xxmiglia.com's
uFAQ
Scrivermi?
Categorie
Ricerca

Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Annecy 2012 parte II: Cortometraggi in concorso

Già dissi che uno dei mantra ricorrenti di chi commenta Annecy è “Quest’anno la selezione era in media buona, ma mancavano i corti di spessore”, cosa che sento ripetere da quando frequento il festival. Inizio a questo punto a chiedermi cosa diamine siano i corti di spessore. Beh, comunque quest’anno mancavano i corti di spessore, e la selezione è stata in media scarsina. Ragioni? Mah! Forse la fantomatica “crisi”, per la quale ci son meno soldi da spendere per una cosa squisitamente improduttiva dal punto di vista economico come i cortometraggi animati? Forse il fatto che il comitato di selezione, per la prima volta, era interno al festival e ha fatto un lavoro mediocre? O semplicemente un caso? Boh!
Ma vediamo cosa c’era di notevole, in un senso o nell’altro.

Iniziamo col vincitore del Cristallo di Annecy, che non ho ancora detto essere Tram di Michaela Pavlatova (Francia,a sinistra), una ritmatissima animazione sulle fantasie erotiche di una guidatrice di tram. Certo, “manca di spessore”, ma direi che sono stato contento di questo premio, è un lavoro divertente, stuzzicante e molto originale. Potete vederne un teaser qui. E’ stato invece ignorato completamente dai premi il buon Aalterate di Christobal de Oliveira (Francia, Olanda, a destra), una storia onirica molto avvolgente e interessante, in particolare per una scena in cui le parti animate aumentano progressivamente fino a comporre un mosaico astratto complesso e ipnotico. Certo, se non ce lo diceva nel riassunto capire che erano gli ultimi pensieri di una donna in coma era quasi impossibile caprilo, ma visto che è un’opera prima confido nelle prossime prove dell’amico Christoballo.

Il secondo premio è stato relativamente prevedibile, in quanto si tratta di un corto che facilmente piace alle giurie: Edmond était un âne di Franck Dion (Francia, Canada, a sinistra) racconta del classico omino sfigato che scopre la sua vera natura quando, per fargli uno scherzo, gli mettono delle orecchie d’asino. E’ una storia sulla propria natura e sull’autorealizzazione. A me gli asini sono un sacco simpatici, soprattutto se paragonati a quegli stronzi malvagi dei cavalli, ma riconosco che è un corto furbetto e poco seminale, ma tuttavia ben realizzato e, in ultima analisi, apprezzabile. Immancabile il corto molesto dell’anno. Senza dubbio, il vincitore è Some Actions Which Haven’t Been Defined Yet in the Revolution di Sun Xun (Cina). Le tecniche più astruse come (in questo caso) l’incisione su legno possono essere suggestive, ma portano quasi irrimediabilmente a opere noiose e farraginose. Chissà di cosa parlava questo corto, mi sono appisolato un minuto o due e poi mi son svegliato con un tizio che si masturbava in primo piano. E già che parliamo di molesti, c’era anche un corto sullo schermo di spilli, pardon, sul fottuto schermo di spilli: Le Grand Ailleurs et le petit ici di Michèle Lemieux (Canada) , che come suggerito dal titolo e come da tradizione del fottuto schermo di spilli, era du’ maroni così di seghe mentali autoriferite.

