la via dell’astratto assoluto ma con scarso successo; Kaze, ghost warrior, americano di Timothy Albee, realizzato in una grafica 3d molto, troppo curata da un otaku dei samurai che è andato in esilio in Alaska per realizzare questa soporifera roba di 23 minuti. Me la sono svignata a metà, e mi han detto che ho fatto bene.
21:00 Premiazione
L’anno scorso, in omaggio alla nazione dell’anno (la Corea) il direttore artistico del festival e presentatore delle serate Serge Bromberg si era vestito con un abito tradizionale coreano. Per scherzare, dicevamo che quest’anno si sarebbe vestito da giubba rossa. Entrato nella sala, col sipario ancora abbassato, scorgo alcuni lenzuoli bianchi che spuntano dai tendoni e capisco: lenzuoli bianchi – neve – foreste innevate – Canada – giubba rossa. Ho azzeccato. Per movimentare la premiazione viene escogitato il trucco che, nel discorso di accettazione, i premiati non devono dire "grazie" in nessuna lingua, pena la perdita del premio. Inevitabilmente, magari anche per l’emozione, ai premiati sfuggiva un "merci" o un "thank you" e allora il premio diveniva uno pneumatico o una boccia per pesci rossi o un coniglio vivo, che è finito nelle mani di quel crucco disgraziato di Stephan-Flint Muller. Povera bestiola.
E così, con una spassosa premiazione, si chiude anche Annecy 2005. All’anno prossimo, e che ci sia anche qualcuno di voi!
Io porto spesso i jeans coi bottoni. Sono più "maschi" di quelli con la zip, invenzione per donnicciuole. Ogni volta che mi reco ad esplicitare la minzione, per fare prima non slaccio la cintura e il primo bottone in alto, limitandomi a due-tre bottoni sotto. Faccio passare lo, ehm, strumento, svuoto la vescica e, al momento di ricompormi, mi rendo conto che non riesco a chiudere quei bottoni senza slacciare la parte in alto. Allora apro la cintura e il primo bottone e metto tutto a posto, sbuffando per non essere riuscito a risparmiare tempo. Questa gag si ripete più volte al giorno da decenni. Non sono ancora riuscito ad imparare.
Lunedì
14:00 So jeunes et déjà classiques (Canada)
La prima visione dell’anno è un programma dedicato alla nazione dell’anno, il Canada. Il titolo è incomprensibile (ci sono corti degli anni ’40, giovani un gran par de palle!), ma comunque è una bellissima panoramica dell’animazione canadese. Si parte col botto con Norman McLaren, probabilmente il maggior sperimentatore della storia dell’animazione, del quale viene proposto l’astratto Begone Dull Care (a sinistra), e si prosegue con altri corti, tra cui il famoso The cat came back di Cordell Baker (che riprende una canzone popolare commentandola con gran umorismo), Every Child di Eugene Fedorenko (finanziato dall’Unicef, sull’abbandono di bambini con grazia e senza indulgere alla commiserazione). Programma di gran qualità.
16:00 Cinémathèque québécoise 1 (Canada)
E si continua col Canada, con un altro programma di corti vari. La Cinémathèque Québécoise mantiene un’importante collezione di corti animati, e qui viene presentata una selezione internazionale di gran riguardo. Nomi come Svankmajer, Fleisher, Trnka, ancora McLaren vengono affiancati ad alcune rarità, come un corto anni ’30 ritirato per l’esplicito razzismo. Poco canadese, ma altro programma da mozzare il fiato.
18:00 Cortometraggi in concorso 1
E dopo un pomeriggio dedicato a quelle meraviglie, il programma di corti in concorso è quasi imbarazzante. Già di per sé la selezione è scarsina, tanto che ho avuto qualche difficoltà a decidere a chi dare il mio voto, ma contrapposta ai due spettacoli precedenti davvero sfigurava. Segnalo il nuovo corto di Josè Miguel Ribeiro, autore portoghese dell’ottimo e premiatissimo A suspeita, che però delude col nuovo ma poco significativo Abraço do vento; En nattsaga della svedese Maja Lindstrom che ha vinto il poco ambito premio del "corto più molesto dell’anno" narrando soporiferamente le vicende di una famiglia con la mamma malata; il discreto Une histoire vertébrale del francese Jérémy Clapin, storia d’amore di un uomo e una donna con un particolare difetto fisico, abbastanza fine e ben realizzato ma banaluccio (ho votato questo); e l’olandese Jona/Tomberry (a destra), di un certo Rosto, uno schizzatissimo miscuglio tra Borgess e Murnau in varie tecniche, con deviazioni sul gotico e sul surreale.
