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Per prepararvi a questo inconcludentissimo aneddoto, si sappiano le seguenti informazioni su di me:

L’autobus: la mia casa ad Alassio è in collina, situata a un paio di chilometri abbondanti di salita dal centro città. C’è un autobus che, con frequenza oraria, percorre la strada e un’opportuna fermata che fa al caso mio (la cosiddetta “fermata della Liggia”). Fin dall’età di 7-8 anni io prendevo questo autobus da solo, in realtà senza essere stato addestrato in modo completo. Infatti, nessuno mi aveva mai detto che per scendere alla Liggia dovevo suonare il campanello o, come si usa in provincia, chiedere all’autista di fermarsi. Per lungo tempo, ho avuto la fortuna che qualcun altro scendesse alla stessa fermata.

Il “Voi”: da bimbo ero un avido lettore, ben più di adesso: un buon 2-3 ore al giorno le dedicavo a fumetti e libri, spesso rileggendo le stesse cose. Di conseguenza, buona parte della mia conoscenza del mondo derivava dalla parola scritta, cosa che a volte poteva generare attriti con la realtà. Ovviamente non pensavo che esistessero davvero Topolinia e Paperopoli, ma il fatto che conoscessi pochissime parolacce ne era una prima conseguenza. Un’altra era che ero convinto che usare il “voi” come forma cortese fosse normale e perfettamente lecito, esattamente come lo è nell’italiano scritto.

Ecco, ora avete elementi sufficienti per godervi l’aneddoto.
Un giorno ero salito sull’autobus per tornare a casa, gaio della mia indipendenza. Come avrete probabilmente intuito, quel giorno nessuno doveva scendere alla Liggia, e l’autobus tirò dritto. Io mi spaventai un pochino, ma alla fermata dopo, per fortuna un signore doveva smontare dal mezzo e la corriera si fermò.  Ne approfittai e ratto come la folgore scesi anch’io, e mi convinsi che fosse cambiata la mappa delle fermate. Poco male, pensavo, qui è leggermente più lontana ma non sarà la fine del mondo. In un moto di solidarietà, quindi, chiesi a quel signore: “Anche voi non sapevate che era cambiata la fermata?”. Lui mi guardò come si guarda un fessacchiotto e rispose, affrettandosi per la sua strada: “No, io dovevo scendere qua”. E l’aneddoto finisce qua.

4 Comments »

  1.  MonsterID Icon

    Sarebbe stato più bufo se, usando il plurale majestatis, ti avesse risposto: “No, noi dovevamo scendere qua”

    Comment di golosino • 11 Settembre 2009 21:12

  2.  MonsterID Icon

    *cri cri cri*

    Comment di Cementino • 15 Settembre 2009 15:57

  3.  MonsterID Icon

    Io invece non sapevo esattamente dove fosse la fermata dell’acquedotto per andare ad alassio. Insomma, c’era la fermata ufficiale ma poi l’autista faceva scendere sempre dopo in prossimità delle scalette per andare ad alassio così si evitava un pezzo di strada. Io non sapevo esattamente, quindi una volta mi alzai in prossimità delle scalette e dopo la fermata e l’autista mi chiese cosa volessi…..Siccome il buon gambera (il nome dell’autista, avrete capito che era una gestione a dir poco artigianale) mi voleva bene mi fece scendere lo stesso ma mi disse di dirglielo prima, per prepararsi. Quindi da qual momento in avanti la frase fu, in prossimità della fermata ufficiale, “mi fa scendere dalla scalette per favore?” Finchè gambera non andò in pensione (e io c’ero, all’ultima corsa!!) si scese dalle scalette evitando il pezzo di strada. Io avevo all’epoca 11 anni e giravo tutte le scalette e stradine di alassio…..la figlia di mia cugina ha 12 anni e non prende nemmeno l’autobus per salire da mia mamma da fermata a farmata…che gioventù bruciata!!

    Comment di sua sorella • 15 Settembre 2009 16:32

  4.  MonsterID Icon

    aneddoto di una particolare inconcludenza!

    Comment di Dave • 16 Settembre 2009 01:26

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