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Misteri della vita LXIII: Carta igienica

Esistono due modi per montare un rotolo di carta igienica: facendo in modo che il nuovo strappo “cada” dall’alto (tecnica cascata) o facendo in modo che sbuchi dal basso (tecnica topolino). E’ anni che mi arrovello per capire se una delle due strategie abbia dei vantaggi rispetto all’altra, ma non ho trovato soluzioni. Mi limito ad usare la cascata perché mi soddisfa di più esteticamente.

Terrore in Prima A

Albenga, gennaio 1989
In prima liceo avevo una professoressa di latino molto, per così dire, umorale. Non che fosse puramente malvagia, ma a volte, quando aveva le balle girate, riusciva in atti di sgarbo che non mancavano di sorprendere tutti. Capitavano quindi, in modo imprevedibile, scene del genere:
– Prof, ci ha portato i compiti in classe?
– Li porto quando mi pare e piace! Non devo mica rendere conto a voi del mio lavoro!

Nelle vacanze di Natale l’insegnante in questione aveva dato come compito a casa un esercizio lunghissimo e molto noioso. Era costituito da una serie di decine e decine di termini della terza declinazione declinati in qualche caso, dei quali bisognava trovare il nominativo e indicarne il significato (ad esempio: corpore, nominativo corpus, significato corpo) Io, come spesso capitava, l’avevo fatto alla bell’e meglio; conoscendo i vari schemi ero andato un po’ a naso per trovare i nominativi, ma non mi era nemmeno passato per la testa di scartabellare il dizionario per trovare tutti i significati. E che palle!
Probabilmente il break di Natale 1988/89 non era andato bene per la professoressa, o forse viceversa le era andato troppo bene, fatto sta che al ritorno a scuola era incazzata come un’ape, e si sfogò nel modo più semplice: interrogando. Per primo chiamò il buon Ferrando. Già dall’inizio si capì che cercava la rissa, dal modo sgarbato in cui poneva domande, limtandosi a verificare se il compito a casa era stato effettivamente fatto. In particolare, inoltre, pretendeva i significati delle parole, cosa di cui non mi ero preoccupato. Dopo pochi minuti di agonia, mandò l’interrogato a posto con 4. Iniziai a sudare freddo: io non avevo ancora il voto del “secondo giro” ed ero uno splendido candidato! Chiamò invece Gravellone; il sollievo però fu solo momentaneo, perché Matteo durò lo spazio di un paio di termini e fu cacciato via con un bel 3. Era tempo di un’altra vittima.
Ricordo con precisione la scena. La prof scorreva il registro con le sue unghie lunghissime (la soprannominavamo, con scarsa fantasia, “Freddy Krueger”) con aria sadica e andava sempre più in basso, verso il fondo dell’elenco, dove, all’ultimo posto, stava “Ventimiglia”.
Non credo di aver avuto mai così paura in vita mia come in quei momenti. Ripensandoci, se fossi stato chiamato non sarebbe successo nulla di grave, avrei preso un votaccio e magari un’insufficienza in pagella nel primo quadrimestre. I miei si sarebbero arrabbiati un po’ e poi sarebbe finita lì. Eppure, ancora oggi, con quasi vent’anni in più sulle spalle, se ripenso allo sguardo arcigno della prof di latino mentre esaminava i nomi sul registro ho un brivido.
Come sarà chiaro, non fui chiamato, ma la sorte toccò a Tortora, immediatamente prima di me nell’elenco alfabetico. Sonia era preparata, se la cavò benino e la prof, più calma, quel giorno non interrogò più.

Epilogo:
La cosa non mi servì da lezione. Continuai a fare i compiti alla belin di cane, rendendo il minimo indispensabile. La vita non funziona come i romanzi.

