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Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Dimostrazione del principio di relatività

Quando mi lavo i denti, io tengo fermo lo spazzolino e muovo la testa.
Mai avuto carie in vita mia.
Galileo aveva ragione.

Ventennale

Oggi, 26 luglio 2006, sono passati vent’anni dalla mia ultima Confessione. Il 26 luglio 1986 era la festa di Sant’Anna al Piano, frazione di Sassello, e Don Lino, detto Don Chilometro perché era alto, mi catturò prima della messa di rito e mi estorse l’ammissione di aver avuto dei pensieri impuri. "Tutto il corpo umano è bello perché creato da Dio, mi disse, e non solo alcune parti di esso".
Da allora decisi che è meglio andare all’inferno che raccontare i cazzacci miei ad uno sconosciuto vestito di nero. Nel caso che finissi a farmi pungere il sedere dal forcone di Belzebù, tornerò come fantasma ad avvertirvi.

(Chi legge Pinguini nel Salotto ha un’assicurazione per l’Aldilà!) 

Annecy 2006 parte terza: da giovedì a sabato

Giovedì

Film di Scuola 4
CarlitopolisMi è stato affidato il compito di vedere tutti i corti di scuola e io, che sono ligio, così ho fatto. Non ne sono pentito. In questa serie di corti meritano una menzione altri lavori oltre il già citato Abigail, vincitore del terzo premio. Carlitopolis (Francia) di Luis Nieto, a sinistra, è una breve opera in cui un signore (ripreso dal vero) fa esperimenti a metà tra il crudele e il divertente in un topo fotorealistico. Tali esperimenti sono molto cartooneschi (del tipo della tipica bomba da cartoon) e lo stridio con la tecnica usata è molto divertente. Sebbene non l’abbia amato alla follia, mi aspettavo anche qualche sorta di premio per Versus, ancora francese, opera in 3d di Francois Caffiaux, Romain Noel e Thomas Salas. Si tratta di una tipica serie di gag ad escalation, in questo caso prendendo come spunto una battaglia tra clan di samurai per il possesso di un’isola. Pur essendo banaluccia, come idea, è abbastanza ben realizzato e la quantità di gag riuscite sorprendente.

Film di Scuola 2
Per ultimo quello che senza dubbio è il migliore dei quattro programmi di cortometraggi di fine studi. Non solo sono presenti il primo e il secondo premio, Astronauts e Walking in a Rainy Day (proiettati uno dietro l’altro!) ma altri degni di nota fanno la loro comparsa. Guy 101 forse è il mio preferito (a destra). Opera del britannico Ian Gouldstone, è un interessante ribaltamento di prospettiva: la storia, quasi pretestuosa, è un aneddoto su un signore in chat (appunto, Guy101). Quello che è veramente interessante è che vengono utilizzate una serie di metafore prese dal mondo dei computer, il quale a sua volta è popolato di metafore dal mondo reale (icone, finestre, case, lenti di ingrandimento…). L’esempio migliore si verifica quando il protagonista invita a casa sua uno sconosciuto e, per fargli capire che era disponibile, gli offre una birra con su scritto "chmod 777", che è il comando Unix per dare controllo totale ad un file ad un utente. Un buon lavoro è anche Vampz, che, pur essendo una semplice sequenza di gag su due vampiri bambini che giocano sui luoghi comuni di questa razza di non morti, è divertente e molto ben ritmato. Mi piace citare infine Fluffy, della giapponese Miyuki Echigoya, una banale storia di una bambina e il suo gattino, però realizzata animando una specie di bambole di stoffa per un effetto molto carino.

Panorama 1
 Abbiamo preso gusto a vedere i tanto deprecati Panorama, ed eccoci ad assistere ad un altro. Il programma inizia con il già citato Den Danske Dikteren, Il poeta danese. Molto curioso Fumi and the Bad Luck Foot di David Chai (USA, a sinistra), una piccola, divertente, storia morale sulla sfortuna e di come la si può usare per fare del bene. Delude invece Michael Dudok de Wit, Millenium Award nel I Festival di Chiavari con Father and Daughter, che propone The Aroma of Tea, tanto originale nella tecnica (foglie di té su carta!) quando inutile e incomprensibile. Buono il giapponese Hiroshi to Tony (Hiroshi e Tony), una storia sull’autismo narrata con la sensibilità e la mancanza di buonismo di cui i giapponesi sono maestri.

