Che razza di follia collettiva aveva preso gli italiani negli anni ’80 per decretare il successo di un programma dalla bruttezza allucinante come Drive-In?
Probabilmente il giudizio comune sugli anni ’80 è troppo severo, ma nulla può giustificare la popolarità di un programma fatto di ripetizioni ossessive di battute mediocri da parte di comici che nella loro totalità, hanno poi cambiato mestiere. Vorrà pur dire qualcosa se quella gente ora scrive thriller, si dedica agli indiani d’america, fa il presentatore di tg pseudo-satirici, parla durante i film al cinema o, se dio vuole, è stata completamente dimenticata.
Beh, in realtà non voglio proprio raccontare tutto quello che ho visto, nemmeno con una precisione paragonabile a quella del resoconto su Annecy. Mi limito semplicemente a divagare su alcuni aspetti delle visioni genzanesche. Dato che i corti sono più o meno gli stessi di Annecy e non ho trovato abbastanza ispirazione nelle produzioni italiane da dedicare dei commenti (non son così male, suvvia!), parlerò soprattutto alle retrospettive.
Paul Bush
Uno degli ospiti è stato Paul Bush, a cui è stato dedicata una retrospettiva pressoché completa. Questo signore è uno sperimentatore, un avanguardista: sostanzialmente le tecniche con cui ci è cimentato sono due, l’incisione diretta su pellicola e la pixilation. Quello tuttavia che c’è di interessante è che queste due tecniche, normalmente rilegate a piccoli esperimenti "per vedere cosa succede", raggiungono un dignità che va oltre la pura avanguardia.
Pare incredibile, ma la versione della Divina Commedia in incisione su pellicola è piacevole (anche se non ricordavo che Dante avesse messo delle esplosioni atomiche, ma pazienza…) e quella della Rime of the Ancient Mariner è evocativa. Si tratta praticamente della versione moderna e animata delle incisioni che una volta adornavano i libri.
L’altra tecnica, la pixilation, ha risultati alterni. A parte la provocazione dei peni che si erigono in Bugsy Berkeley’s Tribute to Mae West, questa tecnica così sfarfallante è adatta alla rivisitazione di Dr.Jeckill and Mr. Hyde, mentre gli ultimi lavori su Darwin e su Shinjuku lasciano più perplessi.
John Canemaker
Corpulento animatore e storico dell’animazione italo-americano, in realtà è più apprezzabile nella sua veste accademica piuttosto che in quella creativa. Quando parla della storia della Disney, dei tempi d’oro degli studios, delle influenze degli autori moderni è un abile affabulatore ed è piacevolissimo da ascoltare. Le sue opere, invece, sono meno interessanti. Palesemente non è capace a disegnare, ma anche raramente riesce a dare un afflato di interessante alle sue produzioni. L’unica eccezione è l’intensissimo e catartico The moon and the son, che riguarda il suo rapporto col padre morto.
Daniel Greaves
Un altro inglese, questa volta più dedito all’animazione più tradizionale, concedendosi poco oltre i tradizionali disegni animati. C’è del bene e del male nel lavoro di Greaves: il bene è che produce pochi corti ma ben realizzati e che ha messo in piedi un metodo per sfruttare commercialmente le sue idee. Il male è che è molto poco innovativo, tutto quello che ha fatto è in qualche modo già visto, e che ha messo in piedi un metodo per sfruttare commercialmente le sue idee. Sì, infatti da un lato è apprezzabile che il mondo dei cortometraggi foraggi le idee per dei piacevolissimi spot pubblicitari, dall’altro è quasi imbarazzante come si sia messo ad autoplagiarsi senza alcun timorepiùe più volte.
Borge Ringe
Ancora un ospite straniero di importanza da Oscar, Borge Ring ha collaborato a diversi film d’animazione di cui ha mostrato qualche spezzone. Alcuni di essi sono ignoti in Italia altri sono più famosi (Heavy metal, Asterix in America), ma ciò che più interessa di questo autore sono i suoi tre cortometraggi Oh my darling, Anna and Bella e Run of the Mill. Pur essendo piuttosto diversi, hanno in comune un talento particolare nel rappresentare graficamente mediante piccole metafore le emozioni e le situazioni, e una ineffabile leggerezza. Non voglio spiegare ulteriormente, sarebbe fare un torto all’autore. Guardateli, se potete.
