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Doppio senso unico

Un racconto filosofico scritto da Golosino e nato da una nostra conversazione. Ché quando chattiamo, io e Golo, mica parlamo di calcio!

Due filosofi, uno coi baffi e l’altro senza, viaggiano per le strade della città a bordo di un’Alfa 33 verde scuro del l’87. Quello coi baffi sta alla guida, mentre l’altro si limita a guardare un pupazzetto di Elvis appoggiato sul cruscotto, di quelli con la testa che vibra a ogni scossone.
A un tratto, dopo che l’auto imbocca una stradina a una sola corsia, il filosofo senza baffi alza lo sguardo ed esclama: “Sai, stavo riflettendo”.
“È un’attività ammirevole”, commenta il filosofo coi baffi girando a destra e immettendosi in un viale più grande. “E su cosa stavi riflettendo, esattamente?”.
“Sul concetto di doppio senso unico”, risponde l’altro con sguardo trasognato.
“Interessante” osserva il filosofo coi baffi, “Vai avanti”.
“Se ci pensi, tale concetto implica allo stesso tempo un doppio senso e un controsenso”, gli spiega  il filosofo senza baffi. Dopodiché si interrompe perché si distrae a guardare le grosse tette di una ragazza che cammina sul marciapiede.
Il filosofo coi baffi non si accorge della maggiorata, ma in compenso rimane profondamente colpito da questa riflessione. “Spiegati meglio. Te ne sarei grato”.
“…”.
“…”.
“Ehi”.
“Eh?”
“Ti ho chiesto se mi puoi spiegare cosa intendi. Ti spiace?” ribadisce un po’ seccato il filosofo coi baffi, e nel frattempo inchioda per non andare a sbattere contro una Vespa che gli ha tagliato la strada.
“Oh, sì sì. Scusa tanto…” si riprende il filosofo senza baffi, “…sai, mi ero distratto a riflettere sulla rilevanza del termine Wille zur Macht all’interno del pensiero nietzschiano”.
“Ebbene, questo doppiosenso unico?”, taglia corto il filosofo coi baffi.
“Ma certo. Ti dicevo: il concetto di doppio senso unico è innanzitutto un doppio senso, perché in esso il termine senso è utilizzato sia nell’accezione di significato che di senso di marcia”.
“Ciò che dici è vero”, gli concede il filosofo coi baffi.
Nel frattempo, l’auto passa su un pavé e il pupazzetto di Elvis comincia a ballare l’hula hop sul cruscotto.
“Allo stesso tempo, però” prosegue l’altro, “un doppio senso unico è anche un controsenso, perché un senso unico non può essere doppio, ovvero prevedere un senso unico di marcia in una direzione e un altro senso unico nella direzione opposta, perché in questo modo non sarebbe più un senso unico, bensì un doppio senso”.
“Aspetta un attimo” lo interrompe il filosofo coi baffi, confuso, “ma tu hai appena detto che è anche un doppio senso”.
“Beh, sì…” risponde imbarazzato il filosofo coi baffi, “O meglio, è un doppio senso perché è un concetto che ha due significati, ma non perché ha due sensi di circolazione”.
I due rimangono in silenzio per un po’, assorti nel traffico che li circonda e nelle loro complesse elucubrazioni. Poi, quando poco dopo l’auto si ritrova ferma in coda a un semaforo, il filosofo coi baffi azzarda: “A questo punto, si potrebbe dire che il doppio senso unico è un doppio doppio senso, da un lato perché è un concetto che si fa carico di due significati distinti, dall’altro perché in quanto senso unico in entrambe le direzioni, è a tutti gli effetti anche un doppio senso di circolazione”.
Il filosofo senza i baffi si tormenta le mani a lungo, sconvolto dalla piega che la conversazione sta assumendo.
“Direi proprio di sì”, concede. “Ma ahimé, non solo”.
“Che cosa intendi?” lo guarda stupito il filosofo coi baffi, distogliendo gli occhi dalla guida.
“Intendo dire che è anche un doppio controsenso, poiché è tale sia in quanto concetto contraddittorio – dato che come abbiamo già detto un senso unico di marcia non può essere un doppio senso-, sia perché in quanto senso unico è anche un senso contrario, dato che percorrendolo in direzione contraria, si finisce per viaggiare, per l’appunto, contro il senso di marcia”.
“Per di più” aggiunge il filosofo coi baffi, “è un doppio controsenso anche perché, essendo un senso unico in entrambe le direzioni, allo stesso tempo dev’essere anche un senso vietato in tutte e due le direzioni”.
“È stupefacente”, commenta il filosofo senza baffi.
“Puoi dirlo forte” assente il filosofo coi baffi, tornando a guardare la strada.
“Il doppio senso unico è sia un doppio doppio senso, sia un doppio doppio controsenso. Tutto ciò mi porta a concludere che lo stesso concetto di senso, e quindi anche di senso unico, doppio senso e controsenso, non abbiano alcun significato”.
“Per Diana, è lo scacco della Ragione”.
“Già. Sono senza parole”, conclude il filosofo senza baffi.
E come a sottolineare quest’ultima affermazione, i due rimangono in silenzio svariati minuti, del tutto smarriti.
Tuttavia, a un certo punto il filosofo coi baffi si rende conto di essersi perso anche in senso fisico, poiché non sa più in quale parte della città si trovi, così chiede al filosofo senza baffi: “Senti… e ora dove dobbiamo andare?”.
“Di là, mi pare”, l’altro fa cenno con il dito verso una stradina.
“Ma non posso entrare da qui: guarda il cartello, è un senso unico nell’altra direzione. Ovvero è per noi un controsenso”.
“…”.
“…”.
“Mi pareva, però, che avessimo concluso che il concetto di senso unico fosse in realtà un controsenso”, argomenta il filosofo senza baffi.
“È vero, hai ragione”, assente il filosofo coi baffi. “Andiamo”.
I due filosofi si fiondano con l’auto nel senso vietato, senza troppo preoccuparsi della segnaletica stradale.
Nel mentre, però, un furgone con a bordo due muratori, uno coi baffi e uno senza, sta percorrendo quella stessa via nella corretta direzione di percorrenza.

