Di bello:
Mumin e i briganti di Tove Jansson: la migliore lettura del weekend è il primo volume della serie integrale dei Mumin pubblicata da Black Velvet, regalatomi da Golosino per il mio compleanno. Ero un po’ dubbioso, perché avevo solo sfiorato i Mumin tanti anni fa su Linus e non mi avevano colpito molto, ma sono rimasto davvero impressionato dal surrealismo, la sottile crudeltà, la follia di questi strampalati troll finlandesi. Ho apprezzato molto come le strisce paiano balzare follemente da un argomento all’altro da una all’altra, però mantenendo un vago canovaccio, e come i disegni, apparentemente semplici, siano in realtà ricchi di piccoli tocchi di classe come personaggi che agiscono sullo sfondo o separazioni tra le vignette costruite in modo elaborato. Una bella scoperta.
Super Paradise di Ralph König: il primo volume arrivato in Italia di König (che da noi è stato trattato editorialmente piuttosto male) non è il primo della saga di Conrad e Paul, ma piuttosto forse un punto di svolta, dato che si svolge quando nel colorato e pittoresco mondo gay di Colonia fa capolino l’AIDS. Divertente in modo amaro: curiosamente, di solito questa è una caratteristica delle opere italiane.
Dylan Dog n.4: Il fantasma di Anna Never di Tiziano Sclavi e Corrado Roi: sono affezionatissimo a questo Dylan Dog. Mi è sempre piaciuta la commistione di reale e sogno, il personaggio di Anna Never (le svampite sono sempre irresistibili!), i disegni di un Roi in ottima forma, persino il controfinale a sorpresa (cosa che poi diventerà una iattura per Dylan Dog). E pazienza se lo spiegone finale è un po’ raffazzonato e incoerente, è un albo che si legge davvero con piacere.
Di abbastanza bello:
(sigh, ero partito con l’idea di dare solo due categorie, bello e brutto, e ora siamo già a quattro…)
Dylan Dog n.5: Gli Uccisori di Tiziano Sclavi e Luca Dell’Uomo: disegnatore ospite per una storia con uno spunto un po’ scemino, ma che ha di buono l’introduzione di uno dei personaggi più memorabili di Dylan Dog, il lord H.G. Wells, e alcune scene di massacro ben congegnate. Si noti come, a questo numero, si continua a cercare di dare una continuity facendo spesso riferimento agli albi precedenti. Si smetterà presto.
(una nota sulla lettura dei Dylan Dog: nell’estate 1987 avevo a disposizione a Sassello la prima decina di Dylan Dog e ne rileggevo qualcuno ogni giorno, quindi se dico che ho letto i primi albi decine di volte non è un’esagerazione. La rilettura di questi primi numeri è quindi più che altro un tuffo nella nostalgia e nello riscoprire dialoghi che sapevo a memoria, ed è pertanto un po’ difficile darne un commento asettico. Quindi, non lo darò!)
Di così così:
Castelli 25 di Alfredo Castelli & AA.VV.: un volume dell’ANAF dedicato al venticinquennale proefessionale di Alfredo Castelli, pubblicato nel 1991. Esso raccoglie un’antologia di brevi storie del celebre e vanaglorioso sceneggiatore con divagazioni scritte da lui medesimo, ripropondendosi di tracciarne la carriera. In realtà l’obiettivo è alquanto mancato, perché arrivato al suo ingresso in Bonelli, intorno al 1980, le luci si spengono perché il materiale, a detta del BVZA, è facilmente reperibile, e probabilmente per questioni di diritti, aggiungo io. Ciò non toglie che ci sono alcuni gioiellini tratti dal Corriere dei Ragazzi o dal Giornalino che vale la pena recuperare.
