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Per i ritardatari
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In quarta elementare la maestra ci portò a fare una “scampagnata” a Madonna della Guardia, una chiesa con un bel parco in cima alle colline dietro Alassio. Giunti là sopra, per giuoco la classe si divise in due organizzando una sorta di guerriglia nel sottobosco. Il gruppo a cui appartenevo decise di darsi una parola d’ordine, probabilmente solo per fare figo o perché nei film fanno così. Io, dall’alto della mia intelligenza, proposi come parola d’ordine “non c’è”, dimodoché che se qualcuno fosse stato catturato e gli fosse stata chiesta la password, egli avrebbe potuto non mentire e i nemici avrebbero creduto che non c’era alcuna parola d’ordine.
Detta a oltre vent’anni di distanza la cosa appare deliziosamente surreale: perché usare una parola d’ordine? Perché i nemici avrebbero dovuto credere che ce n’era una? E perché la necessità di dire la verità se catturati? Ancora, se si fosse stati sotto tortura, che vantaggio a far credere ai nemici che non c’è alcuna parola d’ordine, visto che non ci avrebbero mai creduto?
I miei compagni non colsero però la finezza di questa sorta di auto-riferimento, che ricalca forse un po’ il Nessuno dell’Odissea e in qualche modo si avvicina ad essere Godeliano, e decisero per una parola d’ordine più semplice.
La mia permalosa memoria non ricorda quale fosse.

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