E ora, scegli il finale della tua avventura filosofica! Ecco, a mo’ di esempio, il finale immaginato da Golosino.

Il muratore coi baffi dice che ha appena visto passare per strada una bella topolona, al che quello senza baffi commenta con un rutto. Né i filosofi, né i muratori si accorgono che i due veicoli si stanno venendo incontro ad alta velocità, dato che i primi stanno guidando in contromano, così nessuno riesce a fare niente per evitare lo scontro frontale.

Nello schianto, i muratori si salvano perché avevano le cinture allacciate, e l’assicurazione gli pagherà pure i danni perché avevano ragione. I filosofi invece rimangono feriti mortalmente perché erano a bordo di una carretta, e muoiono sul colpo senza essere riusciti a cogliere il senso della propria esistenza.

Ma voi come la fareste finire?

14 febbraio alle medie (ovvero, diventerò uno sceneggiatore ricco e famoso)

Sul proprio diario, le mie compagne di classe delle medie usavano scrivere:
* Ahem * (mi schiarisco la voce per meglio declamare).

San Valentino
la festa di ogni cretino
che crede di essere amato
e invece rimane fregato.

Facciamo che tutti abbiamo detto la nostra sul disprezzo che nutriamo su per una festa così scema come San Valentino, e concentriamoci sul testo: mi ha sempre colpito questa visione così romanzata dell’occasione. Sembra quasi l’estrema sintesi di una commedia romantica.

Adam Sandler organizza tutto per San Valentino con la sua bella promessa sposa: senza scostarsi un ciccinino dai peggiori cliché delle romcom, cena a lume di candela in ristorante esclusivo con vista sulla città, rose rosse, sciampagna e ostriche. E un anello nella tasca della giacca, pronto per scivolare nel bicchiere di lei al momento giusto. Ma lei, Lindsay Lohan, non si presenta manco a cena: è infatti mesi che fa le corna ad Adam Sandler con Rupert Everett, e finge di stare con lui solo perché ci ha i soldi ed esaudisce ogni suo desiderio.
E così si trascina la triste serata del 14 febbraio di Adam, in attesa della bella Lindsay che non arriva. Prima è eccitato, poi inquieto, triste, preoccupato; infine, subodorando qualcosa, si fa prestare il telefono dalla cameriera e riesce a raggiungerla al telefono spacciandosi astutamente per un venditore di vestiti da sposa, e lei non è interessata! Allora non è vero che lo vuole sposare! Il nostro eroe è distrutto, ma ecco che la cameriera di prima, interpretata da una solare Anne Hathaway, gli sussurra qualcosa che gli cambierà la vita: “Quella là non ti merita”. Queste illuminanti parole scuotono Adam, che invita Anne al tavolo a sedersi con lui. Lei sorridente gli ribatte che non può, sta lavorando, ma magari quando stacca… E quando stacca, Adam è lì gaio ad aspettarla, pronto a iniziare una nuova vita col suo angelo salvatore. Fa per abbracciarla, ma arriva Rupert Everett e si prende anche questa. Fine.