Cortometraggi in concorso 4
Chi ha visto il programma nella proiezione mattutina era perplesso. Anche se non si sentivano grida di orrore come per la serie di mercoledì, pareva che non ci fosse molto da stare allegri. Il giudizio in effetti pareva un po’ eccessivo, ma in effetti non c’è stato molto di che gioire. Troppi applausi ha preso Tree Robo, coreano di Young-min Pak e Moon-saeng Kim, una parabola ecologica davvero troppo esplicita e buonista. Peccato, perché la realizzazione in 3d è buona e qualche scena di impatto il corto la offre. Nessuna pietà invece per il premio Corto Molesto dell’anno, Un, deux, trois, crépuscule. Incomprensibile, lunghissima, pallosissima opera in tecnica mista, in teoria sulla storia delle fasi della vita di una donna, in pratica chissà. Quasi ogni anno ce n’è uno. Mi è piaciuto, invece, Minotauromaquia, Pablo en el laberinto, un viaggio nella mente di Pablo Picasso (a destra). Pur essendo a tratti pretestuoso il piazzamento di frammenti delle sue opere qua e là, l’autore spagnolo Juan Pablo Etcheverry dimostra di conoscere l’opera del genio suo conterraneo, e la mette in scena in modo ben costruito. I giapponesi ogni tanto offrono cose strane, e strano è infatti (A long day) of Mr Calpaccio, un bel bianco e nero molto iconico e a tratti quasi surreale. Incredibilmente volgare e (quindi) spassosissimo, The return of Sergean Pecker (USA), di un certo Pierre Delarue, pseudonimo sotto il quale si nasconde un altro famoso autore che, volendo lavorare per i bambini, non vuole essere associato ad opere così pecorecce. La tragica storia dell’uomo dalle possenti erezioni e della donna che prima si concede e poi si nega ha commosso il pubblico che rideva solo per nascondere lagrime amare.

Venerdì

Azur et Asmar
"Godetevi questa gioia per gli occhi". Senza falsa modestia, anzi, con un pizzico di presunzione è così che Michel Ocelot ha presentato la sua nuova opera e, finora, il suo capolavoro. Già, perché, superati i primissimi istanti di straniamento per la tecnica mista di 3d e animazione tradizionale, ci si rende conto di come questo amalgama funzioni davvero bene. È strano rilevare come le facce in 3d associate a colori piattissimi per i vestiti generino un effetto così bello. Ma la bellezza del film non si ferma alla parte estetica: la trama è forse la miglior parabola sull’integrazione del mondo occidentale e quello arabo che si sia vista. Una favola ricca di sorprese e di meraviglie con un messaggio di pace non banale. Che si vuole di più?

xxxHOLiC manatsu no yo no yume
Ok, proprio tutto non l’ho visto questo film, essendomi addormentato più volte durante il suo svolgimento, però più o meno mi son fatto un’idea. E non mi è piaciuto: come trama, c’è un’idea abbastanza curiosa, anche se non originalissima, e un’atmosfera a tratti intrigante. Ma ad essa vengono affiancati i peggiori e più logori stereotipi dell’animazione giapponese: la sacerdotessa capa sexy, il suo schiavetto liceale supersfruttato che si imbarazza di fronte ad una sua compagna un po’ distratta. Yawn. No, non è possibile campare ancora di queste cose e fornire ad esse il minimo supporto. Il design inoltre, allungato e sgradevole, proprio non mi è piaciuto.

Cars
 Molto atteso il ritorno di Lasseter, il film è solo parzialmente riuscito. I personaggi sono abbastanza simpatici e il mondo ha una sua coerenza interna pregevole (assai superiore rispetto ai "3d world" come Robots o Shrek), e, soprattutto, si tratta di un film con una sua trama e una sua coerenza, e non solo una collezione di gag piu’ o meno riuscite. D’altra parte, il film dura troppo, ha delle parti inutili, uno schematismo troppo prevedibile nell’evoluzione dei personaggi e, a livello di design, è un piccolo passo indietro: Luxo era perfettamente espressivo senza essere umanizzato. Le macchine con gli occhi, quindi, sono ridondanti. Tecnicamente, comunque, la Pixar è sempre anni avanti la
concorrenza.

