Misteri della vita XCVII: Le anime tradotte
Questa credo che abbia una risposta sensata, ma una volta tanto più che essere pigro non so dove reperire le informazioni. Siate creativi!
Parliamo di cartoni animati (no, non “cinema di animazione”. Proprio di cartoni animati.) e precisamente dell’ondata di serie giapponesi arrivata in Italia tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, durante il regno delle tv private locali. Mi sono sempre chiesto chi traducesse i dialoghi di quelle serie, la cui versione italiana era, in generale, palesemente realizzata in fretta e in economia. Direi una delle tre:
- C’è stato un periodo di superlavoro per i traduttori italiani dal giapponese. Una serie di signori compìti che si dedicava all’approfondimento di Mishima o degli haiku medioevali all’improvviso ha dovuto confrontarsi con Pugni a razzo e orfanelli sfigati. Quest’ipotesi mi pare poco probabile ma è la più divertente.
- I giapponesi non sono poi così scemi, e vendevano i propri prodotti già tradotti magari non in italiano, ma in una lingua più umana come potrebbe essere l’inglese, il francese o il tedesco. La mediocre qualità generale dei dialoghi potrebbe derivare da questo doppio passaggio. Questo caso è praticamente sicuro nei casi di serie arrivate da altri paesi europei, come per Goldrake giunto dalla Francia, ma in tal caso il problema si sposta oltralpe.
- I dialoghi venivano inventati. Magari i musi gialli fornivano un riassunto in lingua umana di ogni puntata, ma era qualche sagace dialoghista a far quadrare tutto mettendo in bocca ai personaggi quello che gli sembrava più coerente.
…Oppure c’è qualche altra possibilità che non ho contemplate. Beh, lavorate! Devo mica fare tutto io, qua?
33 Comments »
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Forse, in realtà, la lingua d’origine dei cartoni giapponesi ERA PROPRIO l’italiano! Ecco perchè voci buffe e dialoghi non coerenti, che vuoi farci, dopotutto non era la loro lingua madre… Poi i cartoni venivano ri-tradotti in lingua patria, per creare l’effetto comico delle doppie traduzioni! :)
Comment di Tripplo • 21 Aprile 2009 16:10
Non dimentichiamoci che stiamo parlando dei giapponesi. Potrebbe pure essere che hanno prodotto i loro cartoni in tutte le lingue commercialmente utili, adattando i movimenti delle labbra di volta in volta, il tutto andando a lavorare con 47°C di febbre, rinunciando alle ferie, allo stipendio, alle ore inutilmente utilizzate da noi scansafatiche per dormire.
I dialoghi sono buffi perché loro sono buffi e dialogano davvero così, quindi dal punto di vista nipponico si tratta di trasposizioni perfette.
Comment di serir • 21 Aprile 2009 16:34
Secondo me e` un incrocio tra la prima e la terza…
I traduttori venivano forniti di sinossi e di simpatica frasetta “e gia` che ci sei, vedi se si riescono a ricostruire i dialoghi”
Questi annegavano lo sconforto nel sake`, ma poi, in un rigurgito di professionalita`, si mettevano al lavoro producendo i risultati che ben conosciamo!
Comment di Botty • 21 Aprile 2009 18:38
Giappone? Non esiste il Giappone! Non esistono gli anni ’70! I cartoni sono arrivati tutti dopo il 1984 ed erano tutti prodotti in America, in Inghilterra, in Italia, o a Fivelandia! Oliver Hutton, Mark Lenders, Licia, Johnny, Sabbrina, Tinetta, Marrabbio, Rina, Bulma e Vegeta sono forse nomi giapponesi? Siete dunque caduti tutti quanti vittime di un incantesimo dischiuso fra i petali del tempo?
Comment di MCP • 21 Aprile 2009 20:55
(sullo sfondo, quattro figure bianche e diafane si avvicinano
lentamente)
…
(camminano senza emettere suono
scorrono senza muovere passo)
..
(sentite i loro nomi portati del vento?)
(sono Hiroshi, Takashi, Tadashi e Takeshi)
.
(ehi, aspetta, c’e’ anche Sasuke!)