21:00 Terkel i knibe, Terkel in trouble
Lungometraggio danese con diverse particolarità e, nel complesso, parzialmente riuscito. Narra la storia di un bambino alle prese coi bulli, e a tratti ricorda South Park, anche se la scorrettezza politica e il cinismo sono un po’ fini a loro stessi e privi del substrato di satira intelligente che rende South Park unico. In 3d, è stato realizzato con alcuni accorgimenti (le cosiddette "mouse gestures", il riciclo degli scheleteri dei personaggi…) che hanno permesso di risparmiare parecchio, anche se a tratti la ricerca del risparmio è più che evidente. C’è in atto una tendenza in Europa a recuperare il controllo delle animazioni senza delegarle ai soliti studi coreani mediante lo sviluppo di tecnologie particolari che riducono ulteriormente i costi: Terkel è un ottimo esempio, ma diversi studi francesi che lavorano per la tv si stanno muovendo in questo senso. Comunque divertente, nel complesso: decisamente il lungo che mi son goduto di più della rassegna.
Martedì
10:30 Gobelins
"Les Gobelins" è il nome di una scuola di animazione che da vent’anni si occupa di realizzare le sigle di Annecy. Francamente non ho presente alcun nome importante venuto da loro, ma la media della qualità delle sigle è decisamente alta. In questo programma per una mezz’ora viene mostrato il meglio delle sigle, quindi una serie fulminante di micrometraggi (un minuto, un minuto e mezzo) in una gran varietà di tecniche, e qualche altra loro produzione, a volte buona a volte meno. Un programma discreto, nel complesso. A destra, una delle sigle di Annecy 2003.
14:00 Scuola 4
Questo programma, tra i tre che ho visto di scuola, è il meno interessante: c’è un buon 3d francese, Workin’ Progress; un italiano collettivo tra i cui autori compare mia figlia (Valentina Ventimiglia), dedicato a gag sui cinque (sei!) sensi; un indiano in pixilation, ben realizzato ma di soggetto un po’ confuso; una gustosa satira delle aziende che sponsorizzano le scuola, fenomeno tutto americano per foruna ancora sconosciuto in Europa, che però è realizzato in un goffo 3d.
16:00 Politically Incorrect 1
Programma fortemente voluto da Serge Bromberg, tende molto di più al politico che alla satira di costume, che però è ciò che si intende più comunemente per Political Incorrectness. Diciamo che è una serie di corti che dicono esplicitamente cose che spesso si tende a tacere per pudore o per quieto vivere. Buona figura fanno i due classici italiani Manuli e Bozzetto (a sinistra, il suo Europe and Italy), almeno due o tre corti poi si scagliano contro l’imperialismo americano (ehi, siamo pur sempre in Francia!), un paio sulla Gran Bretagna e il suo ex impero coloniale, e infine, un po’ fuori posto ma tutto sommato piacevole, un Beavis and Butthead, Animation Sucks. Con qualche piccola eccezione, si ride molto con intelligenza.
18:00 Frederick Bach
Programma dedicato a uno dei più famosi animatori canadesi. Devo dire che non si tratta di opere molto nelle mie corde. Bach ha uno stile molto particolare detto "impressionismo animato", visto che i suoi disegni ricordano decisamente gli impressionisti francesi (soprattutto Renoir, direi), e sono davvero piacevoli da vedere. Il problema sta nel fatto che narrano storie tremendamente retoriche e stucchevoli, quasi di un reazionario fastidioso. E allora giù del piacere della vita bucolica, della cattiveria del mondo moderno, dell’inutilità dell’arte moderna. Peccato.
21:00 Cortometraggi in concorso 2
Decisamente migliore del primo, questo programma di corti in concorso mostra i primi gioiellini. Di questo programma ricordiamo Learn Self Defence, dell’americano Chris Harding, una satira dell’imperialismo americano realizzata in stile "cartoni di pippo"(how-to con narratore esterno); lo spagnolo Cada dia paso por aquì, di Raul Arroyo, discreta realizzazione di foto giustapposte della strada che l’autore percorre quotidianamente; The moon and the son: an imagined conversation, di John Canemaker (a destra), che personalmente avrei premiato come miglior corto del concorso: una lunga seduta autopsicoanalitica in cui l’autore esplora la propria relazione col padre morto, con una regia serratissima e una spietatezza nei confronti di sé e del genitore davvero unica; e infine il mitico, impronunciabile Gliegenpflicht fur quadrate kopfe,del tedesco Stephan-Flint Muller, che a stento si può definire d’animazione, essendo al 90% dal vivo, però giocando continuamente su prospettive errate e comunque con uno spirito di inventiva che in genere si attribuisce all’animazione. Una goliardata spassosissima e ricca di idee, ha riscosso enorme successo dal pubblico…e anche dalla giuria!