Per continuare sulla scia dei lungometraggi, c’è un corto coreano che parla di altra roba pesa, e cioè delle donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e usate come oggetti sessuali dai soldati giapponesi in Indonesia. Si chiama Herstory (a sinistra), è diretto da Jun-ki Kim ed è un buon lavoro, strutturato come un documentario con la voce fuori campo in prima persona di una donna coreana che ricorda. Forse un po’ fastidiosa la rappresentazione dei giapponesi esattamente come erano mostrati dalla propaganda americana dl tempo (denti sporgenti, occhiali, sgraziati e storti), ma la cosa è evidentemente voluta. Spasso coreano, insomma. Rimanendo in oriente, due corti giapponesi da segnalare: il primo è di nientepopodimenoché Katsuhiro Otomo, si intitola Hi-no youjin (a destra) e parla di pompieri nel giappone dell’antica Edo con una storia d’amore impossibile sullo sfondo. Dà l’idea di essere un’idea per un lungometraggio abortita, perché ha un sacco di spunti appena accennati e personaggi che, evidentemente, erano pensati per avere una storia e una personalità che rimangono appena in nuce. Il secondo è Tsukumu di Shuyei Morita, ed è una storia di fantasmi alla giapponese, con un tocco di umorismo, gran begli sfondi e un sacco di ombrelli.

Il premio del pubblico non lo condivido affatto, e infatti ho manifestato il mio disappunto non applaudendo durante la premiazione e incrociando le braccia. Si tratta di Second Hand di Isaac King (Canada), un classico apologo morale sulla frenesia della vita moderna vs. i vecchietti che vivono tranquilli e riciclano. Ah, i danni che ha fatto Frédérik Back e la sua fottuta sedia a dondolo! Più condivisibile il premio Canal+ (che poi so’ sacchi!) a Una furtiva lagrima di Carlo Vogele (Lussemburgo,a sinistra), divertente animazione di… pesci morti! Altri due film degni di nota e che accomuno solo io nella mia mente malata sono Sunny Afternoon di Thomas Renoldner (Austria, a destra) e Rossignols en décembre di Theodore Ushev (Canada). Li accomuno perché sono corti astratti ma figurativi (eh?!?) che si basano in qualche modo sulla musica, ma il primo è una presa per il culo sulle avanguardie, condita con un’appendice perché, come dice l’autore “di più è meglio”, il secondo una rutilante sequenza di immagini pittoriche con un fortissimo impatto visivo ed emotivo. L’austriaco è stato il mio vincitore morale, il canadese colui che avrebbe dovuto vincere qualcosa sul serio.

Altri due premi da citare: il terzo premio è andato a Seven minutes in the Warsaw ghetto di Johan Oettinger (Danimarca), premio a mio parere incomprensibile per la solita storia dei nazisti che fanno una cattiveria senza senso. Mah! Meglio il premio della giuria Junior a Historia d’este di Pascal Peréz (Spagna, a destra) , un piccolo filmino divertente su un tizio che beve un sacco di caffé, brandy e birra giustificandosi con se stesso. Non un capolavoro, ma la giuria junior deve premiare film simili non, come ha fatto in passato, film impegnati per darsi un tono. Concludo con qualche rapido cenno. Era molto atteso il nuovo Barry Purves, sicuramente il miglior animatore di pupazzi al mondo, con Tchaikovkij elegija (Russia, Bielorussia) ma ha piuttosto deluso: grandissima prova tecnica, ma un po’ arido. C’è un estone che fa l’estone, quindi con una storia surreale coloratissima e divertente a modo suo: Villa Antropoff di Vladimir Leschiov e Kaspar Jancis; c’è anche il nuovo Pes, che fa sempre la stessa cosa e questa volta fa il Fresh Guacamole.

Beh, dai, alla fine qualcosa di cui parlare c’era. Che mi fossi sbagliato?

Annecy 2012 parte I: Considerazioni generali e lungometraggi

Genova, sabato 2 giugno 2012.
Silvia, 5 anni: – Ma dove va lo zio Luca?
Miasorella: – Va a vedere i cartoni animati per una settimana intera.
Silvia: – Ma lo zio Luca è grande! Perché va a guardare i cartoni? E ci voglio andare anch’io!
Miasorella: – Chiamiamolo e diciamoglielo!