Comment di MCP • 21 Aprile 2009 21:05
magari i dialoghi erano già scemi in origine…
Comment di golosino • 22 Aprile 2009 09:49
provando ad essere seria ipotizzerei la seconda….. i testi di Mishima e della Yoshimoto pubblicati da Feltrinelli sono frutto di una doppia traduzione dal giapponese e dall’inglese. Però non mi risulta che altri paesi ed altre generazioni abbiano fatto dei cartoni animati giapponesi un culto come abbiamo fatto noi. E allora perchè li traducevano, magari in inglese? Prestazioni per pagamento di danni di guerra? Ma quanto potevano costare questi prodotti a Teletril o a Telearcobaleno?
Comment di sua sorella • 22 Aprile 2009 10:25
Va da sé, non l’ho specificato, che non c’è assoluta uniformità di qualità tra tutte le serie. Quelle passate per Canale 5, già nel periodo tardo, erano più curate, anzi, troppo, altre erano fatte più o meno bene. Sospetto ad esempio che i dialoghi di Dr. Slump fossero biecamente inventati, mentre, giusto per fare un esempio, una serie ricca di dialoghi come Candy Candy era troppo coerente perché non ci fosse un lavoro di traduzione dietro.
Golosino: giammai! i dialoghi dei cartoni sono genialissimi sempre e comunque. Anche in “Nino il mio amico ninja”.
Altra ipotesi: il giapponese e l’italiano sono la stessa lingua.
Comment di xx • 22 Aprile 2009 10:28
Appoggio l’ultima ipotesi di xx (giapponese = italiano): la prova e’ l’uso comune del “neh?” a fine frase da parte delle giapponesi di sesso femminile e da parte dei piemontesi di ambo i sessi.
Aspetto ovviamente commenti, insulti, missili a testata nucleare da un eventuale piemontese che leggera’ questo mio post
Comment di paolo • 22 Aprile 2009 11:22
Su questo posso rispondere con cognizione di causa.
Premessa: anche se non ve ne siete accorti abitiamo tutti in Giappone. C’è lo stesso clima, la stessa geomorfologia (fico, eh? E so anche “vituperare”), lo stesso sushi, gli stessi manga, gli stessi Hello Kitty addosso alle pornobimbe, gli stessi cialtroni a ogni angolo e le stesse città devastate dagli astromostri (è chiaro che la storia in Abruzzo sia solo una copertura di quelli che fanno le scie chimiche).
Quindi: ovviamente i cartoni animati non sono stati doppiati. Anche perché in realtà sono muti.
Certo, perché visto che siamo giapponesi comprendiamo ciò che avviene nei vari anime per osmosi e per risonanza nel DNA. La prova è che quelli sullo schermo muovono le labbra a casaccio, eppure noi siamo convinti di sentire delle parole – ma ci sono solo nelle nostre teste!
Se non ne siete convinti, pensate alle famose “sigle giapponesi”. Secondo voi, se non fossero puro frutto della nostra immaginazione, potrebbe mai esistere una lingua fatta di balbettii da poppante (“su-ka-to-ro, buk-ka-ke, gok-kun…”)? E la STESSA canzone, con lo STESSO montaggio, in TUTTE le puntate? Ma figuriamoci!
E ora fatemi andare ad abbattere un po’ di minidischi, che sono indietro col lavoro, va’…
Comment di Calogero Kabuto • 22 Aprile 2009 13:43
Altri punti a supporto della tesi di Kabuto:
– Mimi Miceli, pallavolista nipposicula
– sukatoro, chiaramente uno slogan nippojuventino
– il timangushi, giocattolo nippogenovese
Comment di MCP • 22 Aprile 2009 18:40
Paolo: sì, ricordo che era una cosa bufissima che avevo notato anch’io quando studiavo japponese: avendo molte zie piemontesi, conosco l’intercalare. Credo che usare “ano” come interiezione sia molto popolare ad Asti, oltre che a Oosaka.
Calogero: mi pare di aver capito che un corollario della tua teoria è che i cartoni animati sono la verità. Bene, presentatemi la mia Lamù o la mia Kyoko. Dai, mi accontento anche di Sakura. Botty, a te Sakurambo.