Di bello:
Nonnonba – Storie di fantasmi giapponesi, di Shigeru Mizuki: la migliore lettura del weekend è un altro vecchio manga, in questo caso di Shigeru Mizuki, poco noto in Italia ma uno dei mostri sacri giapponesi, in questo caso quasi letteralmente! Infatti questo volume è un interessante ritratto parzialmente autobiografico dell’infanzia dell’autore, in cui una specie di tata parla dei classici mostri giapponesi (yokai) al ragazzino protagonista, mostri che lungi dall’essere mitici fanno parte dell’esistenza quotidiana. E’ un racconto su un Giappone in cui la tradizione (rappresentata dagli yokai ) si scontra e si fonde col presente (lo spettro della guerra, la povertà, le malattie) e il futuro (le città così lontane e moderne, il cinematografo). Più un manga storico che un horror, ma un’opera monumentale.
Sul fondo del cielo, di Osamu Tezuka: raccolta di storie brevi di Tezuka in una bella edizione della Hazard. Tezuka è come sempre un genio della narrazione, ma ciò che colpisce in questi racconti è il fatto che siano particolarmente “dark” e pessimisti. Tezuka ha sempre alternato uno spietato realismo in cui mostra il lato più oscuro degli uomini a un lato solare pieno di speranza e amore per la vita: in questi racconti è il primo che prevale, spesso accostato a delirii, incubi e visioni. Alcuni racconti sono più riusciti e altri meno (cito tra i migliori quelli del direttore mendicante e quello dedicato alle lotte studentesche) , ma in generale bellissimo e a tratti agghiacciante.
Dylan Dog 2, Jack lo squartatore, di Tiziano Sclavi e Gustavo Trigo: non me lo ricordavo così interessante il secondo Dylan Dog! A parte gli spettacolari disegni di Trigo, Jack lo squartatore è solo un pretesto (e un curioso deus ex machina per il finale!) per una piccola trama gialla ottimamente sceneggiata. Se poi aggiungiamo le belle pennellate che sa dare Sclavi quando è in forma (penso ad esempio al personaggio del lord innamorato) e qualche finezza di sceneggiatura, otteniamo un bonelliano veramente apprezzabile.
I am a hero v. 6, di Kengo Hanazawa: sono sempre più convinto che quando questo manga apocalittico pseudo-zombesco sarà finito sarà da rileggere per reinterpretatare la storia, perché l’aspetto più interessante continua ad essere la domanda “cosa si sta immaginando il protagonista e cosa è effettivamente reale?” e appare che il confine tra le due cose sia sottilissimo. Ora siamo arrivati, comunque, nella fase zombesca dell’asserragliamento nel centro commerciale, inevitabile. Lettura comunque spassosa.
Di così così:
Dylan Dog 3, Le notti della luna piena, di Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani: in realtà questo Dylan Dog ha anche una bella sceneggiatura, con un paio di bei colpi di scena (Groucho imprigionato dalla strega mentre racconta la barzelletta, il ragazzo ritardato visto con compassione e che agisce da risolutore – tema poi molto sfruttato da Sclavi), ma io Montanari & Grassani, così rigidi e privi di espressività, proprio non li reggo e fanno perdere un sacco di punti.
Nodame Cantabile v. 23 di Tomoko Ninomiya: ultimo numero della serie regolare (ci saranno poi due speciali). Avrebbe potuto finire in uno qualsiasi dei 5-6 numero precedenti, ma, come si usa in Giappone, c’è voluto un editor che dicesse “stop” in un momento pseudocasuale. In questo senso, lo scioglimento così atteso e telefonato perde molto di pathos, ma comunque un pochino ci si commuove lo stesso. E’ proprio impossibile non affezionarsi a Nodame!
Weekend di pochi volumi, ma di buona qualità media. Sono soddisfatto.