Enciclopedia Stronza XVI: Lloughannapistin, Bartolese, Squalo della Groenlandia

Lloughannapistin: cittadina irlandese non lontana dalla costa occidentale, colpita nel corso del ventesimo secolo da una sfortunata congiuntura socio-economico-giuridica che l’ha resa un luogo invivibile.
Lloughannapistin è situata in una gola difficilmente accessibile, e a causa di questa caratterizzazione geografica è sempre stato un paese chiuso e fortemente ancorato alle tradizioni. Qualsiasi lloughannapistinese infatti non solo non andrebbe mai via dalla propria città natale, ma nemmeno si sognerebbe di fare un lavoro diverso da quello del proprio padre. Il figlio di un arrotino rimarrà tale, così come il discendente di un avvocato potrà svolgere solo professione di avvocatura. La chiusura ai forestieri inoltre è tale che chiunque non sia nato nella cittadina non può venire a risiedervi. Non esistono delle vere leggi a proposito, ma i pochi tentativi di immigrazione sono stati vanificati a colpi di patate marce.
In questo modo, Lloughannapistin è vissuta pacificamente per secoli, fino alla grande epidemia del 1923, quando una misteriosa malattia (chiamata febbre fetente) ha decimato la popolazione, colpendo in modo particolare i lavoratori. Fra i pochi professionisti sopravvissuti, sono rimasti quasi solo coltivatori e venditori di miglio (cereale che, probabilmente, forniva una sorta di immunità alla febbre fetente). Da oltre 80 anni, quindi, l’unico cibo
reperibile è il miglio, e la fornitura di servizi di qualsiasi tipo è assente. Ne è conseguita una forte inflazione interna: al mercato nero, un rocchetto di spago può venire a costare diciotto tonnellate di miglio.

Bartolese: tecnica di coltivazione in uso nel Friuli rinascimentale. Durante la prima domenica di marzo, una vergine vestita di veli (detta la Bartola) veniva bersagliata dai villici con zolle di terra e semi di grano mentre danzava nei campi da coltivare. Il bartolese non si usa più perché ovviamente non funziona.

Squalo della Groenlandia: lo squalo della Groenlandia (Somniosus microcephalus) è un pesce noto per le sue vicissitudini oculari. Tutti gli squali cacciano a vista, ma i membri di questa specie sono quasi ciechi poiché infestati da codepodi (una sottoclasse di crostacei), parassiti che si nutrono della pelle dei loro occhi. Gli squali ne hanno un beneficio poiché i codepodi sono bioluminosi, e i loro contorcimenti attirano le prede degli squali. In questo modo, la specie ha bisogno di avere gli occhi per nutrire i propri parassiti, i quali lo rendono cieco e a questo punto diventano indispensabili per permettere ad uno squalo inetto di cacciare. Un’ulteriore dimostrazione della complessità e della perfezione del Disegno Intelligente.

Annecy 2007 parte terza: Di bello e di brutto

Infine, caro il mio stremato pubblico, una piccola selezione delle cose che ho visto e che mi hanno colpito, nel bene e nel male (più nel bene, giusto per non essere troppo masochisti). Partiamo dai lungometraggi.

Khan Kluay di Kompin Kemgunird (Thailandia) : appunto, iniziamo con una cosa brutta (…vedi sopra) ma particolare. Khan khan.jpgKluay è la storia di un tenero elefantino, circondato da simpatici amici, che vuole diventare un Elefante da Guerra e massacrare più gente possibile. La sensibilità thailandese al tema è evidentemente diversa dalla nostra, tanto più che non si capisce chi siano i nemici, ma il cortocircuito con l’estetica disneyana è affascinante. Per il resto, il film fa cagare, da ogni punto di vista.

Aachi & Ssipak di Bum-Jin Joe (Corea del sud): film coreano ultracolorato, ultraviolento e ultraschizzato. Ai miei compagni di visione è piaciuto, io me ne sono andato dopo 20′; non so bene perché, ma ha toccato qualche corda che mi ha particolarmente disgustato.

Film Noir di D. Jud Jones e Risto Topaloski (Stati Uniti): questo film mi ha lasciato profonde ombre di dubbio. Come si puòfilmnoir.jpg presagire dal titolo è un film noir, un hard boiled, ambientato in una Los Angeles notturna, come da migliore tradizione. Quello che non si capisce è se la pioggia di stereotipi da noir sia voluta o meno: nemici con le pistole che mancano sempre, l’eroe che se le tromba un po’ tutte, amnesie, chirugia plastica, il detective privato con la segretaria innamorata e poi l’apoteosi, accolta con un’ovazione, dell’immancabile film snuff. Tecnicamente il film è peggio che scadente, ma la visione non mi ha annoiato. Tuttavia, non ho ancora capito se mi sia piaciuto o meno. In fondo, credo di no.