(E che diamine, non posso mica uscire dal seminato del Diario delle Medie!)

Il Cartolaio Amico®

Il cartolaio della morte

Non so voi, ma a me il Cartolaio Amico® fa paura. Dev’essere la combinazione di diversi elementi: i baffi mlavagi, gli occhiali bassi con lo sguardo indecifrabile, l’urendo gilé con lo stesso motivo della cravatta, il sorriso stentato, la vaga somiglianza con Nino Manfredi, il modo in cui tiene le penne e la squadra, la mancanza del braccio sinistro, i quaderni levitanti. Non entrerò mai più in cartoleria, se c’è il rischio di incontrare il Cartolaio Amico®.

2010 in numeri

Ovvero, un post anale che più anale non si può.

Niente best dell’anno, da queste parti. Fredde cifre, e qualche piccola considerazione.

Cinema

(fonte: il mio foglio excel dei film visti)

Nel corso del 2010 ho visto 47 film, di cui 29 al cinema, 12 in DVD e 6 in DivX (ovviamente rippato da film di cui possiedo legalmente il dvd :) ). Nessuno in tv né in VHS. Tantomeno in Betamax o Superotto.
La media in cazzetti (da 1 a 5, 1 il minimo e 5 il massimo) è 3.9, quindi piuttosto alta. Curioso, non mi sembrava. Tutti i film sono stati visti a Genova, con l’eccezione di due film visti a St. Moritz.
Ho visto davvero pochi film, invero, quest’anno. Colpa di una programmazione cinematografica un po’ scadente e, soprattutto, dei telefilm che assorbono tutto il tempo libero di fronte alla tv! Cionostante, la performance è stata migliore del 2009 (con la sua misera quantità di 35 film visti), ma lontanissima dai fasti di anni come il 2001 (162 film) o il 2002 (addirittura 202 film!).

Libri

(fonte: il mio account su Anobii.com)

Durante l’anno ho letto 23 libri per un totale di 11214 pagine:  solo un libro ogni 15 giorni, ma un libro di ben 487 pagine. In realtà la cosa si spiega col fatto che ho terminato la lettura di quel mostro che è la Recherche di Proust, che conta circa 3000 pagine, e che avevo iniziato nel 2009. Infatti c’è un abisso di differenza rispetto alle letture del 2009, che contava solo 16 libri per 4854 pagine.

Fumetti

(fonte: il mio db di fumetti)

Ho cercato di ridurre un po’ gli acquisti (e le letture) di fumetti per concentrarmi di più su altre attività, e nel 2010 ho acquistato “solo” 260 albi, per una spesa totale di 2357.41 euri: la spesa media per albo così alta (9.06 euro) nasce dalla riduzione dei manga acquistati e dalla collana settimanale Gli anni d’oro di Topolino che mi è costata 9.99 euri alla settimana per buona parte dell’anno. Gli americani hanno fatto la parte del leone quest’anno con 102 albi per una spesa di 1188.93 euro, laddove i manga sono stati solamente 84 per 441.23 euro. 36 gli italiani, 25 i franco-belgi (maledetti belgi!), 9 gli “altri” (ci son cose strane come norvegesi o tedeschi!) e, con la crisi dell’Eura, solamente 3 sudamericani.
Il fumetto più lungo sono le 380 pagine del bellissimo Il grande male di David B., il fumetto più costoso i 35.99 del pomposissimo cartonatone della cronologica di Bloom County.

Corsa

(fonte: il mio account su runningahead.com)

Nel 2010 ho corso 1807.2 km , per un totale 164 ore, 42 minuti e 8 secondi (ho cioè corso per quasi una settimana intera). Se fossi partito da Genova, sarei arrivato quasi a Siviglia a trovare Serirone, ma arrivato a 40 km dalla meta sarei tornato indietro perché in fondo non mi interessava così tanto andarlo a trovare.
La velocità media è stata pertanto 10.97 km/h, prestazione non eccellente. Infatti, rispetto al 2009 ho corso 130 km in più, ma in tutto l’anno, su una decina di percorsi abituali, ho stabilito solo due record di velocità: 37’05” sul Giro Sciacca, un percorso medio-breve ma ricco di salite ripidissime (un bel risultato, anche se scendere sotto il 37′ mi sarebbe piaciuto un sacco) e 45’52” sui 21 giri rip. che poi è una specie di interval training sulla media distanza. L’allenamento più lento è stato ancora su un Giro Sciacca, all’inizio di settembre, con un tempo di 44’16”, oltre 7′ oltre il record fatto pochi mesi prima.

