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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
L’angolo dell’igiene

Spinguinamento fresco fresco. Mi è capitato di pensare al processo che avviene quando ci si reca al cesso:

C’è un baco dal punto di vista igienico, e non è molto evidente. Voi siete svegli e l’avete già trovato, ma io ci sono arrivato solo oggi: sì, il rubinetto. Lo stesso rubinetto che hai toccato con le mani contaminate da un sacco di liquami (fai anche un po’ schifo, eh!) viene di nuovo toccato quando lo chiudi, quindi re-esponendoti a virus, batteri, microbi e pure bacilli. Forse, pensandoci adesso, è questa la ragione per cui diversi bagni pubblici usano le fotocellule o l’azionamento dell’acqua a “pedale” (io ero convinto che fosse un modo per evitare sprechi di acqua!), ma comunque sono ancora l’eccezione, non la regola.

Per concludere: non c’è speranza. Moriremo tutti di malattie orribili.

Misteri della vita IC: La fettina di culo

mvaperto.pngQuando qualcuno richiede un po’ troppo dalla gentilezza altrui si usa apostrofarlo con “E poi, vuoi anche una fettina di culo?”.  E’ una di quelle battute talmente logore che non appaiono più nemmeno battute, ma solo espressioni idiomatiche. Ma cosa significa “una fettina di culo”? Mi è stato suggerito che potrebbe richiamare il gesto di chi si taglia una fetta dalle proprie chiappe, perché donare la propria carne è il gesto di generosità suprema. A parte il fatto che mi fa un po’ schifino, mi pare comunque un concetto un po’ troppo contorto. Altra ipotesi è che sia un invito a portare una fettina di culatello, il più pregiato dei salumi, ma non ne sono convinto. Insomma, quando volete una fettina di culo, cosa volete?

(il primo che posta l’immagine della “fettina di culo” che girava tempo fa sarà stigmatizzato a vita!)

Il mistero della esse impura

Alassio, 1982

Era un giorno di terza elementare, e la maestra ci stava spiegando gli articoli determinativi. Il punto più spinoso della lezione, come potrete immaginare, era quando usare “il/i” rispetto a “lo/gli”.
-L’articolo “lo” e relativo plurale vanno utilizzati davanti a zeta, esse impura, gn e ps (*), asserì la pinguina con energia mentre scriveva alla lavagna.
-Suora, chiese Silvia, cosa significa “esse impura”?
-Adesso ve lo spiego, rispose Suor Maddalena mentre terminava di armeggiare coi gessetti.
Ma al momento di  dare l’agognata risposta a una classe che pendeva dalle sue labbra, ci fu un imprevisto. La maestra fu chiamata fuori dall’aula, lasciandoci con un cliffhanger che nemmeno i season finale di Friends.
L’aula rumoreggiò: il mistero della esse impura era ancora tale, e ventidue giovani menti reclamavano una risposta! Susanna si rivolse a me e mi chiese:
– Luca, (sottintendendo: tu che la sai lunga) tu sai cosa vuol dire?
– Credo di sì, risposi.
La classe era in attesa del mio vaticinio. Stavo per esporre la mia teoria quand’ecco che la maestra tornò e sciolse ogni dubbio. Meglio così.
Già, perché la mia ipotesi era sbagliata, ma testimoniava il fatto che fossi un tipo molto attento. Ero convinto che “s pura” e “s impura” corrispondessero a “s sorda” e “s sonora” (o viceversa). E, concedetemi, il fatto che avessi notato tutto da solo che a una lettera dell’alfabeto corrispondessero in effetti due suoni differenti era un’osservazione di tutto rispetto. Bravo, Luca. Peccato che la risposta fosse sbagliata.

(Sì, questo è particolarmente inconcludente, ma mi piace bullarmi di quanto io sia stato ganzo!)

(*) Sì, la maestra non citò “pn”. Infatti ancora oggi devo pensarci un attimo prima di dire “lo pneumatico” invece di “il pneumatico”.

Odia gli stupidi: Willy il Principe di Bel Air

Lo so, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa, ma la sigla di Willy, il Principe di Bel Air è talmente gustosa e idiota che non resisto alla tentazione di dedicarle un piccolo commentario. Classifico questo articolo come “Odia gli stupidi” giusto per rinfocolare un po’ l’argomento, ma in effetti non è una sigla classica, né per periodo temporale né per spirito. Sono certo che i bonari utenti di questo sito sapranno perdonarmi.

