Che Natale difficile! No, non si tratta degli usuali problemi delle feste: andare a cercare i regali, il traffico, il pranzone in famiglia, Una poltrona per due in televisione, l’ipocrisia dilagante. Queste cose le accetto e in fondo mi divertono anche abbastanza, pur se con un certo distacco.
Ciò di cui sto parlando è la decisione riguardo al fare o meno un post di Natale da queste parti. Gli anni scorsi ho ignorato bellamente la festa poiché mi son dato la regola di staccarmi il più possibile dall’attualità (il mio è un blog che si picca di essere Universale), ma poche cose son più divertenti di rompere le regole, soprattutto se autoimposte. Insomma, io sto divagando: non è da me fare dei banali auguri di Natale, ma nemmeno disprezzare la festa come i più snob fanno (sono circa al livello 2, secondo l’analisi sui bastian contrari ). Quindi, facciamo che vi faccio gli auguri il giorno dopo. Auguri di Buon Natale!
Avete ora la possibilità di interpretarli come:
a) auguri laici: un augurio di buone feste fatto dopo la festività religiosa lo priva del suo significato spirituale ma non della sua sincerità
b) auguri spiritosi: perché sono il primo a farveli per il Natale 2007
c) auguri ironici: faccio finta di farvi gli auguri ma in realtà non li sto facendo
d) auguri sarcastici: perché Natale è passato e non ha senso fare degli auguri per qualcosa che è già successo
e) auguri distratti: questo fesso se ne è dimenticato e ora cerca di farci fessi con questa pappardella
f) auguri pigri: (variante del precedente) questo fesso è a corto di idee per i suoi articoli del piffero e ora cerca di farci fessi con questa pappardella
g) meta-auguri: parlando del significato degli auguri, faccio riflettere sul significato degli stessi
h) auguri amarcord: da piccolo facevo la battuta che Santo Stefano era il mio giorno preferito perché "mancano solo 364 giorni a Natale", battuta a cui nessuno rideva. A ragione, ovviamente.
Direi che avete l’imbarazzo della scelta. Se non vi basta, tenetevi pure gli sms in serie che i vostri conoscenti hanno inviato a tutta la loro rubrica. Però il giorno giusto.
Le pizzerie sono posti divertenti. Non solo perché di solito fanno da cornice a serate con amici passate a ridere e scherzare e mangiare il piatto più buono del mondo (la pizza, appunto), ma anche perché è solo in pizzeria che è possibile applicare i seguenti gai stratagemmi.
Quando siete in pizzeria:
- controllate come viene scritto “würstel” nel menù. Le grafie più gettonate sono “wustel” o “wrustel”, ma è anche facile trovare “wustrel”, “wrurstrer”, “wurlstrer” e qualsiasi combinazione di “l” e “r” la fantasia del gestore possa aver escogitato. Questo fornirà matte risate per qualche secondo.
- scandagliate a fondo il menù. Oltre le solite otto-dieci pizze che hanno tutti, di solito ne vengono proposte una ventina che non prende mai nessuno. Questo capita perché gli ingredienti che stanno in effetti bene sulla pizza sono limitati, e limitate sono le combinazioni efficaci di essi. Buone le acciughe, buono il prosciutto, meno buono prosciutto e acciughe. Eppure c’è sempre una sequenza di pizze strafarcite di tutti gli ingredienti più assurdi, con nomi fantasiosi spesso derivati dalla pizzeria, dal pizzaiolo o dalla sua fidanzata. Il divertimento, in questo caso, sta nel leggere con passione le invenzioni dello chef di turno, per poi deriderlo e prendere una margherita. “Ehi, guarda, c’è la pizza cinese, con pollo, peperoni e ananas! Dai, prendiamola!” “Tu sei scemo. Per me una quattro formaggi rossa.”
- dopo aver tenuto aperto il menù per mezzora, fino a quando l’amico più prepotente ed affamato non ve lo abbia sottratto di mano, e aver declamato ad alta voce la vostra scelta (“Io prenderò una prosciutto e funghi” “E chi se ne frega!”), cambiate idea all’ultimo momento. Le espressioni basite dei vostri compagni di pizza saranno impagabili (veramente di solito nessuno se ne accorge, ma è divertente pensare che sia una bella gag).
