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Gioventù bruciata

Sassello, estate 1980.
La casa che ho accuratamente descritto era in cima ad una salita, la cui pendenza cresceva all’avvicinarsi alla meta e che, quando era ancora relativamente in piano, passava di fianco alla casa di Baciccia.
Ignoro qualche fosse il vero nome di Baciccia (forse Giovanni Battista?), anche se curiosamente ne conosco il cognome poiché era zio del mio amico Daniele. Lo ricordo come un uomo di mezz’età dal ventre enorme di solito a malapena coperto da una canottiera bianca, coppola in testa, naso rosso da buon bevitore. Parlava quasi sempre nel buffo dialetto mezzo ligure e mezzo piemontese della zona. Era un contadino, proprietario di qualche mucca, di un fienile e di un trattore che io chiamavo "trattore Baciccia", per distinguerlo dal trattore di suo fratello Giuseppe che, indovina un po’, si chiamava "trattore Giuseppe". Darò una nota di tristezza fuori luogo dicendo che Baciccia è morto intorno al 1990 in un campo di patate.
Una giorno, all’ora di pranzo, tornavo a casa da solo (anche se ero così piccolo a Sassello potevo girare da solo, entro certi limiti) e vidi accanto al muretto che cintava la casa di Baciccia una bottiglia di vetro di Cocacola da un litro, vuota e abbandonata. Mi prese un raptus che tuttora non riesco a spiegarmi, la afferrai e la scagliai in mezzo alla strada rompendola. Il rumore attirò Baciccia e suo figlio Paolo che, resisi conto dell’accaduto, si arrabbiarono.
"Se passa tuo padre in macchina si buca le gomme", disse Baciccia. "Adesso raccogli i cocci!".
"Ma no, lascia stare", interloquì Paolo. "Poi finisce che si taglia. Vai, vai via".
E io me ne andai, mezzo gongolante, lasciando quei due uomini a raccogliere i frammenti di vetro, come se non si spaccassero abbastanza la schiena nei campi.
È bello, una volta tanto, essere il cattivo della storia.