Una delle caratteristiche principali della sigla di Willy è la reinvenzione del linguaggio giovanile. E’ ben noto che non esiste una cosa come il  linguaggio dei giovani, ma piuttosto esistono un sacco di micro-linguaggi che cambiano in continuazione, si ispirano spesso alla tv e alle canzoni e si contaminano a vicenda. La sigla di Willy, opera di due tizi chiamati Rossella Izzo ed Edoardo Nevola (il quale canta e doppia persino il protagonista) orecchia alcune parole che dovrebbero suonare strane e originali; alcune sono desuete, altre azzeccate, altre ancora infine palesemente inventate. Per indicare queste espressioni ne conierò anch’io una, giovanilisticata, a sua volta una versione corrotta del matusa giovanilismo.

Non solo: ho scovato il testo originale della canzone e l’ho messo a confronto con quello tradotto. Come si poteva immaginare, gran parte del testo è tradotto quasi letteralmente, con l’eccezione delle giovanilisticate, ma qualche sorpresa comunque viene riservata.

Nel testo, nel seguito, ho indicato in rosso le parole giovanilistiche.

Questa è la maxi-storia di come la mia vita
è cambiata, capovolta, sottosopra sia finita
seduto su due piedi qui con te
ti parlerò di Willy, superfico di Bel Air

Now this is the story all about how
My life got flipped, turned upside down
And Id like to take a minute just sit right there
Ill tell you how I became the prince of a town called bel-air

maxi-storia: nessun giovane posteriore al 1950 ha mai usato “maxi” come prefisso trasgressivo. E’ roba da pubblicitari, da detersivo! E anzi, suona persino un po’ Jar-jar Binks, cosa che non augurerei al mio peggior nemico.
Superfico:  un po’ logoro, forse, ma nel complesso regge ancora.

Ho il legittimo dubbio che “seduto su due piedi” non sia un sagace calembour, ma proprio una stupidata. Se sei seduto, non sei due piedi! Cioè, magari poggi i piedi a terra, ma sei seduto sulle chiappe, perbacco! Al di là di questo la prima strofa mi piace. E’ sintetica e introduce l’argomento senza girarci troppo intorno.

La traduzione, come potete vedere, è quasi letterale, a parte i due piedi e le due giovanisticate.

Giocando a basket con gli amici sono cresciuto
me la sono spassata, wow che fissa ogni minuto
le mie toste giornate filavano così
tra un megatiro a canestro e un film di Spike Lee

In West Philadelfia born and raised
On the playground where I spent most of my days
Chilling out, maxing, relaxing all cool
And all shooting some b-ball outside of the school

Spassata: ok, “spassarsela” è talmente vecchio e radicato che probabilmente non è oggettivamente una giovanilisticata, ma ritengo che lo fosse nelle intenzioni dell’autore. Questo basta.
Fissa: qualcuno forse la usa (ma è da capire se per imitare questa sigla o meno), ma è rara e suona male.
Megatiro: di nuovo, il prefisso “mega”, sebbene non così pernacchiabile come “maxi”, suona male in bocca a chi dovrebbe essere all’avanguardia nell’uso delle parole.

La parte di Spike Lee forse è la mia preferita dell’intiera sigla, e come potete vedere non ce n’è traccia nella sigla originale.
-Ehi ragazzi, ci facciamo una bella partitina e poi ripassiamo “Fa’ la cosa giusta!”
-Oh, no, questa settimana l’abbiamo già visto quattro volte!
-Zitti! Siamo negri, abitiamo in un quartieraccio quindi dobbiamo vedere Spike Lee.

Nel testo in inglese, al di là della mancanza di Spike Lee, c’è qualche parola di slang (cosa significhi “to max” lo ignoro) e soprattutto si aggiunge l’indicazione del luogo dell’azione: West Philadelphia, che, da una rapida ricerca, non risulta essere un quartiere così terribile come viene dipinto nella sigla (e nella serie!).

Poi la mia palla lanciata un po’ più in su
andò proprio sulla testa di quei vichinghi laggiù
il più duro si imballò, fece una trottola di me
e la mia mamma preoccupata disse “Vattene a Bel Air”

When a couple of guys said were up in no good
Started making trouble in my neighbourhood
I got in one little fight and my mom got scared
And said youre moving with your aunte and uncle in bel-air

Vichinghi: questo è discreto. E’ inventatissimo, ma suona gradevolmente ironico chiamare “vichinghi” degli omaccioni di pelle scura.
Imballò: invece questa forse è la peggiore giovalinisticata della sigla. “Imballarsi” nel senso di arrabbiarsi non ha alcun senso. Nemmeno Teddy Bob approverebbe.