Di bello:
Habibi, di Craig Thompson: questo monumentale volume di quasi 700 pagine è rimasto in attesa di lettura dallo scorso Lucca Comics, forse perché ero spaventato dalla mole. E’ un vero e proprio romanzo grafico: romanzo, per il carattere di storia autoconclusiva con un ampio arco, e grafico non solo perché è un fumetto ma anche per il modo in cui la calligrafia araba è parte della storia. E il mondo arabo è il vero protagonista, in un curioso melange tra quello classico da Mille e una notte e quello moderno. Vediamo quindi grattacieli, bidonville in mezzo alla spazzatura e motorette accanto a eunuchi, sultani, harem e scribi. La storia è un po’ meno originale, parla di un rapporto un po’ contorto tra due persone, come si perdono e poi si ritrovano, il tutto che ruota intorno ai tanti modi possibili di dare e ricevere amore. Un gran bel fumetto.
Appartment vol.2, di Kang Full: secondo volume che conclude la storia horror di cui ho parlato la settimana scorsa, non svacca affatto quando si iniziano a scoprire le cose, e l’orchestrazione mediante i diversi punti di vista diventa sempre più complessa e interessante. Non ultimo, il fumetto ha anche una sua morale niente affatto trascurabile, e si usa spesso la parola psicopompo che è buffissima. Ancora più consigliato.
Golgo 13 vol.2, di Takao Saito: secondo volume su 3 di un “Best of” di Golgo 13, un fumetto noir giapponese (un gekiga più che un manga) pubblicato ancora oggi a partire dal 1969. Impossibile tradurlo tutto, ma le storie scelte dall’autore e pubblicate in tre volumi sono davvero belle. In questo volume, in particolare, spicca la prima, lunga storia focalizzata sul destino dei Romanov intrecciata con una spy story particolarmente intricata, e una breve storia di vendette mafiose ambientata nel deserto americano.
Dylan Dog n.1, L’alba dei morti viventi di Tiziano Sclavi e Angelo Stano: mentre mi preparavo il caffè, mi è caduto l’occhi su una libreria e mi son detto “Ehi, ma da quanto tempo è che non mi rileggo il Dylan Dog dei tempi d’oro?”, ho afferrato il numero 1 e l’ho riletto. Non so dire quanto e cosa rileggerò di questa serie, ma intanto iniziamo con questo. A me piace poco Stano. Anche quando si impegna, come in questo albo, trovo i suoi disegni sgraziati e poco adatti alla narrazione. E inoltre il difetto principale di Dylan Dog, l’eccessivo citazionismo (o, potremmo dire, il servilismo nei confronti del cinema) è ben presente nella storia, tanto che le scene di azione e horror sembrano copiate da un distillato di film horror. Eppure i dialoghi sono perfetti, c’è umorismo, ironia, una scrittura di gran qualità, i personaggi sono introdotti con classe e naturalezza. Il primo Dylan Dog si legge ancora con grandissimo piacere cinque lustri dopo.
Di così così:
Le petit sale con di Madet: ion apparenza un fumetto semi-erotico con protagonisti animali antropomorfi, è in realtà la storia di una relazione nata male, proseguita peggio e finita, ovviamente, malissimo. Forse la cosa più interessante è l’analisi di come i due si rendano conto da subito che non funzionerà, né a letto né fuori, ma insistono comunque in una sorta di masochismo.
Nodame Cantabile vol. 22 di Tomoko Ninomiya: quasi giunto alla fine con un po’ di stanchezza questo manga per signorine cresciutelle (ditemi voi come si chiamano gli shojo per universitarie!) ambientato nel mondo della musica classica. Io ho l’impressione che, cercando di far evolvere i personaggi che erano delineati molto chiaramente, l’autrice abbia finito per snaturarli. Ma vedremo come finisce.
Notes, tome 2 di Boulet: originariamente pubblicato sul suo blog, Boulet (disegnatore del Donjon Zenith dopo che Trondheim ci ha mollato) raccoglie micro storie autobiografiche che spesso diventano dei carnet di viaggio, ma fa anche lo sforzo di crearci una cornice intorno, per la verità non molto riuscita. Interessante la varietà di stili di disegno che Boulet sfoggia, mentre le storie non sono malaccio ma mancano dell’incisività dei migliori diari di Trondheim o Sfar. Scritto in un francese colloquiale a volte piuttosto ostico, ma interessante da affrontare.