Dal lato più cronachistico, Borge Ring è una vecchia cariatide di 85 anni con l’apparecchio acustico e il bastone, e ogni giorno il pubblico era stupito che fosse ancora vivo. Particolare inquietante, ha le unghie lunghissime.
Gianluigi Toccafondo
Italianissimo, anche se ha lavorato per la Francia, è un pittore più che un animatore, e si è ritrovato a fare animazione quasi per caso, quando cercando di dare più idea di movimento alle sue opere si è reso conto che forse animarle veramente era la soluzione più semplice. L’ampia retrospettiva mostra una serie di corti in qualche modo tutti simili gli uni agli altri per la tecnica utilizzata (pittorica con introduzioni di collage) e per le atmosfere oniriche e la narrazione molto ermetica: l’autore afferma che i suoi corti sono tutti narrativi, ma di lì a capire la storia ce ne passa. Vale la pena citare Pinocchio, in cui alla fine il burattino appare morto. Ho apprezzato il suo commento a proposito: "Quando alla fine della storia Pinocchio diventa un bambino, il personaggio è come se morisse."
Isao Takahata
Isao Takahata, probabilmente uno dei nomi più importanti dell’animazione mondiale, deve aver preso gusto a viaggiare spesato, dopo essere già venuto in Italia nel 2004, a Ravenna e Chiavari. Dagli incontri e dalle interviste appare che sia un uomo davvero felice e sereno. Si gode i suoi soldi, si prende i premi alla carriera e fa le cose che gli piace fare: sta curando l’adattamento giapponese di film di animazione francesi, come Belleville e Kirikù e ha scritto un libro sui papiri giapponesi del XII secolo (sic!) che si portava in giro per farlo vedere a tutti. Si interessa all’animazione d’autore, e tra i preferiti cita sempre Frédéric Bach e Yuri Nornstein. Alla domanda se gli piace qualcosa tra i giapponesi contemporanei ha glissato educatamente, citando appena Miyazaki. Tra le righe si capiva comunque che i suoi ultimi film non gli piacciono molto.
Ho rivisto i quattro film Ghibli di Takahata.
Una tomba per le lucciole
Pur avendolo visto più di una volta, in questa visione del classico strappalacrime di Takahata ho notato un aspetto che mi era parzialmente sfuggito. Seita non è assolto dallo sguardo del regista. Certo, ha vissuto un’esperienza terribile ed è un dodicenne lasciato in balia degli eventi, ma ha non poche colpe per la morte sua e della sorellina. L’enorme peccato di orgoglio nel rifiutare l’ospitalità della zia, il continuo sottovalutare le condizioni di salute della bambina, la troppa esitazione nell’usare i risparmi finchè non è troppo tardi riflettono, forse, la condizione del Giappone e della retorica di cui era imbottito.
Però la scena finale con il Giappone moderno nato sulle ceneri della sofferenza dei due bambini è di impatto enorme.
Omohide poroporo
Uno dei migliori film di Takahata, sfortunatamente è funestato da un’eccessiva lunghezza,da quei venti minuti di troppo non necessari che ne spezzano il piacere della visione. Anzi, più precisamente, diciamo che la descrizione del piacere della vita bucolica poteva avvenire anche senza il taglio documentaristico di alcune scene. Per il resto il continuo passare dal passato al presente, il raffronto della Taeko trentenne e quella di dieci anni creano un’armonia straordinaria. Personalmente ammiro molto la delicatezza della narrazione nel passato, il talento nel mostrare episodi tutto sommato non particolarmente interessanti di per sé sotto una luce che li rende affascinanti e significativi.
Heisei tanuki gassen pompoko
Personalmente ritengo questo film uno dei meno riusciti di Takahata, pur essendo comunque una visione molto piacevole. In realtà il difetto è il solito: una ventina di minuti di troppo di solito piazzati poco dopo la prima ora. Ed è un peccato, perché alcuni elementi sono stroardinari, a partire dalla triplice rappresentazione dei tanuki (realistica, cartoon, iconica) fino all’idea del rapporto con la natura che dà un affettuoso buffetto a Miyazaki parlando di cose molto più realistiche, della possibilità di far crescere una città pur creando delle oasi di verde. Non sappiamo se sia l’ideale, ma in qualche modo le persone (e gli animali) ci vivono.