La traduzione perde una sfumatura: non si tratta semplicemente di una palla finita sulla zucca di certi vichinghi, ma piuttosto di un casus belli di una situzione già preoccupante di per sè per la presenza di normanni che non combinavano nulla di buono (e mangiavano cinghiale alla crema). In questo senso la reazione della mamma è un po’ più sensata.

L’ho pregata, scongiurata ma dallo zio vuole che vada
lei mi ha fatto le valigie e ha detto “Va’ per la tua strada”
dopo avermi dato un bacio e un biglietto per partire
con lo stereo nelle orecchie ho detto “Qua meglio sgommare

I begged and pleaded with her the other day
But she packed my suitcase and sent me on my way
She gave me a kissin and she gave me my ticket
I put my walkman on and said I might as well kick it

Da qui in poi le giovalinisticate scemano. Assistiamo solamente a parole usurate ed entrate nel lessico comune: sgommare, sballo, gasato, svitato. Sembra quasi che lo stesore del testo si sia arreso e abbia deciso di proseguire senza sforzarsi troppo. Curiosamente, anche la versione inglese, almeno in questa strofa, segue gli stessi binari, e non solo viene tradotta quasi letteralmente, ma anche il tono di “kick it” rispetto a “sgommare” è molto simile.

Non è però ben chiaro qua perché Willy non voglia andare a Bel Air. E’ vero che durante le sue toste giornate è stata una fissa ogni minuto, ma è anche stato reso una trottola da un vichingo (cioè, ha preso un sacco di botte!).  La risposta può essere una sola: attaccamento alle sue radici. Beh, vedremo che le cose cambieranno…

Prima classe, ma è uno sballo
spremute d’arancia in bicchieri di cristallo
se questa è la vita che fanno a Bel Air
per me, mh-mh, poi tanto male non è

First class, yo this is bad,
Drinking orange juice out of a champagne glass
Is this what the people of bel-air livin like,
Hmm this might be alright!

E poi Willy scopre che i ricchi vivono meglio dei poveri. Dice il Bardo: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Willy, di quante ne sognino i tuoi film di Spike Lee”. Gradevole il versetto nell’ultima frase per completare la metrica: d’altronde erano gli anni di “Trottolino amoroso dudu dadada”, forse era quasi una moda… arrivata persino in America, visto che il testo originale usa lo stesso stratagemma!

Le spremute d’arancia nel testo non sono state inventate in Italia, ma perché uno in prima classe dovrebbe bere qualcosa di sostanzialmente umile come una spremuta d’arancia? Forse per rimarcare il contrasto tra chi è cresciuto in un luogo umile e un ambiente ricco? Ma suvvia! Il topos è che l’arricchito accaparra tutte le cose costose senza badare al gusto.

Ho chiamato un taxi giallo col mio fischio collaudato
come in formula 1 mi sentivo gasato
una vita tutta nuova sta esplodendo per me
avanti a tutta forza portami a Bel Air

I whistled for a cab and when it came near the
Licensplate said fresh and had a dice in the mirror
If anything I could say that this cab was rare
But I thought now forget it, yo home to bel-air

Quindi Willy, anche se viveva in un quartieraccio, si spostava così spesso in taxi da avere un suo fischio collaudato. Scopriamo inoltre che i taxi gialli a Bel Air guidano come in Formula Uno, e che riempono di gas i propri clienti.

L’alzarsi del livello di stupidate di questa strofe coincide con la prima divergenza dal testo originale, totalmente primo di formule uno e fischi collaudati. In quest’ultimo si noti l’audace enjambement (“o inarcatura”) tra il primo e il secondo verso. Mi sfugge invece il significato dei dadi che pendono giù dallo specchietto: solo una nota di colore o significa qualcosa di preciso?

Oh che sventola di casa, mi sento già straricco
la vita di prima mi puzza di vecchio
guardate adesso gente in pista chi c’è
il principe Willy lo svitato di Bel Air.

I pulled up to a house about seven or eight
And I yelled to the cabby yo, home smell you later
Looked at my kingdom I was finally there
To settle my throne as the prince of bel-air

Willy è uno che ci tiene alle proprie radici. E’ bastata una spremuta d’arancio (benché in bicchiere di cristallo), una gita in taxi a 300 all’ora e la visione di una casa per tradire le sue origini e tutto ciò che rappresentano. Almeno, secondo i traduttori italiani: hanno avuto bisogno di creare una corrispondenza visiva a “smell you later” e quindi hanno deciso per la puzza di vecchio. Ma non preoccupatevi, l’autoproclamato principe Willy (ma principe de che?) rimane un outsider (“svitato”), e quindi ne combinerà di cotte e di crude regalandoci matte risate. Tutti i giorni, su Italia 1 alle 19, dopo Studio Aperto!