Invettiva prenatalizia

Volevo solo esprimere il mio rammarico perché di recente, quando apro i vasetti di yogurt di plurime marche, mi rimane sempre attaccata al vasetto parte della stagnola (*) che ricopre la parte superiore (**) laddove quand’ero giovane riuscivo a toglierla tutta in un colpo solo. All’improvviso, da qualche settimana, ho iniziato a non farcela con le marche minori, e poi adesso persino coi Muller(***): un pezzetto di carta metallica rimane attaccato, pregiudicando il godimento dello yogurt perché debbo sporcarmi le mani per completare l’opera, oppure non riesco a raccogliere tutta la bacillica crema a causa dei residui. A causa di una partita difettosa di affari di stagnola, la mia vita è devastata e il mio natale rovinato.

(*) Notavo di recente chela carta metallica per uso alimentare viene chiamata stagnola o carta argentata o alluminio, quando probabilmente non è né stagno né argento né alluminio. O forse alluminio sì. Urge documentarsi.

(**) Questa parte dei vasetti di yogurt necessita di essere deignominizzata. Fatevi avanti.

(***) Io vivo nel mito che i Muller siano qualità totale solo perché sono buoni. In realtà probabilmente sono chimicissimi, ma pazienza.

Deignominizziamo il mondo

Quando le cose iniziano ad andare storte, è un effetto valanga. Prendi ieri: lunedì mattina invernale piovoso, la slovecca mattutina dura un quarto d’ora e sei già in ritardo. Poi ci si alza, si indossa la polverina che il giorno prima ci è stata sì cara e, di fronte allo specchio, si scopre di essere vittima di un tricoscazzo come pochi. I jeans che volevi indossare sono fuori discussione a causa della solita uoscimosi del weekend, e allora non ti rimane che andare in ufficio. Sai che avrai una riunione particolarmente noiosa quindi, per evitare di rollarsi a causa delle troppe zumballere, ti prendi un caffè alla macchinetta. Tac! Lo sfrusso non scende, ovvio! E cercando di girare il caffè con un dito, te lo scotti! Lo stesso dito che, sfiorando i pispoli cardinali, farà un male bestia (non parliamo poi del bombetto paura con un bel “rm -rf /”! Dolore!). Non serve a nulla indugiare sui brodolaici in Facebook né sperare che in mensa ci siano le patate al forno il cui mandusso è sempre così prelibato, tanto più che di sera ci sarà una cena con gli struboli: no, l’unica è fare una rapina in banca e scappare con due corcoricchi belli pieni. Allora non ci saranno più lunedì che tengano!

No, non siete impazziti né siete finiti in un fumetto di Teddy Bob, ma siete finiti in un articolo che parla degli ignomini, ovvero quelle situazioni o azioni o stati d’animo non descrivibili con una sola parola in una data lingua. Ad esempio, ignomini dell’italiano sono l’azione di “andare al cesso con un Diabolik per trastullarsi durante l’attesa” o il guscio giallo di plastica a forma di uovo che contiene le sorpresine Kinder. Dare nomi agli ignomini (cioè “deignominizzare”) non è certo un’idea originale: lo facevano Aldo, Giovanni e Giacomo negli sketch dei sardi tanti anni fa a Mai Dire Gol, so che c’è un thread su Friendfeed con gente popolare della blogosfera che se ne occupa, e comunque un po’ tutti ci abbiamo già pensato. Ma in che modo questo dovrebbe impedire me e i miei sidekick di cimentarci?

I più attenti avranno notato che il concetto di ignomine era un ignomine esso stesso, prima di essere deignominizzato. Però prima, non esistendo la parola ignomine, non lo era. Quindi “ignomine” non è mai stato un ignomine. Si sappia inoltre che si definisce ignominofago colui che deignominizza, e ignominofero colui che suggerisce all’ignominofago ignomini fa deignominizzare. Io sono un buon ignominofero mentre Kotekino, autore della quasi totalità dei nomi, è un favoloso ignominofago. Sia lode a Kotekino!

Ed ecco l’elenco alfabetico degli ex-ignomini che compaiono nel tribolato raccontino di apertura.

Bombètto: vedi Indiciàta

Bratislazzo: vedi Slovecca

Brodolàico: 1- il gesto di chi utilizza l’opzione “like” su Facebook e simili per i propri post, commenti e simili. 2- per estensione, la persona che indulge troppo spesso nei brodolaichi.

Corcorìcco: sacco di juta col simbolo del dollaro (“$”) stampato sopra che nei fumetti viene usato per fare le rapine. Probabile deformazione ironica del termine corcoro (sinonimo, appunto, di juta o iuta) ad opera di qualche buontempone.

