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E ora qualcosa di completamente diverso: una piccola perversione letteraria. Si tratta della descrizione in dettaglio maniacale della casa di campagna in cui passavo le mie estati da piccolo, a Sassello nell’entroterra savonese. Sì, dove fanno gli amaretti.

La casa di Sassello, posta sul pendio di una collina nella frazione misteriosiamente chiamata il Piano (dato che è tutta in discesa!), è circondata da un giardino abbastanza ampio e ben curato: appena entrati dal cancello ci si trova davanti due strisce lastricate, che chiamavo "le rotaie", su cui passare con l’auto per non danneggiare il prato. Alla sinistra, verso sud, svetta un filare di alberi, pioppi o betulle, mentre sulla destra un prato ben curato accoglie i bambini che vogliono giocare con un’altalena. Dirò sottovoce che gli alberi da un lato e l’altalena e un cespuglio di ortensie dall’altro costituivano le porte di un micro-campo da calcio.
Se immaginiamo il territorio della casa come un rettangolo, orientato secondo i punti cardinali, e poniamo il cancello in basso a destra (quindi nell’angolo di sud-est), allora la casa è in centro ma un po’ spostata verso l’alto a sinistra, mentre a nord c’è una zona rialzata, assecondando il pendio della collina, con a destra una "fascia" con un orto e un albero di ciliegie, e a sinistra un ampio stenditoio.

L’edificio della casa non è a livello del terreno: anzi, solo ora mi chiedo cosa ci fosse sotto, sempre che ci fosse qualcosa. Forse un tesoro nascosto. Per entrare si salgono tre gradini in graniglia rossa, nel secondo dei quali un fossile di conchiglia è intrappolato per l’eternità, e ci trova in un’ampio terrazzo, coperto di mattonelle rosse. Nella parte sinistra ci si può rilassare su un dondolo di plastica bianca, che col passare degli anni era sempre più malridotto. Si può entrare da ben tre luoghi diversi, in corrispondenza, da sinistra verso destra, di cucina, atrio e salotto, ma solo il primo, una porta a finestre costantemente coperta da tendine, e il secondo, una porta di legno chiara, sono usualmente aperti. La terza apertura, un’ampia porta-finestra a tre ante, viene spalancata solo per arieggiare o in altre rare occasioni.

Entrando, si incontrano i tre ambienti sopra descritti, sebbene non chiaramente separati. Il passaggio tra la cucina e l’atrio è segnato da un arco, alto e ottuso, mentre quello tra atrio e salotto è tutto sommato impercettibile, quasi una divisione di comodo. La cucina comprende due tavoli per lavorare, un frigo vecchiotto, con gli esterni color legno (non li fanno più!), un lavandino bianco, dei fornelli, armadi sparsi.
Nell’atrio, se così lo si può chiamare, troneggia una credenza, pseudo-antica, posta dirimpetto alla porta d’ingresso principale e ricettacolo di golosità quali Nutella, biscotti o caramelle. Il salotto è arredato con un divano sulla destra su cui mia nonna usava fare il suo riposino pomeridiano, due poltrone sulla sinistra con davanti un piccolo tavolino di vetro, un grosso tavolo da pranzo ovale in mezzo, e un caminetto quasi mai acceso e una TV nei due lati rimanenti. Numerosi oggetti africani fungono da accessori per la stanza: piccole sculture in legno e avorio, quadri, zanne di elefante e addirittura pelli di leopardo intere testimoniano i viaggi africani di mio zio Attilio e i suoi pochi scrupoli nell’esportare l’artigianato locale.
La televisione non riceve Raidue, è a colori ma non ha il telecomando e ha persino il pulsante di accensione rotto, tanto che bisogna agire sulla spina e c’è un biglietto sul pulsante di power con scritto "non toccare", redatto da qualche attento inquilino.

Una porta a vetri smerigliati conduce all’altra zona della casa, raccordata da un corridioio. Sull’immediata destra della porta c’è un bagno, piccolo e dominato dal color verde chiaro, mentre subito davanti è situata una camera da letto con due letti di vimini e un quadro con dei panda (opera di collage della gioventù di mia mamma), nonché un armadio. Un’ampia finestra guarda l’orto, e, essendo rivolta verso est, tende ad impedire le eccessive dormite mattutine.
Seguendo il corridoio, si incontra a sinistra una ripida scala a chiocciola che sale e che affronteremo in seguito e, poco oltre, un’altra camera da letto. Questa cameretta è più modestamente arredata con un solo letto, un armadio bianco decorato con qualche adesivo, un piccolo e scomodo divano verde con una bruciatura di sigaretta, e per terra una pelle di qualche fiera, forse una lince. Sulle pareti la vena artistica di mia madre continua a far mostra mediante collage a tema circense, mentre il lettino, identico a quello che ho avuto da piccolo a casa, è bianco con due cassettoni sotto, e con qualche piccolo scaffale accanto.

Esaurendo la visita alla camera e tornando nel corridoio, si incontra un piccolo scaffale con diversi libri, nessuno dei quali ho mai letto ad eccezione di un Millemondi Urania, e, oltre, la camera dei nonni, con un letto matrimoniale e un grosso armadio di legno massiccio. Pur andando raramente in quest’austera camera, ricordo su un comodino una splendida scacchiera di giada.
In fondo al corridoio si trova l’altro bagno, molto ampio, con una lavatrice, bagno e doccia. Al tramonto, essendo la finestra rivolta a ovest, attraverso i vetri smerigliati passa una bellissima luce.

Torniamo alle neglette scale a chiocciola, e inerpichiamoci. Il piano di sopra è mansardato, con un piccolo atrio che funge da separatore ad un’ulteriore stanza da letto e la soffitta. La camera, con due letti, è sempre calda in estate a causa della vicinanza col tetto, ma nelle frizzanti serate estive dell’entroterra ligure un piccolo riscaldamento naturale non disturba. Un poster con un mohai che riceve un raggio dallo spazio accoglie l’assonnato visitatore, mentre quello curioso, che voglia esplorare l’altra ala, non troverà altro che una soffitta piena di cianfrusaglie, fumetti e riviste di tutti i tipi.
Conclude il tour della casa una rapida visita al garage e la cantina, accessibili dall’esterno vicino allo stenditoio ma situati nell’edificio della casa. Associo il colore grigio al garage e quello verde alla cantina, ma non sono sicuro che ci sia una ragione valida.

La casa di Sassello è stata venduta nel 1990 alla famiglia di Baciccia. Le leggende vogliono che sia stata trasformata in una stalla, ma non sono mai più tornato a vederla.