Forse nell’introduzione generale son stato un po’ troppo severo coi cortometraggi in concorso dell’edizione 2014 del festival di Annecy, tacciandoli di eccesso di tecnicismo e di poca voglia di intrattenere lo spettatore. In effetti a ben vedere di cose interessanti ce ne sono, come sempre: vediamone un po’.
365 di Greg McLeod, Myles McLeod
365 è uno di quei corti che nascono da un’idea dell’autore nella forma di una scommessa con se stesso, per vedere se riesce a portarla a termine. In questo caso, si tratta di fare un micro-cortometraggio della durata di un secondo al giorno per un anno, 365 secondi, 365 microcorti in totale. Alcuni prendono spunto da quel che succede, altri sono semplici ideuzze. Ovviamente non tutto è di buona qualità, ma l’impressione collettiva del lavoro è positiva. Curiosità: i filmati che indicavano come votare per il premio del pubblico usavano 365 come esempio. Chissà quanti l’hanno votato per questo!
Beauty di Rino Stefano Tagliaferro
Mi dicono che Beauty è tempo che gira su Youtube. Io non l’avevo visto, ma mi dicono anche che è da vedere sul grande schermo, quindi forse è stato meglio così. L’idea è eccellente: prendere alcuni capolavori di arte figurativa (con predilizione per i manieristi e i preraffaeliti) e animarli. Di solito l’animaizone è un braccio, una testa, poco di più, ma basta poco per aggiungere vitalità. La realizzazione è discreta (in alcuni casi più complessi si nota un po’ di distacco nelle parti animate), ma soprattutto secondo me si poteva osare qualcosa di più: animare qualche quadro di meno, ma costruirci intorno un discorso che andasse oltre il gesto tecnico.
Grace Under Water di Anthony Lawrence
Corto a pupazzi australiano molto realistico ma oltre la uncanny valley, parla di come una matrigna (una volta tanto la “buona” della situazione) riesca a costruire un rapporto con la sua figliastra mediante una gita in piscina e ciò che si prova sott’acqua. Tratto da un racconto, è uno dei pochi corti visti quest’anno che raccontano una storia dall’inizio alla fine, ed è anche prezioso per questo, ma a me ha colpito molto tecnicamente per la qualità dell’animazione e dei pupazzi utilizzati.
Hasta Santiago di Mauro Carraro
Il Cammino di Santiago è percorso per tante ragioni, e una di queste, apparentemente, è di farci un corto sopra. L’autore è italiano, ed era accanto a noi mentre mangiavo cozze al roquefort e parlavo male di questo film, quindi mi ripeterò senza paura: l’ho trovato debole e inconcludente, troppo episodico e senza mordente. Qualche bella scena e belle musiche, però (tanto che ha vinto il premio apposito)
Hipopotamy di Piotr Dumala
Tipico corto “contestuale”, cambia significato se si scopre di cosa parla leggendone o facendoselo spiegare, poiché è pessoché impossibile dedurlo solo guardandolo. Alcune donne fanno un bagnetto con i loro bambini, finché non arrivano degli uomini che le attaccano e uccidono i bambini. Solo allora queste donne si concederanno sessualmente. WTF? E’ una rappresenzazione etologica degli ippopotami, resa con gli umani. Simpaticoni, gli ippopotami!
Invocation di Robert Morgan
Ho il sospetto di aver già visto questo corto l’anno scorso nel programma dedicato a Robert Morgan, ma non ne sono certo. E’ un corto che rispetta i canoni di Morgan: stop motion, compenetrazioni di carne e altri oggetti, impatto visivo molto forte, senso di schifo. Sono visioni che lasciano il segno, anche quando lo spunto (un pupazzo da stop motion che prende vita e si vendica sul suo regista) non è così brillante.
La Petite Casserole d’Anatole di Éric Montchaud
Anatole va in giro con una piccola casseruola rossa, e tutti lo prendono in giro. Incontrerà poi una signora, anche lei fornita di casseruola, che gli insegnerà che si può vivere serenamente con la propria casseruola. Il “metaforone” è evidente, parla di disabilità nel modo che ognuno preferisce (a me è venuto in mente la dislessia, chissà perché), ma lo fa con delicatezza e senza finta pietà, con un leggero umorismo e con un design grazioso e piacevole. Un bel lavoro, e mi ha dato l’occasione di ripetere molte volte la parola “casseruola”, che fa ridere.