Indiciàta: detta anche bombetto (gergale), l’indiciàta, in informatica, è il colpo sulla tastiera più deciso degli altri che si dà per eseguire una procedura/linea di comando o lanciare una compilazione o, genericamente, eseguire un’operazione conclusiva di una serie di operazioni in ambito informatico/tecnologico. Nel caso in cui il bombetto sia particolarmente importante (ad esempio l’esecuzione di un comando, irreversibile e risolutivo, in seguito a mesi di preparazione oppure quando il presidente degli Stati Uniti sta per lanciare la bomba atomica) viene detta Indiciàta Terminale o Bombetto Paura.

Mandùsso (detto anche Boccone briccone o Boccone del divorzio): ultimo boccone del piatto che si tiene da parte perché è il più buono (es. la patata più bruciacchiata, il maccherone più intriso di sugo, la parte centrale del filetto bella rosata). L’etimologia è piuttosto controversa, ma l’ipotesi più accreditata vede il termine derivare dal latino tardo manducare = mangiare e uxor = moglie: normalmente tale ultimo boccone viene conservato come una reliquia da parte dell’uomo per poter concludere il pasto con il botto (specialmente al ristorante); diciamo pure che l’uomo degusta l’intero piatto pensando a quel boccone. Ma, quando sta per mangiare la delizia, ecco che arriva sua moglie, glielo ruba con guizzo felino e lo inghiotte sussurrando con un sorriso amabile “ma sì, dai, fammi assaggiare quello che hai preso tu”, ignorando i ripetuti inviti all’assaggio che lo sventurato marito le ha rivolto durante tutta la degustazione.

Pìspolo: tipico rilievo presente nei tasti J e F delle tastiere standard qwerty. La loro funzione è quella di offrire alle dita di un dattilografo esperto i punti di riferimento centrali per poter digitare i tasti senza l’ausilio della vista (i punti di riferimento periferici sono i confini medesimi della tastiera). Per questa ragione sono anche chiamati Pispoli orientativi o Pispoli cardinali.

Polverina: tipica giacchetta di pile da mettere sopra il pigiama per stare in casa durante i pigri pomeriggi invernali. Niente come la polverina sembra adatta a trattenere le polveri più irritanti e fastidiose che si annidano in ogni casa.

Rollàrsi: l’atto di svegliarsi improvvisamente, dallo stato di sonno leggero tipico dell’addormentamento in treno, in seguito al dondolamento della testa, non adeguatamente appoggiata su una superficie idonea, causato dal rollio tipico del trasporto su rotaia.

Sfrusso: vedi Sfruz

Sfruz (o sfrusso nella sua versione italianizzata): bastoncino di plastica trasparente fornito dalla macchinette del caffè, da utilizzare per miscelare la benvanda erogata. Probabile onomatopea, mutuata dal dialetto trentino.

Slovecca: periodo che va da pochi secondi a parecchi minuti (a seconda delle abitudini) in cui al mattino, dopo aver spento la sveglia, si raccolgono le energie per alzarsi ed affrontare la giornata. Es. “questa mattina mi son concesso una slovecca di dieci minuti prima di riuscire ad alzarmi”. Di derivazione dall’inglese “slow wake-up”; per un curioso fraintendimento sull’etimologia la slovecca è detta gergalmente Bratislazzo.

Strùbolo:  parente che è un parente ma che non è definito con un nome più preciso. Ad esempio, Beppe è il figlio della cugina prima di mia nonna: è un parente, ma uno strubolo. Chiara è la nipote di mio cognato: è una mia strubola acquisita.

Tricoscàzzo: dicesi tricoscazzata una persona che, appena sveglia, prova irritazione per la piega cementificata irreversibile che hanno preso i suoi capelli, pigiati per 12 ore sul cucino. Il tricoscàzzo è tipico dei giovani riccioluti, ma anche alcune donne adulte ne soffrono. Normalmente, però, per tali donne si parla di Triconarciscazzo, che è quello stato d’animo ambivalente negativo ma anche positivo conseguenza della piega cementificata dei capelli a contatto col cuscino ma causa di lunghe e costose mattinate passate amabilmente dal parrucchiere.

Uoscimòsi: disappunto che si prova quando, appena fatta partire una lavatrice, si scopre un capo di vestiario che avrebbe dovuto andare in quella macchinata ma ormai è troppo tardi per aggiungerlo.

Zumbàllera: tipo particolare di sonnolenza che si verifica nelle riunioni lavorative poco interessanti o in cui la presenza è poco necessaria. Spesso le persone si rollano (vedi Rollarsi) durante tali occasioni, producendo l’onomatopea che dà etimo alla parola.

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