Sabato 3, Lunedì 5

Due giorni alla volta! Crepi l’avarizia!

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Sabato 3
Oggi zio Mario ci porta alla grotta del Diavolo.
E’ un leggendario posto in cui c’è una mano a sei dita che si crede che sia stata lasciata da un diavolo.

Lunedì 5
Oggi zio mario ci porta nel bosco, però devo fare attenzione! Ci sono le vipere! Comunque credo che sarà una bella passeggiata. Nel bosco c’è un altro pericolo: i rospi colla loro saliva.

Da quello che ricordo, questi nano-temini venivano redatti subito dopo pranzo, e a darmi una mano, non è difficile indovinarlo, era zio Mario. Il risultato è quindi questo ibrido di diario e di agenda: dichiaro cosa farò, ma poi non racconto in effetti com’è andata. Curiosamente, però, ricordo bene la gita alla fantomatica Grotta del Diavolo: rimasi assai deluso perché mi aspettavo una grotta piena di stalattiti, stalagmiti e smegmatiti, mentre invece era una semplice rientranza nella parete rocciosa. Quando all’impronta del Diavolo… beh, ci voleva molta fantasia per vedere un qualunque tipo di impronta su quella parete! Vedremo in seguito che la maestra non corresse con molta attenzione questo compito: ad esempio, qua io avrei fatto notare che evidentemente nella grotta non c’era una mano, ma l’impronta di una mano! Inoltre il posto non è leggendario, c’è davvero. Piuttosto, è foriero di leggende, ma forse andiamo troppo sul sottile per un bambino di 8 anni.

Domenica, riposo. Lunedì, altra gita nel bosco (non lo dico esplicitamente, ma ovviamente la GdD è nel bosco, nella salita che porta alla Bastia Soprana). Mario si scrive con la maiuscola, sciattona di una maestra. Il pericolo delle vipere non era così campato per aria: credo fosse l’anno prima, il 1981, quando la sorella di Nicola fu morsa da una vipera poco lontano da casa sua. Invece… quale fosse il pericolo dei rospi “colla” (non è bellissima quest’espressione desueta?) loro saliva mi sfugge tuttora. Forse non si voleva che leccassi i rospi allucinogeni? Mumble…

Misteri della vita XCVIII: Le rose cingalesi

mvaperto.pngCito dal mio (e di Golosino) capolavoro Daniela dei Tonni:

Non solo Massimo mi ha offerto il cinema, ma ha anche insistito per prendermi un panzerotto da Zio Zozzone (la friggitoria più famosa di Pizzopapero) e poi, non appena ha visto un cingalese che vendeva le rose, lo ha fermato e ha messo mano al portafogli. Ero rossa per l’imbarazzo e per la contentezza, mentre mi sceglieva una rosa dal mazzo. Ha voluto anche prendersi qualcosa per sé, dalla cesta di giocattolini che l’indiano aveva sottobraccio: un pupazzetto di Mike Bongiorno con la testa gigante che se tiri una cordina dice “Allegriaaa!!!”… a me sembrava uno schifo… ma non gliel’ho detto.
A questo punto c’è stato un piccolo momento di imbarazzo, perché con tutto quel che mi ha offerto Massimo poi non aveva abbastanza soldi per l’indiano ed il pupazzetto… ha cominciato a tirare fuori dalle tasche monetine da cinque, due e addirittura un centesimo per arrivare alla cifra giusta. Ha anche chiesto un piccolo sconto al cingalese che però, visibilmente scocciato, non ha voluto sentire discussioni e così gli ho prestato io 30 centesimi e tutto è andato a posto.

Daniela ha quattordici anni ed è al primo appuntamento della sua vita, Massimo ha la stessa età ed è nella stessa situazione, quindi la rosa dal cingalese magari ci sta. Ma al di là dei quattordicenni al primo appuntamento, chi compra quelle rosacce ai cingalesi (indiani, pakistani, malesi: non so perché quella macro-etnia abbia l’esclusiva, ma i cingalesi sono i miei preferiti)? Lo trovo un gesto talmente poco spontaneo che non riesco a immaginare come possa far piacere a una signora. Campano sulla gente che si arrende all’insistenza? La rottura di marroni è un business così remunerativo?

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