Le Sens du toucher di Jean-Charles Mbotti Malolo
“Jean-Charles Mbotti Malolo” è il vincitore del premio Jimmy Bobo di Annecy 2014, e solo per questo andrebbe citato, ma questo corto offre anche qualcosa di più. Narra di una storia d’amore tragicomica tra sordomuti, con lui che odia i gatti e lei che li ama e lui che si trasforma in una bestia (letteralmente) quando si parla di felini. La trama è scioccherella, ma ci sono dei momenti di intimità tra i due, con giochi di sguardi, sfiorarsi le dita, piccoli gesti, che sono proprio toccanti e ben pensati.
Moulton og meg di Torill Kove
Torill Kove ce lo ricordiamo per il delizioso The danish poet, vincitore di un premio Oscar come cortometraggio, e questo suo lavoro non si discosta molto come toni e come realizzazione, in un bello stile pulito ed elegante, anche se il tema è assai diverso. Parla di una bambina norvegese negli anni ’60, figlia di due genitori un po’ fricchettoni, e del suo desiderio di essere “normale”. Normale non lo sarà mai, ma si renderà conto di come nessun altro in fondo lo sia, anche grazie all’antenata delle orrende bici tipo Brompton oggi di moda. Molto grazioso, trovo che avrebbe meritato una menzione, ma d’altronde anche la sua opera precedente non era stata premiata. Stolti!
Pickman’s Model di Pablo Ángeles
Ogni tanto qualcuno di prova ad adattare Lovecraft in animazione o anche dal vivo, ma proprio non funziona. Questa realizzazione di un racconto di Lovecraft (peraltro neanche uno dei migliori) soffre dell’usuale difetto: gli orrori cosmici dello scrittore di Providence sono tali perché indescrivibili; tentare di visualizzarli li sminuisce, ma d’altronde non mostrarli, lasciarli solo evocati, non funziona nemmeno. Questo adattamento a pupazzi, comunque, sarebbe realizzato discretamente e ben sceneggiato, a parte quello di cui ho parlato.
Pilots on the Way Home di Olga Parn, Priit Parn
Oh, gli estoni! Hanno avuto il loro momento di gloria qualche anno fa, quando sembrava che la colorata e surreale animazione estone avrebbe salvato il mondo. Poi ci son stati i 46′ di Life without Gabriella Ferri, un po’ di ripetitività, e son stati ridimensionati. Tuttavia un corto di Parn lo si aspettava con un po’ di curiosità: diciamo che accanto all’approccio surreale sembra ci sia un po’ di fissazione sull’erotismo, a tratti anche un po’ incomprensibile. Niente di che, diciamo, ma una certa mano dietro c’è.
Sneh di Ivana Ebestova
La Ebestova aveva realizzato il bel Four, qualche anno fa, storia raccontata da quattro punti di vista. Il suo stile qua è simile e inconfondibile, chiaramente ispirato da Tamara Lepika, e ci racconta una leggenda di una ragazza che aspetta il suo bello che fa l’avventuriero in giro per il mondo. Ma è proprio così? Meno riuscito del suo lavoro precedente, è però uno di quei corti che lasciano qualche dubbio, di cui si parla per scambiarsi opinioni. E’ un buon segno.
Sangre de unicornio di Alberto Vazquez
El sangre de unicornio! Con un bell’heavy metal di sottofondo assistiamo alle trucidi imprese di orsacchiotti di pezza guerci e crudeli che vogliono impossessarsi del sangue dell’unicorno. Lo stridio tra stile un po’ lezioso, la musica e i vari elementi così accostati generano un mescolone che funziona, fa ridere ma è drammatico, è nonsense ma in qualche modo prende. Uno dei lavori migliori dell’anno, per me.