One night in one city di Jan Balej (Repubblica Ceca): un film est-europeo a pupazzi. Scene di disperazione di fronte agli incomprensibili, pallosissimi tre episodi. Quasi fantozziano.

Cortometraggi in concorso.

jeu.jpgJeu di Georges Schwizgebel (Svizzera): Schwizgebel è un buon sperimentatore di cortometraggi. Tipicamente le sue opere sono costruite con qualche sorta di carrello tridimensionale che esplora un mondo deformando le prospettive. Non lontanissimo dai principi del cubismo, in fondo. Di solito i suoi corti hanno un canovaccio narrativo, ma in questo caso si è lasciato andare ad una serie di immagini. Immaginifico, bello, fa venire il mal di mare.

isabelle.jpgIsabelle au bois dormant di Claude Cloutier (Canada): la parodia delle fiabe, da Shrek in poi, è diventata un tema piuttosto di moda, tanto che ormai è più facile vedere uno spoof di una favola che una favola stessa. Ebbene, Isabelle è una parodia di una fiaba, ma va citato perché è particolarmente divertente.

James Monde di Soandsau (Francia): il corto più deriso del festival. James Monde ti insegna a non gettare le pile usate per terra, altrimenti poi le margherite ti mangiano (così non rende: il messaggio era serio!) Metà del pubblico si è premurata di disseminare Annecy di pile usate.

Madame Tutli-Putli di Chris Lavis e Maciek Szczerbowski (Canada): tradizionalmente ci si prepara alle visioni dei tutliputli1.jpgcortometraggi per non essere presi alla sprovvista da opere potenzialmente pericolose, nel senso di “moleste alla visione”. In generale quest’ultime sono quelle di lunghezza superiore ai 10 minuti e provenienti da paesi a rischio (Cina, Polonia, Italia…) o muti, perché potenzialmente più noiosi. Inoltre la tecnica a pupazzi è, da esperienza, più a rischio di sfracellamento di marroni. Madame Tutli-Putli ricade quindi nella categoria “pericolosa”: lungo (17′), muto e a pupazzi. Ciononostante, è un gran bel corto. Una donna con un carico enorme di bagagli prende un enorme e velocissimo treno, nel quale, nonostante le sue precauzioni, i ladri le ruberanno le valigie. Appare chiaro presto che si tratta di una metafora della morte, narrata con gusto e con un’atmosfera inquietante per i silenzi contrapposti al rumore del treno.

gameover.jpgGame Over di PES (Stati Uniti): PES è noto per le sue animazioni degli oggetti più impensati (la sua opera più famosa è Roof sex). Questo corto manda in sollucchero i trentenni, ricostruendo videogiochi dei primordi (Pac-Man, Asteroids, Space Invaders…) con cibo e altri oggetti quotidiani: spassoso e accolto da un’ovazione.

Do It Yourself di Eric Ledune (Belgio): il premio UNICEF parla di bambini, ma se ci fosse un premio dedicato all’impegno civile in un senso più ampio, credo proprio che Do It Yourself sarebbe stato un ottimo candidato. Il narratore di questo corto legge brani da un manuale della CIA ad uso dei dittatori sudamericani che spiega metodologie di tortura, fisica e psicologica; quello che rende efficace il messaggio è che alla narrazione sono accompagnate immagini che, in un contesto differente, si sposerebbero correttamente a quanto si racconta. Ad esempio, nel brano che suggerisce di andare a prendere i prigionieri all’alba si accompagnano immagini di pesca. L’ho visto due volte, e la prima me lo sono dormito. Tutti possono sbagliare.

bernd.jpgBernd und sein Leben di Stephan Flint Muller e Ingo Schiller (Germania): il ritorno di Stephan Flint Muller, il pazzo amatissimo autore di Bow Tie Duty for Squareheads. Questo corto è più equilibrato, più animato, verrebbe da dire quasi più professionale e maturo, ma la vena di follia non è venuta meno. Non è un capolavoro, ma è comunque da vedere e da goderselo.