Di brutto:
Niente! :)
Rieccoci qua. Partiamo con una scorsa ai cortrometraggi fuori concorso, che hanno regalato, come sempre, qualche sorpresa interessante. Intanto, parliamo di qualche grosso nome non in concorso. Perché non sono in concorso? Ce lo chiediamo un po’ tutti, forse per loro scelta? Boh! Innanzitutto, sua maestà Bruno Bozzetto. Forse inizia a essere un po’ anzianotto per realizzare animazione, che è fatta in pratica da qualcun altro, ma le idee, l’intelligenza e l’inimitabile sguardo satirico sono i suoi: Rapsodeus (a sinistra) sembra un episodio nuovo di Allegro non troppo, con un brano di Listz, ripercorrendo la strada dell’umanità che cerca sempre qualcosa. Bellissimo. C’è poi Paul Bush, che con Lay Bare fa quel che fa sempre, animando foto (in questo caso particolari del corpo umano), ma con la sua solita classe. E’ riuscito quasi a commuovermi con foto di ombelichi e di orecchie. Davvero mediocre invece il lavoro di Paul Driessen, che realizza una rilettura dell’ Oedipus incasinata e priva di mordente. Me lo sono pure dormicchiato. Ultimo da citare è Georges Schwizgebel, che ci regala ancora uno dei suoi voli pindarici con Romance (a destra). Come per altri citati, non inventa nulla di nuovo, ma lo fa benissimo, con grazia e poesia.
Al d là dei nomi famosi, qualche citazione sparsa sempre dai corti fuori concorso. (Notes on) biology di Danny Madden (USA) è una divertente variazione sul tema dei “flipper” (le animazioni fatte sugli angoli dei quaderni che vengono fatti scorrere rapidamente), arrivando a conquistare l’intero quaderno con elefanti a razzo. The Maker di Christopher Kezelos (Australia, USA) è una graziosa interpretazione del tema della reincarnazione, fatto con pupazzi in uno stile che deve qualcosa a Tim Burton. Grain Coupon di Xi Chen e Xu An (Cina), temutissimo per i suoi 19′ di lunghezza, è memorabile per essere forse il primo corto cinese che ho visto a non fracassarmi troppo la minchia, anche se ci ho messo metà film a capire che uno dei due personaggi è una donna. Parla di due artigiani a cui viene chiesto di falsificare un francobollo.
Proseguendo i corti fuori concorso, c’è Flamingo Fierté (di Tomer Eshed, Germania) che è scemo forte, ma è anche un sacco rosa, e parla dell’unico fenicottero etero in un gay pride di fenicotteri omosessuali. Divertente. Chiruri di Kenji Kawasaki è una curiosa contaminazione di tematiche e design giapponesi mainstream con ritmi e atmosfere più rarefatte e difficili da trovare negli anime. Interessante anche The Pub (Joseph Pierce, UK) che racconta della giornata in un pub di una pubbista, e nel modo in cui lei trasfigura le persone con cui ha a che fare. Proiettato nella serata finale, infine, un corto mainstream, un piccolo seguito del discreto Rapunzel intitolato Tangled ever after. Ok, è un corto di inseguimenti rocamboleschi come ne abbiam visti mille, ma si ride proprio tanto.