Simhall di Niki Lindroth Von Bahr
Forse il premio “machecazz…” dell’anno, Simhall è una curiosa storia svedese a base di pupazzi con animali antropomorfi, in cui una banda di giovinastri rende difficile la giornata di un inserviente di una piscina, già complicata da problemi all’impianto. La narrazione è lenta, dilatata, quasi bergmaniana, alcune azioni e qualche deviazione dalla trama principale appaiono prive di senso e il finale rimane sospeso. Eppure, superato il momento di straniamento, in qualche modo questo corto funziona. Certo, se devo scegliere un pupazzo svedese opto per Puppet Boy.
Wonder di Mirai Mizue
Mizue non inventa niente di nuovo, ma lo fa bene: il suo lavoro è un astratto con immagini di tipo “cellulare”, biomorfi non lontani dall’estetica di Mirò, con molte simmetrie e molti colori, il tutto in movimento con la musica. Esattamente come in 365, il suo lavoro è di 365″ ed è stato girato in un anno, ma non ha la pretesa di essere un diario. Funziona bene.
E ora qualcosa uscito dal concorso dei corti sperimentali:
Box di Tarik Abdel-Gawad
Un’esperimento forse più tecnico che artistico: su due braccia meccaniche sono montati due schermi. Viene dimostrato come muovere queste braccia meccaniche e contemporaneamente gestire il contenuto dei due schermi in modo da dare coerenza al tutto, simulando profondità o altri effetti. Appare evidente che si tratta di un’installazione poi filmata: in ogni caso, è grazioso ma una pura curiosità.
É in Motion No.2 di Sumito Sakakibara
Questo corto è stato proiettato muto, muto nel senso di totalmente privo di sonoro. Mi han detto che in altre proiezioni si sono scusati per la cosa, e non era pensato così…eppure funziona! Si tratta di una lunghissima (oltre 10′) panoramica con lenti movimenti di macchina da destra a sinistra, che inquadra scenari progressivamente sempre più complessi in cui, come dire, “succedono cose”: c’è una balena spiaggiata, bambini che giocano nella neve, un circo un po’ inquietante. Piccole animazioni ripetute costellano questo scenario, e la concentrazione dello spettatore è rapita dallo sforzo di cogliere tutti i particolari o farsi ipnotizzare da qualche ripetizione. La mancanza di musica aiuta, in questo senso, sembra proprio di vedere un panorama. Per qualche ragione, mi ha ricordato il classico Tango di Zbigniew Rybczynski.
Gli immacolati di Ronny Trocker
Nonostante il nome dell’autore, è un corto italianissimo, che parla del difficile rapporto tra un campo nomadi e una “tranquilla” cittadina del nord Italia, che culmina in una violenza bestiale di gruppo con le autorità impotenti o forse compiacenti. Banalotto come spunto, forse più da fiction di Rai1 che da corto sperimentale, ma ben realizzato con una narrazione pacata fuori campo fatta solo di piani sequenza di paesaggi quasi sempre vuoti e un po’ squallidi, con persone che compaiono solo nel finale.
Portrait di Donato Sansone
Questo corto è simile e complementare a Beauty, in concorso: ritratti ripresi lentamente con piccole animazioni. La differenza sta nel fatto che sembrano ritratti di Francis Bacon: distorti, con parti mancanti o fluttuanti, in generale resi brutti tramite qualche artefatto. L’effetto è curioso, probabilmente più intrigante della sua controparte “bella”, ma anche questo si esaurisce come curiosità abbastanza nel breve.
Virtuoso Virtuell di Thomas Stellmach, Maja Oschmann
Ultimo ma non meno importante, questo lavoro astratto segue uno dei grandi filoni dell’animazione astratta, ovvero la rappresentazione della musica. Invece però del solito jazz o la solita musica elettronica, è stato scelto un pezzo classico, l’ouverture dell’opera L’alchimista di Louis Spohr, animata mediante con macchie di inchiostro che si espandono progressivamente. Si ottiene un’opera in cui musica e immagini sono ben compenetrate e si sostengono e arricchiscono a vicenda: un bel lavoro.
Next: ancora qualche visione sparsa e qualche considerazione a valle del tutto