Qualcosa dal povero programma di Panorama:bees.jpg

The girl who swallowed bees di Paul McDermott (Australia) : pur essendo non proprio un buon lavoro. questo corto si fa notare con un’estetica che ricorda quella del primo Tim Burton, delle filastrocche per bambini con rime un po’ ingenue, storie un po’ dark che parlano di freak.

Laika 1957 di Khai-dong Luong e Bruno Bonhoure (Francia): grazie a Laika 1957, ora sappiamo che la cagnetta Laika è stata scelta per la sua missione perché è lei stessa che ha sempre voluto andare nello spazio (e poi morire lì di una morte orribile).

forecast.jpgForecast di Adriaan Lokman (Paesi Bassi): signore e signori, ecco il vincitore morale del premio “Corto molesto” per Annecy 2007. Va detto che quest’anno la selezione non è stata un granché foriera di cortometraggi noiosi, presuntuosi e odiosi, ma Forecast ha dato non poche soddisfazioni. L’autore, tra l’altro, è persino il vincitore di Annecy 2002 con Barcode, ma in questo caso ha ben pensato di proporre 9 minuti e mezzo di nuvole in brutta CG condite con musica fastidiosa. Quasi commovente nella sua fastidiosità.

Un paio di segnalazioni dalla televisione.

ruby.jpg Ruby Gloom “Unsung Hero” di Robin Budd (Canada): dell’unico programma TV che ho visto mi è piaciuto non poco l’episodio mostrato di questa serie, una sorta di famiglia Addams con protagonisti mostrini ragazzini in formato kawaii con non pochi riferimenti alla cultura “emo”. La puntata proiettata parlava di una partecipazione ad un festival rock in stile Lollappalooza da parte dei mostrini ragazzini in questione: carino, ma mi chiedo cosa un pubblico di pre-adolescenti (a naso il target di Ruby Gloom) possa conoscere del fenomeno dei festival rock degli anni ’90.

Allez raconte di Jean-Cristophe Roger (Francia): tratto dal fumetto del mio idolo Lewis Trondheim, è una serie tv di brevi episodi, ognuno dei quali racconta una favola come narrata da papà Trondheim ai suoi figlioletti. Lo spirito del fumetto è mantenuto e la parte grafica ispirata all’estrema sintesi di Parrondo è buona; le fiabe sono quindi assai poco tradizionali e tendenti al grottesco, ma ovviamente la qualità delle trovate del fumetto è superiore. Ciononostante, qualche sgignazzata per “Il paese delle caccole di naso” me la son fatta.

Per concludere, qualche parola sui film di scuola.

teleferic.jpgTelerific Voodoo di Paul Jadoul (Belgio): l’idea è buona: una civiltà cresce all’ombra di un conto alla rovescia di cui gli uomini sono consapevoli. Arrivati allo scadere dello “zero”, in un clima di suicidi di massa e isteria collettiva, non succede nulla e la vita continua. Qualche dubbio sulla realizzazione, ma Teleferic Voodoo ha colpito abbastanza. Musica techno spinta, realizzazione in 2d e 3d.

The cleaner di Dustin Rees (Svizzera): curiosa e tenera questa realizzazione elvetica, che racconta una serie di amori che nascono e muoiono mentre uno spazzino continua a fare il suo lavoro inconsapevole di quello che gli succede intorno.

Bob, Weiss, Eletvonal, Programme du jour: c’è un tema che è molto caro ai giovani animatori, tanto che ogni anno ci sono più corti che lo trattano: i pericoli dell’uniformità di pensiero e il tentativo di sfuggirne da parte di pochi individui illuminati. E’ probabile che chi decide di seguire una scuola di animazione in qualche abbia tendenze “alternative”, più o meno sincere, e quindi il tema viene abbastanza da sé. Bob è un buon lavoro, Eletnoval e Programme du jour sono meno interessanti e Weiss fa cagare.

All’anno prossimo, con un’edizione dedicata all’India. Gulp.