Tonari no Yamada-kun
Si trattava dell’unico film di Takahata che avessi visto una volta sola, quindi mi ha fatto molto piacere rivederlo. Quasi commovente, nella presentazione, ciò che ha detto il regista: "Volevo con questo film dare una nuova direzione all’animazione giapponese". E l’intento è chiaro, nel presentare un film così sperimentale, così coraggioso nel proporre uno stile inconsueto e nel fare satira dal sapore un po’ anzianotto ma non per questo meno vivace e pungente. Ovviamente, il suo intento è fallito miseramente.
Tutti i film di Takahata sono profondamente giapponesi, ma forse Yamada-kun è il più nipponico di tutti, pur essendo un caso unico come stile.
The reluctant dragon
Infine, una curiosità piacevole. The reluctant dragon è una specie di grosso spot pubblicitario della Disney nel 1941; col pretesto di una persona che vuole proporre una sua idea a Disney, si fa fare un tour degli studios. Ovviamente incontrerà persone gentilissime e, misteriosamente, tutte bellissime che spiegheranno al protagonista tutti i retroscena della produzione dei film animati dell’epoca. Il tutto è condito da un corto di Pippo (uno spassosissimo "how-to"), uno storyboard di una Silly Simphonie che non credo sia mai stata animata e dal cortometraggio che dà il titolo al film che, pur essendo stupidino, è comunque divertente e presenta non poche particolarità di design.
Negli anni dal 1993 al 1998 ho fatto l’università da fuori sede, e come molti ragazzi di quell’età ho condiviso la casa con altri studenti. La facoltà che ho scelto e le mie abitudini di studio mi portavano a stare a Genova praticamente tutto l’anno, mentre i miei coinquilini rimanevano solamente per i periodi di lezione e poi occasionalmente per i giorni di esame. Ho quindi passato dei mesi interi con la casetta di Salita Inferiore della Noce tutta per me.
No, non è così bello come sembra, perché non avevo l’attitudine (nonché i mezzi economici) ad uscire molto durante la settimana, e quindi andava a finire che mi facevo delle serate lunghissime e un po’ tristi davanti alla TV piazzata sopra il frigorifero di una cucina vecchiotta di una casa da studenti. Le mie consolazioni primarie erano due: la birra economica e Friends in televisione.
A quei tempi (1996-1997) Friends era trasmesso su base quotidiana, avendo diverse stagioni arretrate da recuperare, e così intorno alle 20.30 su Raitre potevo godere un frammento di sollazzo sbevazzando Dreher o Bavaria da 66 cl. Mi piaceva far coincidere i due eventi, quindi mi ero dato la regola di aprire la birra quando iniziava Friends. Tuttavia, la tentazione del biondo spumeggiante liquido non era trascurabile, quindi mi ero dato la deroga di attaccare a sorbire la bevanda saporita alle 20.30 nel caso che il telefilm ritardasse. D’altra parte, è da ubriaconi iniziare a bere troppo presto, quindi mi ero imposto parimenti di attendere le 20.30 se la sit-com iniziava troppo presto .
Mi stupisce ancora oggi che io abbia impiegato diversi giorni per rendermi conto che in ogni caso iniziavo a bere alle 20.30.
(vero che state ridendo con me e non di me? vero?)
È di moda tra i blogger fare a gare a chi vale di più secondo Quanto vale il tuo blog? E il mio quanto vale?
My blog is worth $0.00.
How much is your blog worth?
Dannaz.
Ho sempre detestato i proverbi. So di non esprimere una gran rivelazione, ma quella saggezza in pillole così conformista, così semplicistica mi ha sempre irritato, tanto che, a chi mi dice "i proverbi sono la saggezza dei popoli" vorrei sempre rispondere: "Popoli di merda!". Purtroppo non sempre è possibile dire tutto quello che si vuole, quindi limitiamoci all’esprit d’escalier.