Mercoledì
10:30 Cortometraggi in concorso 3
In una proiezione in teoria riservata alla stampa ma in realtà affollatissima, ecco una sequenza di corti non notevolissima ma che ha riservato anche un premio. È stato premiato infatti dalla giuria dei ragazzi Louise, della canadese Anita Lebeau, che racconta della sua vitale nonnetta (a sinistra). Abbastanza delicato, non noioso, ma a mio parere un po’ anonimo. Era atteso poi il nuovo corto dell’inglese Paul Bush, While Darwin Sleeps, ma tutto sommato non ha entusiasmato nessuno. I grandi nomi quest’anno hanno un po’ deluso, e Koji Yamamura, autore di Atama Yama, vincitore nel 2003, non si scosta: la sua favoletta esopica Old Crocodile non convince, né per tecnica né per il soggetto. Discreto successo (anche se io non ho condiviso molto) ha riscosso Le couloir, dei francesi Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, storia surreale e un po’ enigmatica. Infine, menzione per La parole de vie, ancora francese, di Pierre La Police, come corto più inutile del 2005: non si capisce perché questa blanda e stupida satira della Chiesa sia stata scelta dal comitato di selezione.
14:00 Film di scuola 1
Forse il migliore dei programma di film di scuola, qui si assiste a parecchi stili e parecchie buone idee. Quasi tutti i corti sono degni di menzione: si va dalla presa in giro dei cartoni per bambini (True friends), alle metafore sui mostri dei processi creativi (Mural), all’horror di stile (Amfraid, peccato per il doppio finale a sorpresa alla Chiaverotti!), alla reinterpretazione delle favoel (Poteline), alla satira sociale (The instrunctional guide to dating), alla delicatezza dei sentimenti adolescenziali di Skyggen i Sara (a destra), fino al mio preferito: Annie und Boo. Purtroppo, essendo in inglese piuttosto stretto senza sottotitoli non l’ho capito bene, ma un 3d così complesso l’ho visto raramente, e una tale cura nel ricreare le espressioni facciali penso di non averla mai vista nemmeno in produzioni Pixar. Ha vinto solo un premio minore, peccato.
16:00 Premi ONF
Un altro ottimo programma di corti canadesi, questa volta riservato a quelli che hanno vinto un premio ad Annecy durante gli anni. Programma in media relativamente recente, offre per sua definizione una gran qualità. Tra di essi amo ricordare Flux, schizzatissimo ai limiti del figurativo di Christopher Hinton sulla ciclicità delle generazioni, The Big Snit (guerre nucleari e crisi coniugali) di Richard Condie, Village of Idiots di Eugene Fedorenko e Rose Newlove, favoletta morale di puro spirito ebraico e, ahimé, Caroline Leaf col suo Entre deux soeurs. Questa signora ha il raro talento di risultarmi tremendamente soporifera. Non reggo a più di un minuto o due dei suoi film, pur pregevolmente animati con la sabbia. Mi sto già riaddorment…zzzz…
18:00 Brand Tislar, Among the thorns
Grossa sorpresa da questo mini-lungometraggio (45′!) svedese (a sinistra). Grossa sorpresa perché non sono riuscito tuttora a comprendere come molti dei miei compagni d’avventura possano aver giustificato un tale orrore, e considerarlo "beh, non era male". Vecchio, vecchio, vecchio: un professore d’orchestra e il suo insopportabile figlio alle prese con un’orchestra di giovani maleducati. E come giustificare gag come "la rana nel trombone" o "il rock rumoroso"? Forse ha una valenza pedagogica, ma per lo spettatore adulto è melenso, noioso e insopportabile. Peggiore visione del festival.
21:00 Spike and Mike’s Sick and Twisted Animation Show
Unico programma visto all’aperto, sul Giant Screen, e visto solo a metà perché faceva un freddo culo e io ero vestito leggero (ehi, è estate! t-shirt e bermuda!). Comunque si tratta di uno spettacolo itinerante portato in giro una volta da due yankee e ora dal solo Spike (Mike non è più, purtroppo) fatto di cortometraggi rigorosamente umoristici, spesso con connotazioni sessuali o splatterose. Forse a lungo andare stanca, ma in genere ci si diverte. Spike va in giro con un cappello buffo (quest’anno una giraffa) per farsi riconoscere e perché la gente gli sottoponga nuovi corti.