Cortometraggi in concorso 5
Portatore del corto vincitore di Regina Pessona, quest’ultima serie di corti ha comunque presentato altre opere per lo meno interessanti. Ha avuto successo col pubblico Kein Platz fur Gerold (Non c’è posto per Gerold) di Daniel Nocke una curiosa commedia di dialoghi tedesca con protagonisti degli animali. Ben scritta, abbastanza divertente, 3d più che decente, ma in effetti nulla di nuovo sotto il sole. Ichtys, del polacco Marek Skrobecki, a destra, è un’opera piuttosto controversa. La storia del signore che attende molto, troppo a lungo che gli venga servito un pesce al ristorante, è una chiara metafora della venuta e del ritorno di Cristo. Il problema è che non è chiaro in che chiave interpretarla, e a quali conclusioni giunge, anche se la mia impressione è che sia anti-cristiana. La realizzazione a pupazzi è buona, e i 16 minuti passano gradevolmente nonostante gli immancabili violini stridenti dei corti polacchi. Piccola citazione, infine, per lo stupidissimo ma divertente The Making of the Gladiator, con Russel Crowe e il suo batacchio alle prese con pantaloncini troppo corti.

Sabato

Film per Internet
 Poche novità interessanti dalla rete quest’anno. Il vincitore, Unlucky in love dell’australiano Bernard Derriman, è un corto della stessa serie che aveva vinto nel 2005 (Arj & Poopy) fatta di dialoghi sagaci. Di notevole, solamente, la presenza di qualche corto che esula dalla solita gag in flash. Lucifuge, (Francia) di Philippe Khayat parla delle rocambolesche avventure di un vampiro per evitare la luce del sole. Ok, questa è una gag in flash! Non una gag e niente male anche La mia migliore amica di Stefano Buonamico (realizzato per Medici senza Frontiere) che, pur essendo forse un po’ prevedibile, parla di una realtà importante come quella dei campi profughi (a sinistra). Commovente è anche Manege Frei (Germania), di Ljubisa Djukic, storia di un orso di un circo che sogna di essere libero. Un bel video musicale è Leningrad, del russo Alexandre Timofeev, molto stilizzato, realizzato con una grafica simile a quella di certa propaganda militare.

Tutti frutti
Ultimo programma dedicato all’Italia, come il nome suggerisce senza un filo conduttore particolare, una sorta di raccoglitore di corti senza un minimo comun denominatore diverso dall’essere italiani. La qualità media, nel comp lesso, non è stata molto alta. Meritano una menzione Cambi e scambi (a destra), di Donata Pizzato, un’autrice quasi sconosciuta: una serie di metamorfosi comiche, con bel tratto nero su bianco, incentrate sul rapporto di coppia. Garibaldy Blues, di Vincenzo Gioanola, è realizzato con la difficile incisione diretta su pellicola commentando l’omonima canzone. Non malaccio. Manfredo Manfredi, uno dei grandi vecchi dell’animazione italiana, si cimenta col Calvino de Le città invisibili, con risultati solo parzialmente positivi. Infine assistiamo all’immancabile Linea di Osvaldo Cavandoli, purtroppo scegliendo causa attualità l’episodio Football, certamente poco ispirato.

When Animation meets the living 2.6:L’Insoutenable Étrangeté
E’ sabato, si inizia ad essere stanchi. Non cercherò troppe scuse per dire che ho dormito per quasi tutto il programma, ivi compreso un McLaren che non avevo ancora visto, Camera Makes Whoopee. A mia parziale discolpa posso dire che era muto. L’unico corto notevole che mi sia rimasto impresso e per il quale sia rimasto sveglio è Dr. Jeckill & Mr. Hide di Paul Bush, di cui ho già parlato nel resoconto dei Castelli Animati 2005.

Panorama 3
 Programma visto solo a metà per riuscire a mettersi in coda per vedere la cerimonia di chiusura, è stato comunque indubbiamente il più debole del lotto dei Panorama. Vale appena la pena segnalare McLaren’s Negatives (a sinistra), ovviamente canadese, di Marie-Jose Saint-Pierre, una sorta di documentario animato su Norman McLaren, e, per l’idea più che per la realizzazione, Les proverbes flamandes di Antoine Rogiers, francese, che mette in animazione Il celebre quadro "I proverbi fiamminghi" di Elder, senza ottenere peraltro un risultato soddisfacente.