- un tocco di classe è ordinare un calzone pronunziandolo “cazzone”, immaginando che il cameriere faccia una faccia stupita. Di solito non la fa, probabilmente è abituato ad avere a che fare con gli imbecilli.
- mangiate la pizza in modo buffo. Tagliarla a fette e mangiarla con le posate o le mani di per sé non reca allegria, quindi siate creativi. Potete iniziare con l’ustionarvi col formaggio bollente (meglio, fatelo fare allo zimbello della compagnia). O mangiare prima tutta la crosta e poi andare verso l’interno (tecnica “lo squalo” di Moreno R.). Ancora, potete scartare le croste salvo poi mangiarle per ultime perché avete troppa fame. Infine, assai spassoso è chiedere la pizza con un certo ingrediente per poi scartarlo (visto fare: prende la pizza al salmone e poi scarta amorosamente tutti i pezzettini di salmone).
- al momento del dolce, ridete forte quando il cameriere declamarà a macchinetta i soliti dolci che hanno tutte le pizzerie (“tartufobianco tartufonero tiramisu profiterol meringata pannacotta”). Poi fate la faccia delusa, ma prendete lo stesso qualcosa. Il vostro cameriere ne sarà umiliato.
- il caffè è facoltativo, mentre non potete esimervi dal chiedere un ammazzacaffè. Alla richiesta di quali amari hanno, il cameriere risponderà sbrigativamente “tutti”. Dopo aver provato i vostri preferiti, che non avranno, e aver tentato di ripiegare sui più comuni Averna, Ramazzotti, Jagermeister, Braulio, anch’essi non disponibili, rinunzierete chiedendovi che cacchio di amari hanno e passerete al limoncello. Il divertimento qui è soprattutto del cameriere (che finalmente può vendicarsi), ma è comunque uno spasso vedere la faccia demoniaca che fa quando vi porterà la fetente brodaglia gialla.
- al momento del conto sarete esausti e non tenterete più gag, anche perché c’è poco da ridere quando si paga. Potete però vendicarvi del conto prendendo un biglietto da visita del locale. Il proprietario crederà che vi siete trovati così bene da voler consigliare il locale a tutti gli amici. Lo spasso sta nell’ingannare il pover’uomo.
Ed eccovi fuori, pasciuti e pronti ad una serata in compagnia. Ma guardandovi negli occhi sapete già la verità: il meglio è già passato e nulla potrà essere divertente come una cena in pizzeria…se si applicano le tecniche giuste.
Questa credo se la siano chiesta un po’ tutti.
Chi diavolo ha avuto l’idea di coniare, e poi di perpetrare, la voce di Paperino e con quale scopo? Non solo è incomprensibile, ma non è nemmeno buffa!
(un post pieno di acredine)
Massimiliano il Bergamasco veniva da Bergamo, ed è stato un mio pseudo-amico di tanti anni fa che ha lasciato il segno. Da allora, infatti, quando sento "bergamasco" penso subito a "imbecille spudorato approfittatore". Non son mai stato a Bergamo (e d’ora in avanti credo sia meglio che me ne tenga alla larga!) ma ho conosciuto diverse brave persone da lì provenienti. Tuttavia, questo non ha mitigato un granché il mio pregiudizio e sogghigno sempre quando sento parlare della lombarda città. Ma veniamo a Massimiliano.
La mia casa di Alassio è una villetta situata in collina, quindi non ho mai avuto veri e propri "vicini". Tuttavia, esistono alcune persone la cui casa è sufficientemente prossima alla mia perché sia raggiungibile a piedi. Tra di esse, spiccava Massimiliano il Bergamasco: era un bimbo mio coetaneo la cui famiglia aveva una casa delle vacanze in zona, e lo frequentavo all’età di sette-otto anni.
A volte andavo da Massimiliano il Bergamasco. In tal caso, c’era una sola attività possibile: andare avanti e indietro con la sua motoretta. Massimiliano il Bergamasco, infatti, come tutti i migliori bimbi viziati, aveva una micromotoretta con motore a scoppio, e, caricatomi dietro di lui, scorrazzava lieto e beota tutto il giorno, salendo e scendendo da una salita lunga cinquanta metri o giù di lì all’interno del suo ampio giardino. Io mi spaccavo i marroni ma non osavo dire nulla, lui era contento e ciò mi bastava.