Anche quest’anno mi son visto una bella fetta di TV, e ci sono diverse cose da menzionare. Stella and Sam “Voyage sur la lune” è una graziosa intepretazione dei giochi per bambini. Certo, chiunque abbia letto Calvin & Hobbes sospirerà, ma è un sacco kawaii e lo spirito è quello giusto. The Gruffalo Child, produzione inglese direi ad alto budget, è uno specialone di mezzoretta tratto da un romanzo per bambini narrato da Helena Bonham Carter. Fa un sacco di tenerezza, diverte e insegna. Che si vuole di più? Premio meritato. Come è strameritato il premio a Secret Mountain Fort Awesome “Nightmare Sauce”, una folle folle storia impossibile da riassumere su una serie di mostri e il loro rapporto con gli incubi, in uno stile che ricorda il Robert Crumb più strafatto e con una serie sorprendente di trovate per una serie tv. C’è spazio anche per un anime shonen, Blue Exorcist, di cui vediamo il primo episodio. Molto canonico nei temi e nella realizzazione (demoni, botte, divise scolastiche) ma più piacevole da vedere del previsto. Ci ha inoltre insegnato che Azatoth tira con la fionda ai gatti.
Concludo la trattazione parlando un po’ delle rassegne. Già dissi all’inizio che non ho cagato la povera Irlanda, ma ho visto altre cose. C’è stata serie di tre programmi dedicati all’amore: amore cortese, amore “pepato” e amore in musica. Curiosamente, il primo era mediocre mentre gli altri due proprio graziosi, me li sono davvero goduti. E dopo un po’ di anni che non lo consideravo, mi son deciso a rivedere lo Spike and Mike’s Sick and Twisted Animation Show confidando nel fatto che col tempo cambia anche il programma. Non del tutto, alcune cose erano proprio vetuste, ma complice l’atmosfera particolarmente gaia e goliardica del pubblico mi sono divertito tantissimo. E lascio per ultimissimo uno dei miei grandi amori. Non mi stanco di ripetere che genio sia Borge Ringe e come i suoi tre cortometraggi (Oh my darling, Anna & Bella, Run of the mills) debbano essere imparati a memoria, quindi un suo programma monografico me lo sono visto. E’ stato integrato con altri suoi lavori (non all’altezza, va detto) e con un documentario solo parzialmente interessante e un po’ fuori fuoco. Una nota di biasimo per la pessima qualità della proiezione, in alcuni casi i quadrettoni mpeg sembravano da Youtube.
All’anno prossimo!
Due parole su quel che ho letto lo scorso weekend, spaparanzato sulla sdraio al sole. Dura la vita. Vediamo se avrò voglia di farne una rubrica regolare, ché qui si pisola troppo.
Di bello:
– Valentina Melaverde v.4, di Grazia Nidasio: Valentina Melaverde è meraviglioso. Le piccole grandi avventure di una tredicenne in una città negli anni ’70. Un fumetto splendidamente anni ’70, con lo spirito del tempo ma ancora moderno. E poi è proprio divertente e ben disegnato.
– L’appartement v.1, di Kung Full: un horror coreano che mi son procurato nell’edizione francese, dopo che in Italia la serie è stata iniziata e subito abbandonata. Un disoccupato scopre che ogni giorno, alle 21.56, in alcuni appartamenti si spegne la luce. Indaga la cosa e scoprirà questioni inquietanti. E poi cambia il punto di vista… Fa un sacco di paura ed è costruito davvero in modo entusiasmante. Non vedo l’ora di finirlo.
– Ralph Azam v.1-3 di Lewis Trondheim: il nuovo fantasy di Trondheim, dopo che ha, ahimé, abbandonato il Donjon, ne riprende lo spirito di follia, invenzioni e un po’ di sadismo nei confronti dei suoi personaggi. Si legge che è un piacere.
Di brutto:
– Deadpool v.1 di David Lapham e Kyle Baker: io i supereroi non li reggo più in nessuna forma, neppure in quelle revisioniste / sopra le righe/ postmoderne. Ho provato a concedere un’eccezione per questo per uno scrittore che mi piace con uno dei miei disegnatori preferiti, ma no. Supereroi, no.