Cerimonia di chiusura
2004, anno della Corea: Serge Bromberg si veste con un abito tradizionale coreano.
2005, anno del Canada: Serge Bromberg si veste da Giubba Rossa.
2006, anno dell’Italia: Serge Bromber si veste da pizzaiolo.
Questo, almeno, era quello che immaginavamo tutti. Invece, stranamente, ha dimostrato un anomalo einaspettato rispetto per l’Italia, utilizzando un semplice bar di fronte al Colosseo come scenario, mentre il buon Serge interpreta un semplice avventore. La cerimonia ha avuto meno momenti salienti degli anni passati, per il resto. Il quasi totale accordo con il lavoro dei giurati e la relativa mancanza di sorprese l’ha fatta scorrere via senza problemi, col solo piccolo intermezzo del doppiaggio della Linea da parte degli ospiti. Si conclude qui Annecy 2006: a differenza degli anni scorsi non è stato dato l’appuntamento con le date precise per il 2007; alcune voci vogliono che il CICA abbia perso il controllo dell’organizzazione e che quindi le cose potrebbero cambiare. Magari in meglio, chissà: staremo a vedere.

 

(Si ringrazia Gianluca Aicardi per le correzioni e la consulenza, in particolare per Tutti Frutti)

Misteri della vita XLIV

Che senso hanno i limiti di velocità oggettivamente impossibili da mantenere?

Ponendo attenzione ai segnali (come si dovrebbe fare sempre, vabbé!) scopro limiti di 30 km/h in strade a medio scorrimento (Cornigliano a Genova), di 50 km/h in strade dritte con ampia visibilità (galleria San Martino ad Albenga), di 15 km/h addirittura in alcune strade di collina in Liguria. Non credo che la chiave sia "così ci fanno le multe" ma piuttosto un modo per dire "dai, rallenta un po’. Magari non proprio a 15 km/h, ma facciamo almeno 40". Oppure l’idea è di mettersi nel "caso peggiore", però chi non è in grado di reagire ad un imprevisto a 30 km/h non dovrebbe neanche avere la patente, non avere la possibilità di reagire andando a 15 km/h.

La Pallina Schizofrenica

Boing. Hop, presa.
Boing. Hop, presa.
Boing. Mancata, la vado a recuperare.
Boing. Hop, presa.

Mamma XXmiglia: – Cosa sta facendo tuo figlio?
Papà XXmiglia: – Sta giocando con la Pallina Schizofrenica

Per non poco tempo da bimbo ho avuto una saltuaria passione: mettermi per terra sul pavimento del salotto di casa mia e lanciare una pallina di gomma (una di quelle note come palline rimbalzine) sul muro e poi riprenderla. I miei genitori avevano battezzato questo gioco la Pallina Schizofrenica, in parte per l’associazione del suono con "schizzo" e "frenesia", in parte perché la parola fa ridere e in parte perché, sotto sotto, non sembrava loro molto normale che un bambino passasse ore a lanciare una pallina contro il muro per afferrarla al volo. Il richiamo ad una malattia mentale, anche se di tipo diverso, probabilmente era un po’ freudiano.
Quello che non ho mai detto loro è che in realtà l’esercizio di lanciare e recupare la Pallina Schizofrenica era un modo che avevo per concentrarmi meglio, attraverso l’automatismo dei gesti che acquisivo col la ripetizione e che aiutavano a distaccarsi in un certo modo dal corpo. Potrei dire che si trattava di una specie di yoga spontaneo, se avessi la minima idea di come funziona lo yoga.
E quindi, lanciando la mia amata pallina, iniziavo a pensare, a risolvere piccoli e grandi problemi, ad immaginare mondi strani e ad escogitare strane invenzioni. Ovviamente non ricordo quasi nulla di quello che pensavo con la Pallina Schizofrenica, erano flash che andavano e raramente venivano sviluppati in qualcosa di coerente, e il fatto che siano passati oltre vent’anni e io non abbia preso appunti non aiuta. Peccato, una volta mi pare di ricordare di aver scoperto il Senso della Vita. Magari a qualcuno farebbe piacere sapere quale sia: procuratemi una pallina rimbalzina e potrebbe tornarmi in mente.

Odia gli stupidi: Candy Candy

Titolo: Candy Candy
Sigla della serie: Candy Candy (id., 1976)
Parole: Lucio Macchiarella
Musica: Douglas Meakin e Mike Fraser, Bruno Tibaldi (Kobra)
Cantata da: Rocking Horse
Produzione: RCA
Anno: 1980

 