Le avventure di Kotekino nella Terra dei Musi Gialli: I cessi intelligenti

A grande richiesta (richiesta mia, almeno!) tornano i resoconti del nostro pelato amico in Giappone, questa volta alle prese con le più elementari necessità fisiologiche.

cimg0276.JPGEcco una dimostrazione esemplare del folle ingegno nipponico in grado di sconcertare l’occidentale medio: i cessi.
Innanzitutto il cesso è una stanza sempre separata dal bagno: essendo un popolo molto pulito, i simpatici ometti gialli passano gran parte della giornata a inzupparsi negli incantevoli bagni e, ovviamente, si rende necessaria la separazione (non sia mai che un’urgenza metta a rischio il rito del bagno).
Evabbè, differenze culturali: fin qui niente di strano. La vera follia riguarda la tazza: come si evince dall’esaustiva documentazione fotografica (per lo sconcerto di mia suocera che mi ha sorpreso a fotografarle il cesso) la tazza è gestita elettronicamente da un pannello di controllo piuttosto facile da interpretare anche per chi, come me, non ha dimestichezza con la scrittura giapponese; tramite questo si possono scatenare i seguenti eventi, tutti all’insegna del tipicamente nipponico “mai sporcarsi le mani quando non strettamente necessario”

– aprire e chiudere l’asse superiore e inferiore (pulsanti superiori)cimg0277.JPG
– attivare getto pulitore (pulsantone al centro): trattasi di getto d’acqua con tipilogia e violenza dello spruzzo selezionabili (manopola al centro e tastini alla sua destra)
– attivare getto d’aria calda (tastino a sinistra della manopola)
– interrompere qualunque operazione indesiderata (pulsantone a sinistra)
– un misterioso tasto con la figura di una fanciulla (pulsantone a destra) suggerisce che si possa effettuare un’ulteriore operazione di pulitura specifica per appartenenti al gentil sesso: purtroppo pavidamente non mi sono avventurato a provarlo.

A ciò si aggiunga che l’asse inferiore è tenuto sempre in temperatura (37 gradi circa) e, se si attiva il sensore, l’asse superiore si alza automaticamente quando qualcuno entra in bagno e si abbassa quando quel qualcuno ne esce.

cimg0278.JPGTra le finalità del suddetto cesso vi è anche quella di combattere la stitichezza tramite l’utilizzo del getto d’acqua (con una tipologia di spruzzo detta “massaggio”).
Aggiungo che, seppur riluttante, ho provato tutte le funzioni descritte e le ho trovate estremamente confortevoli e funzionali.

Ciò, però, non mi ha impedito di sconcertarmi.

Alla fiera dell’Est

Qualche volta da piccolo venivo trascinato dai grandi al mercato di paese. Non che la mia presenza fosse necessaria, ma evidentemente non sapevano dove ficcarmi e quindi mi portavano con loro alla ricerca di zucchine e scamorze. Io detestavo queste occasioni, mi infastidiva la folla, mi annoiavo e mi stancavo; l’unica magra consolazione erano le bancarelle di giocattoli, presenza curiosa ma costante dei mercati di provincia. Ogni volta che ne scorgevo una, mi attaccavo alla gonna della mamma e le chiedevo: “Mamma, mamma, mi compri un giocattolo?”. La mamma, spirito pratico che voleva solo comprare i pomodori e la mortadella, ricorreva ad un trucco assai diffuso tra le genitrici di tutto il mondo e mi rispondeva: “Più in là c’è un’altra bancarella più bella”. Ovviamente la reiterazione dell’escamotage portava al termine del mercato stesso e il povero bimbo rimaneva con le pive nel sacco.
Una volta, però, opposi un netto rifiuto alla tradizionale proposta di rimandare l’acquisto alla supposta bancarella migliore. Non ricordo se avessi capito il trucco o se ci fosse un gioco che volessi in modo particolarmente feroce, ma ruppi talmente i marroni che ottenni l’acquisto di un balocco. Non ricordo quale, ma non importa: io ero gaio.
La mia felicità, però fu incrinata assai presto. Pochi metri dopo, c’era una bancarella di giocattoli molto più bella.

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