– Io sono Legione di John Cassaday e Fabrien Nury: horror, fantastoria e spionaggio sono ingredienti che se mescolati hanno del potenziale, ma in questo caso son stati sfruttati proprio male. Trama confusissima, con personaggi che appaiono agire a casaccio e Dracula tirato fuori dal cappello (ma no? quando inizia una storia in Romania, si sa che finisce sempre lì). Pffff, ho fatto proprio fatica a finirrlo…
– Darwin di Paola Barbato e Luigi Piccatto: a me le storie apocalittiche piacciono un sacco, ma questa mi ha fatto proprio rizzare i capelli per la sciatteria, la confusione, la povertà dei dialoghi, la banalità dei personaggi e delle situazioni. Salvo solo l’idea, da quel che so inedita, di una Parigi post-apopocalittica (con inevitabile visita a Tour Eiffel e Louvre!) e i disegni di Piccatto.
Già dissi che uno dei mantra ricorrenti di chi commenta Annecy è “Quest’anno la selezione era in media buona, ma mancavano i corti di spessore”, cosa che sento ripetere da quando frequento il festival. Inizio a questo punto a chiedermi cosa diamine siano i corti di spessore. Beh, comunque quest’anno mancavano i corti di spessore, e la selezione è stata in media scarsina. Ragioni? Mah! Forse la fantomatica “crisi”, per la quale ci son meno soldi da spendere per una cosa squisitamente improduttiva dal punto di vista economico come i cortometraggi animati? Forse il fatto che il comitato di selezione, per la prima volta, era interno al festival e ha fatto un lavoro mediocre? O semplicemente un caso? Boh!
Ma vediamo cosa c’era di notevole, in un senso o nell’altro.
Iniziamo col vincitore del Cristallo di Annecy, che non ho ancora detto essere Tram di Michaela Pavlatova (Francia,a sinistra), una ritmatissima animazione sulle fantasie erotiche di una guidatrice di tram. Certo, “manca di spessore”, ma direi che sono stato contento di questo premio, è un lavoro divertente, stuzzicante e molto originale. Potete vederne un teaser qui. E’ stato invece ignorato completamente dai premi il buon Aalterate di Christobal de Oliveira (Francia, Olanda, a destra), una storia onirica molto avvolgente e interessante, in particolare per una scena in cui le parti animate aumentano progressivamente fino a comporre un mosaico astratto complesso e ipnotico. Certo, se non ce lo diceva nel riassunto capire che erano gli ultimi pensieri di una donna in coma era quasi impossibile caprilo, ma visto che è un’opera prima confido nelle prossime prove dell’amico Christoballo.
Il secondo premio è stato relativamente prevedibile, in quanto si tratta di un corto che facilmente piace alle giurie: Edmond était un âne di Franck Dion (Francia, Canada, a sinistra) racconta del classico omino sfigato che scopre la sua vera natura quando, per fargli uno scherzo, gli mettono delle orecchie d’asino. E’ una storia sulla propria natura e sull’autorealizzazione. A me gli asini sono un sacco simpatici, soprattutto se paragonati a quegli stronzi malvagi dei cavalli, ma riconosco che è un corto furbetto e poco seminale, ma tuttavia ben realizzato e, in ultima analisi, apprezzabile. Immancabile il corto molesto dell’anno. Senza dubbio, il vincitore è Some Actions Which Haven’t Been Defined Yet in the Revolution di Sun Xun (Cina). Le tecniche più astruse come (in questo caso) l’incisione su legno possono essere suggestive, ma portano quasi irrimediabilmente a opere noiose e farraginose. Chissà di cosa parlava questo corto, mi sono appisolato un minuto o due e poi mi son svegliato con un tizio che si masturbava in primo piano. E già che parliamo di molesti, c’era anche un corto sullo schermo di spilli, pardon, sul fottuto schermo di spilli: Le Grand Ailleurs et le petit ici di Michèle Lemieux (Canada) , che come suggerito dal titolo e come da tradizione del fottuto schermo di spilli, era du’ maroni così di seghe mentali autoriferite.