Comment di xx • 23 Aprile 2009 13:16
xx, sciocchino. E’ ovvio che i cartoni siano la verità, se no ti pare che andrei tutti i giorni a lavorare all’Istituto per l’Energia Fotoatomica su una Panda con i pugni a razzo al posto delle frecce e il divisorio dietro per tenerci il mio minipanda da compagnia? Certo, purtroppo è l’unico modo che ho per pagarmi gli impianti cyborg che mi permetteranno di vendicarmi dell’uomo che ha ucciso mio padre e ritrovare la mia mamma (che però credo sia proprio una che lavora giù al laboratorio 6 Bis sotto falsa identità… ma è ovvio, perché dopotutto è una demonessa buona dell’impero di Mu, e mica può dirlo a tutti). Sigh. Aspetta che mi ridimensiono l’occhio che mi è diventato gigante e asciugo lo spruzzo di sangue dal naso…
Ecco. Dicevo: certo che i cartoni sono la verità. E infatti come nei cartoni tu sei quello che Lamù e Kyoko non cagano manco di striscio: è per quello che non le incontri. Sakura invece è solo un orologio che vendono nelle televendite su Antenna 3 Lombardia, quindi ciò dimostra due cose:
* Ci vedi molto male, ed è per questo che non noti le ragazzine pornocyborg che abbondano ovunque;
* Desideri sessualmente un orologio, e questo è il tipico livello di depravazione da giapponese. Quod erat demonstrandum.
Io, comunque, ovviamente sono innamorato di una dea adolescente che mi è uscita dal computer ma per contratto devo stare almeno altri 14 anni a sognarla solo da lontano senza avere minimamente il coraggio di dirle ciao… del resto qui in Giappone la vita va normalmente così.
Comment di Calogero Kabuto • 23 Aprile 2009 13:40
Grazie XX, sei trooppo buono!! Pero` devo declinare… ;-)
E siccome oggi sono in vena di fare l’esigente e il particolare, vorrei sapere dove sono la mia Yuki Key, la mia Meeme o la mia Esmeralda? (ma posso accontentarmi anche di una Misato Katsuragi qualsiasi, anche se mi toccherebbe morire giovane!)
Comment di Botty • 23 Aprile 2009 15:23
allora già dovresti esse morto!!!
Comment di serir • 23 Aprile 2009 21:26
Sbarbatello irrispettoso!!
Comment di Botty • 24 Aprile 2009 09:36
Sarete tutti puniti dal Dio Ragno!
SDMF
Comment di Tripplo • 24 Aprile 2009 12:19
Ok, abbiamo concluso che non solo l’Italia è il Giappone, ma che la vita è un cartone animato, e viceversa.
Ciononostante, il Mistero rimane ancora clamorosamente “aperto”, e quella mucca ha l’aspetto sempre più bovino. Vergognatevi!
Comment di xx • 24 Aprile 2009 15:03
La risposta potrebbe essere: Tony Fusaro!
Comment di MCP • 24 Aprile 2009 22:31
Sua sorella: Nei primi anni ’80 il cambio era di 1 yen = 4 lire (e non e’ una battuta!) percui anche le piu’ misere tv regionali potevano permettersi di comprare cartoni giapponesi (per poi doppiarli al risparmio).
Quanto alle traduzioni, i giapponesi fornivano copioni inglesi molto approssimativi, percui l’adattatore italiano doveva spesse volte inventare. Ancora oggi alle tv forniscono copioni inglesi piuttosto lacunosi (ne ho prove dirette).
Comment di Garion • 2 Maggio 2009 23:56
Ragazzi, sulle facende orientali Garion rulez!
Comment di MCP • 3 Maggio 2009 23:55
Potrebbe essere giusto cambiare il bollino! :)
Comment di Botty • 4 Maggio 2009 16:39
Lo sapevo che Jean-Michel Garion avrebbe risolto, aspettavo solo lui!
Mistero dichiarato risolto!
(sarebbe bello vedere uno di quei copioni e reinventarne i dialoghi… Dai, Garion, tu che sei potente procuraci la prima puntata di Dr. Slump!)
Comment di xx • 5 Maggio 2009 08:55
Garion ha soltanto letto il blog prima di me, uffa!
E poi lo sapevi già anche tu, visto che sono sicurissimo che ne avevamo parlato anni fa. In quelle epoche dorate i giapponesi vendevano le serie un tanto al chilo e con atteggiamento più simile allo stereotipo dei napoletani che non a quello dei nipponici. Ergo, non passava per la testa a nessuno di far tradurre professionalmente qualcosa che appariva avere la stessa importanza culturale (sia da parte dell’acquirente che del compratore) di una caramella alla frutta. Ho conosciuto di persona un certo famoso doppiatore di quell’epoca, di cui evito di fare il nome perché magari un giorno lo rincontro, che si vanta pubblicamente di aver inventato di sana pianta tutte le battute di un certo famoso pilota di robot di quell’epoca.