Tralasciando per ora i proverbi "etici", quelli che vogliono insegnare il comportamento, la cui disamina è particolarmente complessa, vediamone qualcuno di quelli più vicini all’uomo comune e parliamo un po’ di alcuni proverbi meteorologici.
Rosso di sera, bel tempo si spera. Rosso di mattina, la pioggia si avvicina.
La prima parte ha abbastanza senso. Se il tramonto è rosso, significa che il sole, basso sull’orizzonte, attraversa uno spazio di atmosfera limpida piuttosto ampio, e quindi a ovest non ci sono nubi. Dato che le perturbazioni in Italia di solito giungono da occidente, il proverbio ha un certo senso, tanto più che si prende persino lo scrupolo di dire "si spera". È la sua controparte mattiniera che invece non ne ha alcuno! Il ragionamento vale anche all’opposto: se all’alba il cielo è rosso, a est è limpido, ma questo non implica che debbano arrivare delle nubi da altre parti! Si può forse trovare una motivazione nell’atavico catastrofismo italiano, per cui se tutto va bene allora non può durare.
Quando XXX mette il cappello, YYY prendi l’ombrello.
Questo è un proverbio paradossalmente molto localizzato ma anche molto diffuso. Si prenda un paesucolo e si sostituisca XXX con un’indicazione geografica da quelle parti da cui provengono di solito le perturbazioni, e YYY con il mestiere più diffuso cent’anni fa in quel luogo. Si otterrà uno splendido proverbio: i più filologici potranno aggiungerci una spolverata di dialetto per insaporirlo. Ad Alassio è "Quando Capo Mele mette il cappello, pescatore prendi l’ombrello", anche se dubito che i pescatori si facessero grossi problemi di qualche goccia d’acqua. Similmente, a Sant’Anna Pelago, sull’appennino modenese, dicono "Quando il Cimone mette il cappello, contadino prendi l’ombrello".
Marzo marzo pazzerello, guarda il sole e prendi l’ombrello
Secondo il detto, a marzo il tempo è variabile. In realtà non è particolarmente vero, la stagione delle piogge in Italia è più verso novembre o nella primavera più avanzata, ma pazienza. Quello che in realtà il proverbio vuole dire è che, guardando il sole, si diventa ciechi, e quindi si prende l’ombrello per usarlo come bastone per non vedenti.
Cielo a pecorelle, pioggia a catinelle
Non ho nulla in contrario a questo proverbio, che probabilmente ha un fondo di verità, ma ho un problema personale: non ho la minima idea di come sia fatto un cielo a pecorelle! Più o meno tutte le nuvole sparse possono aver la forma di pecore, ma quali, di preciso, sono definite "a pecorelle"? E allora, popoli saggi dei miei coglioni, come la mettiamo?
Piove e c’è il sole, il diavolo fa l’amore.
(variante per me meno interessante: le vecchie fanno l’amore)
Questo proverbio, di per sé poco interessante perché esprime una verità banale ma incontestabile (la pioggia col sole è un evento raro), si porta tuttavia dietro un aneddoto interessante.
Sassello, estate 1985 o giù di lì. Piove e c’è il sole.
Marco P.:"Qualcuno è morto".
Io: "Eh?"
Marco P.: "Piove e c’è il sole, il diavolo si è sposato. Quindi qualcuno deve essere morto e deve essere finito all’inferno."
Io non ero a conoscenza del proverbio, quindi la gag mi era incomprensibile. Trovo spassoso il fatto che a Marco avessero insegnato una versione edulcorata del proverbio: prima ci si sposa, poi, al massimo, se proprio non se ne può fare a meno, si fa l’amore! Tuttavia, non credo che il diavolo si faccia di questi problemi; piuttosto, se si vuol fare una battuta con questo detto si può sfoggiare la variazione: "Piove e c’è il sole, c’è in corso una messa satanica con un caprone nero che stupra una vergine". Certo, suona meno bene.
Mi ha sempre incuriosito, nei bagni italiani, la presenza del campanello di allarme. L’idea dovrebbe essere che quando qualcuno sta male può chiedere aiuto, ma mi pare un concetto così imbecille ed inutile che mi chiedo: colui che ha avuto la pensata di renderlo obbligatorio era titolare (o amico di un titolare) di un’impresa di campanelli per bagno?