Per continuare sulla scia dei lungometraggi, c’è un corto coreano che parla di altra roba pesa, e cioè delle donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e usate come oggetti sessuali dai soldati giapponesi in Indonesia. Si chiama Herstory (a sinistra), è diretto da Jun-ki Kim ed è un buon lavoro, strutturato come un documentario con la voce fuori campo in prima persona di una donna coreana che ricorda. Forse un po’ fastidiosa la rappresentazione dei giapponesi esattamente come erano mostrati dalla propaganda americana dl tempo (denti sporgenti, occhiali, sgraziati e storti), ma la cosa è evidentemente voluta. Spasso coreano, insomma. Rimanendo in oriente, due corti giapponesi da segnalare: il primo è di nientepopodimenoché Katsuhiro Otomo, si intitola Hi-no youjin (a destra) e parla di pompieri nel giappone dell’antica Edo con una storia d’amore impossibile sullo sfondo. Dà l’idea di essere un’idea per un lungometraggio abortita, perché ha un sacco di spunti appena accennati e personaggi che, evidentemente, erano pensati per avere una storia e una personalità che rimangono appena in nuce. Il secondo è Tsukumu di Shuyei Morita, ed è una storia di fantasmi alla giapponese, con un tocco di umorismo, gran begli sfondi e un sacco di ombrelli.
Il premio del pubblico non lo condivido affatto, e infatti ho manifestato il mio disappunto non applaudendo durante la premiazione e incrociando le braccia. Si tratta di Second Hand di Isaac King (Canada), un classico apologo morale sulla frenesia della vita moderna vs. i vecchietti che vivono tranquilli e riciclano. Ah, i danni che ha fatto Frédérik Back e la sua fottuta sedia a dondolo! Più condivisibile il premio Canal+ (che poi so’ sacchi!) a Una furtiva lagrima di Carlo Vogele (Lussemburgo,a sinistra), divertente animazione di… pesci morti! Altri due film degni di nota e che accomuno solo io nella mia mente malata sono Sunny Afternoon di Thomas Renoldner (Austria, a destra) e Rossignols en décembre di Theodore Ushev (Canada). Li accomuno perché sono corti astratti ma figurativi (eh?!?) che si basano in qualche modo sulla musica, ma il primo è una presa per il culo sulle avanguardie, condita con un’appendice perché, come dice l’autore “di più è meglio”, il secondo una rutilante sequenza di immagini pittoriche con un fortissimo impatto visivo ed emotivo. L’austriaco è stato il mio vincitore morale, il canadese colui che avrebbe dovuto vincere qualcosa sul serio.
Altri due premi da citare: il terzo premio è andato a Seven minutes in the Warsaw ghetto di Johan Oettinger (Danimarca), premio a mio parere incomprensibile per la solita storia dei nazisti che fanno una cattiveria senza senso. Mah! Meglio il premio della giuria Junior a Historia d’este di Pascal Peréz (Spagna, a destra) , un piccolo filmino divertente su un tizio che beve un sacco di caffé, brandy e birra giustificandosi con se stesso. Non un capolavoro, ma la giuria junior deve premiare film simili non, come ha fatto in passato, film impegnati per darsi un tono. Concludo con qualche rapido cenno. Era molto atteso il nuovo Barry Purves, sicuramente il miglior animatore di pupazzi al mondo, con Tchaikovkij elegija (Russia, Bielorussia) ma ha piuttosto deluso: grandissima prova tecnica, ma un po’ arido. C’è un estone che fa l’estone, quindi con una storia surreale coloratissima e divertente a modo suo: Villa Antropoff di Vladimir Leschiov e Kaspar Jancis; c’è anche il nuovo Pes, che fa sempre la stessa cosa e questa volta fa il Fresh Guacamole.
Beh, dai, alla fine qualcosa di cui parlare c’era. Che mi fossi sbagliato?