Il più venduto 45 giri nella storia delle sigle anni Settanta, Candy Candy è considerata una delle migliori creazioni dei celebri Rocking Horse, il gruppo fondato dal cantante, musicista e compositore britannico Douglas "Dougie" Meakin. In effetti è quanto di più simile al concetto, spesso sottolineato da Meakin nelle interviste, di sigla-canzone, ovvero di brano musicale nato come sigla, ma pensato con tutti i crismi di una vera canzone, anziché strutturato come un semplice jingle o una musichina infantile. Candy Candy, che in origine doveva essere la sigla di Lassie, e venne poi ridiretto dalla RCA sulla famosissima serie animata per bambine (unendovi una parte già composta da Bruno Tibaldi, in arte Kobra), è un pezzo country molto convincente, con parti di chitarra sofisticate e per nulla banali, eseguite dal chitarrista Dave Sumner (gli altri Rocking Horse erano qui Mike Fraser alle tastiere, Michael Brill al basso e Derek Wilson alla batteria; all’incisione parteciparono anche i Fratelli Balestra e un giovane Marcello Cirillo).
I testi sono invece firmati da Lucio Macchiarella, frequente collaboratore del gruppo e uno dei migliori parolieri dell’ambiente (Conan il ragazzo del futuro, L’isola del tesoro, Ken il guerriero). Vediamo come se l’è cavata in questa occasione, in una delle sue prime prove.

 

1

Candy è poesia
Candy Candy è l’armonia
Candy è la magia
Candy Candy è simpatia

La sigla non perde tempo a introdurre il personaggio di Candy, sciorinando una serie di paragoni che pervadono l’intera canzone. Alcuni di essi sono appropriati, altri meno, ma in generale solo alcuni aspetti del personaggio e della sua storia vengono colti. Quindi se la generosità, la simpatia e la dolcezza che sfiora la zuccherosità sono caratteristiche giustamente trattate, viene tuttavia clamorosamente mancato il concetto di "sfiga" (o, se preferite, di "risolutezza nei confronti delle avversità") che per molti è il vero sinonimo di Candy Candy, forse non a torto.
Tutto ciò riflette naturalmente il fatto che questa sigla, come capitava spesso ai tempi, venne partorita avendo visto solo la sigla originale della serie: le disavventure della nostra bionda eroina sono quindi rimaste del tutto ignote agli autori della versione italiana.
Nel dettaglio di questa prima strofa, c’è da segnalare che se "poesia" e "simpatia" sono un’ottima sintesi dei due aspetti del personaggio, "armonia" e "magia" sono più oscuri, se non interpretandoli come metafore molto forzate, e comunque troppo generiche per risultare efficaci.

 

2

È zucchero filato
È curiosità
È un mondo di pensieri e libertà

È un fiore delicato
È felicità
Che a spasso col suo gatto se ne va

 

Al variare della melodia il soggetto viene dato per acquisito, e si procede per ellissi a narrare le virtù di Candy.
Lo "zucchero filato" e il "fiore delicato", seppure stereotipati, sono sostanzialmente corretti. La curiosità non spicca invece particolarmente tra le caratteristiche di "tutte lentiggini", ma la si può accettare. Sono invece il "mondo di pensieri e libertà" e la "felicità" che appaiono totalmente fuori luogo: il pensiero non è una delle doti della ragazza, che è infatti dipinta come un’istintiva; libertà ne ha ben poca, in generale, essendo costretta dalle circostanze a fare quello che deve fare; per non parlare della felicità, di per sé assurda in senso soggettivo (essendo noto che la tristezza la fa da padrona nelle vicende di Candy, i cui stessi comprimari vedono funestata la propria vita da lutti e disgrazie per la mera presenza della biondina[1]), ha ben poca giustificazione anche in senso oggettivo: guardare la serie potrà certo recare piacere ai suoi spettatori, ma credo che nemmeno i suoi fan più accesi possano sinceramente asserire che la visione di Candy rechi "felicità".

L’ultimo verso appare particolarmente assurdo. Il "che" relativo nelle intenzioni dell’autore era probabilmente da riferirsi a Candy. Tuttavia, a livello sintattico, esso sembra legarsi alla "felicità" del verso precedente, significando quindi che "Candy Candy è felicità che se ne va a spasso col suo gatto" (espressione che suona peraltro un po’ troppo colloquiale). Ora, è semplicemente grottesco che un sentimento astratto si intrattenga a passeggio con un qualsivoglia animale da compagnia, ma si può ancora fare uno sforzo riferendo il relativo a Candy. Rimane però falso che quest’ultima se ne vada a spasso col suo gatto, perché il povero Clean è in realtà un orsetto lavatore: notorio è tuttavia l’episodio in cui Meakin, interrogandosi sulla natura dell’animale che intravedeva sullo schermo, riceveva in risposta lo sbrigativo "Sarà un gatto". Purtroppo la lotteria zoologica andò male.