A volte Massimiliano il Bergamasco veniva a casa mia e giuocavamo coi miei giocattoli. "Miei" non per molto, perché quel bambino aveva l’abitudine di chiedermeli in regalo. "Che bello il tuo Baron Karza, me lo regali?" "Certo!" (a scuola dalle suore mi avevano insegnato a condividere i miei averi con gli altri, persino coi bergamaschi). Una volta, il figuro aveva preteso in dono qualcosa di più rilevante. Persino io ho avuto un dubbio e ho chiesto il permesso a mia mamma. Ella, ovviamente, non solo lo ha negato, ma si è arrabbiata alquanto e mi ha ordinato di chiedere indietro tutti i miei balocchi a Massimiliano il Bergamasco. Non ricordo con precisione come sia finita, ma mi pare di ricordare vagamente che lui avesse ribattuto "roba regalata, mai più ridata" e che mia mamma fosse andata a protestare direttamente con la sua. In fondo, si trattava di una via di mezzo tra appropriazione indebita e circonvenzione di incapace.
L’ultima volta che ho visto Massimiliano il Bergamasco avevo la rosolia. Me lo son visto spuntare e mi ha chiesto "È vero che hai la rosolia?". Ottenuta la conferma, è scappato via senza salutare, e non è più ricomparso nella mia vita. Forse teme che io sia ancora contagioso.
Teorema del Sestuplo Brandy: Se A è uguale a B e B è uguale a C, allora A è uguale a 2,03. Questo è il teorema enunciato dal celebre matematico Carl Friedrich Gauss nel 1803 dopo che si era preso una poderosa sbronza nella peggiore bettola di Gottinga. A chi gli chiedeva una dimostrazione, Gauss rispondeva con la Formula delle Noccioline, secondo la quale A = C-B + 2,03, da cui A = 2,03.
Mollichones: genere di cinema pornografico diffuso in Spagna e Portogallo, con qualche ramificazione in America Latina. I film appartenenti a questo filone seguono le gesta di avvenenti e disinibite signorine alle prese con uomini microdotati e con problemi erettili. Le trame, che si dipanano di solito con un andamento standard, si concludono sempre con un nulla di fatto e la conseguente umiliazione del protagonista maschile.
Via Teroldego a Castelletto di Branduzzo: questa strada è nota per essere l’unica via al mondo in salita in entrambi i sensi, dall’inizio alla fine. Ingegneri ed architetti di tutto il mondo hanno studiato il fenomeno, per poi concludere che si tratta solo di un effetto ottico: in realtà la via è in discesa in entrambi i sensi.
Quand’ero piccolo ero estremamente affascinato dalle istruzioni che campeggiavano su ogni confezione di shampoo (da leggere rigorosamente sciampo, mi raccomando). Esse più o meno erano tutte uguali e recitavano:
– applicare lo shampoo sui capelli
– massaggiare delicatamente il cuoio capelluto
– risciacquare
– ripetere
Tre domande sorgono spontanee (o quasi):
Primo, c’è davvero qualcuno così imbecille da aver bisogno di istruzioni per usare lo shampoo?
Secondo, ma davvero bisogna fare due applicazioni? Mi sento uno zozzone, ma io mi limito quasi sempre ad un singolo shampoo (d’altronde, mi lavo i capelli quotidianamente). E’ una semplice strategia per far consumare più prodotto del necessario?
Terzo e più importante. Io ho imparato a programmare i computer a otto anni o giù di lì. Non che fossi un bimbo prodigio, ma avevo già ben chiaro il principio di algoritmo e le istruzioni Basic principali. Quindi, per me le istruzioni si traducevano in 10 Applicare 20 Massaggio 30 Risciacquo 40 goto 10. Cioè: applico. Massaggio. Risciacquo. Ripeto! Applico. Massaggio. Risciacquo. Ripeto! Applico…
Ci sarà qualcuno che è andato in loop a lavarsi i capelli seguendo letteralmente le istruzioni?