Comment di Kumagoro • 5 Maggio 2009 16:42
(Non che le battute originali fossero in effetti tanto importanti, va detto).
Comment di Kumagoro • 5 Maggio 2009 16:43
Kuma: a proposito…
Hellenism! (pron: Ellamison!) Dark Science of Chaos! ;)
Comment di MCP • 5 Maggio 2009 22:33
Kuma: che l’approccio fosse molto, come dire, “approssimativo” è sempre stato ovvio, ma mi mancava il punto che chiedevo, cioè quale fosse il processo di traduzione. Risposta: copioni in inglese, adattamento rapido, e possibilità di improvvisare per i doppiatori più simpatici.
(comunque, in linea di massima, il senso delle trame veniva fuori. Questo non è più accaduto da quando sono arrivati gli adattatori di Mediaset di Valeri Manera col loro manualetto salva-bimbi)
MCP: che cavolo stai dicendo, Willis?
Comment di xx • 6 Maggio 2009 11:46
Non copione, sinossi. Non esisteva il copione inglese, Goldrake e compagnia non venivano esportati ad Anglofonopoli.
Le trame si capivano perché erano per lo più serie d’azione, molto grafiche. Con una serie romantica non si sarebbe potuto fare. E in seguito, nell’era Valeri Manera, c’è stata l’intenzione di cambiare certi dettagli, conoscendoli perfettamente.
Comment di Kumagoro • 6 Maggio 2009 23:54
MCP si sta bullando di avermi fatto, nella notte dei tempi, una consulenza sulla pronuncia inglese di un narratore di Alexander.
Comment di Kumagoro • 6 Maggio 2009 23:55
E di aver svelato il cristallino ragionamento degli angli o forse anglofo(n|b)i adattatori. Ora non ricordo se l’inglese da cui traducevamo era quello ufficiale, o se si trattava di una versione intermedia di lavorazione. In ogni caso, una cantonata davvero spettacolare.
(hellenism = scienza oscura, “infernismo” – l’avevate capito vero? Epperforza, c’e’ hell dentro!)
Comment di MCP • 7 Maggio 2009 01:43
Kuma: Garion però parla di copione, non di sinossi. In queste cose, io mi fido più di Garion che di te. :) E non è vero che erano tutte serie d’azione, che diamine! Mai sentito parlare di Candy Candy, di Lady Oscar, di tutte le serie del World Masterpiece Theatre?
Lo svarione di hellenism è parecchio gustoso, in effetti! L’ho sempre detto che i greci sono malvagi, altro che i belgi!
Comment di xx • 7 Maggio 2009 09:34
Io sto parlando delle serie comprate dalla RAI a fine anni Settanta (c’era anche Heidi, che non so come fu tradotta, ma era abbastanza semplice nelle dinamiche visive da lasciare spazio all’invenzione spudorata). Candy e Oscar sono serie arrivate con la seconda grande acquisizione di anime, avvenuta negli anni Ottanta da parte dei prodromi di quella che sarebbe diventata Fininvest. Qui è possibile che ci fossero anche copioni giapponesi a disposizione, per quanto ne so. In Goldrake e Mazinga no, solo sinossi generiche di poche righe a episodio, e lo so per voce di chi li adattava, dirigeva e doppiava. E che d’altro canto avrebbe inventato COMUNQUE (senza che nessuno se ne sarebbe lamentato, ed è questo il punto cruciale), anche in presenza di copioni giapponesi tradotti da esperti di lingua e cultura di fama universitaria internazionale.
Garion: quali sono le serie vendute OGGI direttamente alle televisioni con copione inglese? Mi sfugge questa cosa. Comunque per il tempo che ci ho lavorato io, cioè dalla fine degli anni Novanta in poi, i detentori dei diritti mandavano regolari copioni giapponesi completi, non c’era più altro sistema vigente, neanche presso strutture con sede europea come la Bandai/BEEZ.
Comment di Kumagoro • 8 Maggio 2009 00:35
Poi il fatto che con serie come Orange Road non si sarebbe potuto inventare (quasi) tutte le battute è in effetti opinabile: con un po’ di fantasia e l’infarinatura generale del soggetto tutto si può riscrivere in modo credibile. Ma le dinamiche dei riadattamenti italiani giunti a quel punto seguivano tutta un’altra filosofia, era questo il punto.
Comment di Kumagoro • 8 Maggio 2009 00:39