 

3

Candy, oh Candy, nella vita sola non sei
Anche nella neve più bianca, più alta che mai

Candy, oh Candy, che sorrisi grandi che fai
Che sapore dolce, che occhi puliti che hai

Giunge il ritornello, e come capita spesso, dopo aver elencato le virtù della protagonista nelle prime strofe, la canzone cambia registro e si rivolge direttamente all’eroina.

Inizia con un incoraggiamento: "Candy, nella vita sola non sei". Il che, per qualcuno che aveva visto solo la sigla, è una bella botta di fortuna, perché ha colto un altro aspetto importante della vicenda di Candy: il fatto che anche nelle peggiori avversità potesse contare su qualcuno. La metafora della neve è invece tremenda: se da un lato può evocare l’idea di essere immobilizzati e non potersi muovere (come a volte capita nelle difficoltà), dall’altro la neve è sinonimo di candore, di purezza, cosa che non ha nulla a che fare col discorso. In più, l’autore ha pensato bene di ricordarci che la neve è "più bianca che mai" per condurre la metafora nel senso sbagliato.

Anche la seconda parte ha qualcosa di sbagliato: vadano i "sorrisi" (anche se la "grandezza" di un sorriso mi pare un parametro grottesco, da Lupo Cattivo), vadano anche gli "occhi puliti", sinonimo di sincerità (dubitabile, però: vedi oltre), ma il "sapore dolce" è assai fuori luogo. Anche accantonando l’immagine puramente antropofaga che potrebbe venire in mente a un ascoltatore malizioso (ritorna il Lupo Cattivo!) e interpretandolo come una sorta di sinestesia, è comunque caricato di una connotazione sensuale, quasi erotica, che, parlando di Candy Candy, dà i brividi.

 

4

Candy è fantasia
se racconta una bugia
Candy è l’allegria
che ci tiene compagnia

La terza strofa, come da tradizione, è quella che non si sente nei passaggi televisivi, e a cui quindi è associata una minore importanza.
Viene ripreso lo schema del primo verso, ma invece di ripetere il soggetto le frasi diventano leggermente più articolate, occupando la bellezza di due versi ciascuna.
La relazione tra fantasia e bugia viene affrontata in modo ancora più contorto in Pinocchio, perché no?. Una bugia è anche fantasia, è vero, ma l’unico modo che ha Candy per diventare "fantasia" è mentire? Questo implica forse che ogni forma di immaginazione è falsità? In ogni caso, non si ricorda una sola occasione in tutta la serie in cui Candy menta esplicitamente, quindi il discorso è irrilevante.

 

5

È un sogno colorato
È l’ingenuità
È un desiderio che si avvererà

È un cucciolo smarrito
nell’immensità
nel bosco e tra le case di città

Continua il panegirico della bionda ragazzina, e continuano le perplessità di chi legge il testo con attenzione: perché Candy sarebbe un "desiderio che si avvererà"? La metafora qui ha fatto un passo avanti: Candy è stata paragonata a numerose entità astratte tutto sommato piacevoli (simpatia, felicità, allegria, eccetera); il "desiderio che si avvererà" sembra anch’esso un epiteto attribuito a Candy, benché ciò non abbia alcun senso.

Merita infine attenzione l’ultimo verso: apprezzabile il paragone con un cucciolo smarrito, anche se "l’immensità" pare un po’ eccessivo come luogo in cui perdersi. Sorprendente è poi scoprire dove si trovi quest’immensità: "nel bosco e tra le case di città". Probabilmente si è persa in Central Park, l’unico luogo noto che sia un bosco e, contemporaneamente, sia situato in un grande centro urbano (ed è anche ampio, anche se definirlo "immenso" rimane eccessivo).

 

[Ripete 3]

 

6

Ah, Candy Candy, ah…
Ah, Candy Candy…

[Ripete 3, sfumando]

 

Nel complesso, quindi, si tratta di un testo piuttosto monocorde e non privo di stupidate. Tuttavia, dimostra di aver compreso (ancorché forse casualmente) parte dei temi salienti della storia, e diverse immagini risultano abbastanza azzeccate, a coronamento di una scrittura musicale di prim’ordine e anch’essa molto intonata al romanticismo dolceamaro della serie.


[1] Questa a dire il vero è una mezza leggenda, perché il bilancio finale di Candy Candy è di soli due morti e un mutilato: praticamente trenta secondi di Ken il guerriero, anche se, sulla decina scarsa di amici di Candy, diventa statisticamente rilevante.

 

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