Il luogo
Genzano è una cittadina dei Castelli Romani, dove si beve vino sincero accompagnando la porchetta. Il visitatore che desideri raggiungere il paese non avrà vita difficile: è sufficiente uscire dal Grande Raccordo Anulare che circonda la capitale in corrispondenza della via Appia e seguirla per una ventina di chilometri. Aggiungerò solo che l’autista inesperto delle vie Romane deve prestare attenzione al fatto che il Grande Raccordo Anulare non è indicato come tale in corrispondenza degli svincoli, e quindi egli rischia di ritrovarsi invischiato nel traffico capitolino. Ma a chi capiterebbe una cosa simile? Ehm…
La cittadina è carina, adagiata su una dolce collina vicino al lago di Nemi, ricca di saliscendi, con un centro storico piccolino ma abbastanza ben tenuto e numerosi viali alberati che in autunno risultano suggestivi. La gente è nel complesso accogliente e aperta (è una delle ragioni per cui amo Roma e i romani) e si mangia molto bene spendendo poco un po’ ovunque (è un’altra ragione per cui amo Roma e i Romani). In particolare, il pane casereccio di Genzano è eccellente.
Il festival
Ciò che salta per primo all’occhio è che il festival è abbastanza raccolto, e le facce che si vedono sono sempre più o meno le stesse. Tuttavia, è lungi dall’essere desolato e l’atmosofera è gradevole, e pur essendo assai differente dalla gaiezza diffusa che si respira ad Annecy, ci si sente in qualche modo ben accolti, quasi tra amici. Penso che il luogo, da questo punto di vista, aiuti molto, e forse anche la direzione di Luca Raffaelli mira ad ottenere questo obiettivo.
Organizzarsi le visioni ad Annecy è complicato, dati i quattro cinema principali e i due secondari che proiettano contemporaneamente, per tacer delle conferenze, del MIFA, delle proiezioni all’aperto. È necessario quindi mettersi a tavolino per riuscire e programmare cosa vedere stabilendo priorità ed individuando buchi e ripetizioni. A Genzano tutto questo non è necessario: c’è un singolo cinema che proietta per tutto il giorno, quindi ci si può sedere al mattino e stare lì fino a notte, addirittura sulla stessa poltrona. Gli spettatore più resistenti potranno vedere animazione dalle 9.30 a quasi le 2 di notte, con pochissime interruzioni. Il rovescio, ovviamente, è che se qualcosa proprio non interessa non esistono alternative se non andarsi a mangiare un panino con la porchetta o mettersi a dormire.
Altra rilevante differenza con Annecy è la struttura dei programmi: quasi tutti molto rapidi, diciamo 20-30′ di media, contro la durata media di 90′ del festival francese. Questa scelta organizzativa permette di avere maggior varietà (a volte un’ora e mezza di monografia su un autore può stancare), ma anche maggiori difficoltà di organizzazione.
Il cinema Modernissimo non è di eccelsa qualità né tantomento è modernissimo. Si tratta di una di quelle sale vecchio stile, con la galleria di sopra (riservata allo staff tecnico durante il festival), il corridoio in mezzo che si mangia i posti migliori e le sedie quasi allo stesso livello, dimodoché la visione è compromessa se capita davanti un signore che da piccolo ha mangiato sempre tutta la minestra. Inoltre le poltrone hanno lo schienale basso e le file sono troppo ravvicinate e impediscono di allungare le gambe, quindi le giornate di 12 ore o più di visione sono faticose ed è difficile dormire durante le proiezioni più noiose.
Per il resto l’organizzazione è discreta. Le proiezioni sono state nel complesso puntuali, ma funestate di numerosi problemi tecnici. Mai nulla di grave, ma il ripetersi quasi sistematico di piccoli inconvenienti denota qualcosa da correggere. Durante le conferenze, le interpreti dall’inglese e dal giapponese si sono dimostrate indubbiamente ferrate nell’idioma straniero, ma meno preparate in italiano o comunque nelle tecniche di traduzione. Infine, la figlioletta di Luca Raffaelli, pur essendo graziosa e simpatica, ha funestato il festival attaccandosi regoalrmente alle gambe del papà mentre presentava.
Cosa c’era da vedere?
Come tutti i festival, i Castelli Animati presentano concorsi, rassegne e vantano degli ospiti.
I concorsi sono due: corti internazionali e corti italiani. Gran parte dei migliori cortometraggi li avevo già visti ad Annecy 2005, e diversi di essi hanno infatti vinto premi anche qui. Unica grande scoperta è Flat Life, del belga Jonas Geirnaert, che ha vinto il Gran Premio. Forse è criticabile la scelta di ghettizzare gli italiani in una sezione dedicata a loro, ma d’altra parte è un modo per dare visibilità ad autori che altrimenti finirebbero schiacciati dalla troppa concorrenza, e a celebrare comunque le scuole italiane. Il vincitore è stato un commentario visivo alla celebre canzone di Fred Buscaglione Che notte, di Giulia Ghigini, Dario Lavizzari e Filippo Letizi.
Gli ospiti erano certamente dei nomi importanti: innanzitutto Isao Takahata, che pur essendo già comparso in Italia nel 2004 è pur sempre un ospite mozzafiato; se non ci fosse stato, comunque, non ci sarebbe stato da lamentarsi, vista la presenza di tre premi Oscar: Peter Lord, Borges Ring e Daniel Greaves. Completano il gruppo un mostro dell’animazione sperimentale come Paul Bush, l’animatore e storico del cinema di animazione John Canemaker e l’apprezzato italiano Gianluigi Toccafondo. Ad ognuno di essi era dedicata una retrospettiva pressoché integrale (a parte Takahata, ovviamente, per il quale ci si è "limitati" alla proiezione dei quattro film prodotti con lo studio Ghibli e Peter Lord che ha "solamente" mostrato una succosa anteprima del film di Wallace and Gromit) e un workshop in cui l’autore parlava di quello che gli pareva proiettando alcuni suoi lavori. Quest’ultima esperienza non esiste ad Annecy, che in effetti difetta di contatto con gli autori, e nel complesso tali incontri sono stati molto interessanti.
Infine, in rassegna c’erano vari corti internazionali e italiani, e qualche curiosità dal mondo Disney portata da John Canemaker.
Lateralmente a tutto questo, diverse ditte italiane che si occupano di effetti speciali digitali si sono presentate. Si è trattato del lato meno interessante del festival. Non si è capito bene se si trattasse di gente che ha pagato o meno, ma comunque queste conferenze venivano affettuosamente chiamate "marchette" e spesso dormite o evitate.
(Next: dettagli sulle visioni)