Spero proprio che tra qualche anno, quando Silvina sarà abbastanza grande, rimarrà così appassionata di cartoni animati da capire che i cartoni animati sono uno spasso enorme a qualunque età. E com’è andata quest’ anno? Beh, sinceramente, “benino“. Intendiamoci, mi sono divertito tantissimo come sempre, ho rivissuto in gran spolvero la Annecy Experience descritta l’anno scorso, ho visto un sacco di cose interessanti e ho espanso i miei orizzonti, ma oggettivamente il piatto forte del festival, il concorso di cortometraggi, è stato abbastanza scadente. Ma ci arriveremo con calma.

E’ stato l’ultimo anno della direzione artistica di Serge Bromberg. L’istrionico, polivalente, geniale comunicatore che ha lanciato il festival così com’è adesso si dedicherà ad altri progetti. Tenendo conto che l’anno prossimo il cuore del festival, il centro Bonlieu, sarà in ristrutturazione, è probabile che il 2013 porterà dei grossi cambiamenti. D’altronde, pensando a com’era il festival nel 2003, alla mia prima apparizione, e confrontandolo con quello di oggi si notano già non poche differenze: l’importanza data ai lungometraggi, che stanno pian piano soppiantando i corti, la perdita di valore delle rassegne, il comprimersi dei costi rinunciando a tanti frilli e, soprattutto, l’aumento di affluenza. Mai come quest’anno, in più occasioni, ho avuto l’impressione che il Festival di Cinema di Animazione di Annecy fosse vicino al collasso per l’affollamento.

Come da tradizione, ogni anno è dedicato a una nazione, e quest’anno è stato dedicato all’Irlanda. “Ma che animazione ha prodotto l’Irlanda?” chiederete voi. Eh, bravi. Poca roba e neanche molto interessante, infatti non ne ho visto proprio nulla. E, come l’anno scorso era successo per la Polonia, quest’anno c’è stata una nazione che è spiccata sulle altre per quantità di film proposti: la Corea del Sud. Quasi dieci anni fa, nel 2004, il festival era stato dedicato alla Corea, e ripensando alle pessime produzioni di quel periodo c’è da dire che hanno fatto davvero passi da gigante. C’è roba buona e meno buona, ma quello che colpisce è la varietà di temi e di toni dal punto di vista cinematografico, e, dal punto di vista dei contenuti, il ritratto spietato di una società che sembra disumana nella sua rigidezza, competitività e spietatezza. Viene spontaneo paragonare i coreani ai giapponesi: sono convinto che si tratta di due società simili, ma che i coreani siano molto più autocritici e spietati nei propri confronti (senza tralasciare il fatto che sei i coreani appaiono in un ottimo momento creativo,  il Giappone  è sempre più in crisi di idee). A sinistra, il bel manifesto del festival.

E parliamo subito di un ottimo lungometraggio coreano, fuori concorso: King of the pigs di Sang-oh Yeung. Uno scrittore fallito incontra un suo compagno delle medie, divenuto un manager, e insieme a lui ripercorre i ricordi della loro gioventù, soprattutto riguardo un loro compagno di scuola che avevano eletto come leader (appunto, il “king of pigs”) e  i drammatici eventi che ne seguirono.  Si tratta sostanzialmente di una storia di bullismo,  visto come specchio di una società in cui i forti e i ricchi prevaricano i  deboli e i poveri.  E, soprattutto, è una storia senza nessuna speranza, agghiacciante nella sua durezza: le scene nel presente dimostrano come il mondo fuori dalla scuola funzioni allo stesso modo del microcosmo scolastico, e il ricordo non porta nessun conforto. Forse la battuta chiave, pronunciata dal King of Pigs dopo aver picchiato un bullo, forse è proprio: “Ho una sola paura: che quando crescerete possiate guardare indietro a questo periodo e sorridere. Voglio che ricordiate solo terrore e dolore”.

Bene, vi siete depressi? Questo è solo l’inizio. Il vincitore del Cristallo di Annecy come miglior lungometraggio è stato Crulic – drumul spre dincolo, di Anca Damian, un film croato che parla della morte di un detenuto rumeno in Polonia dopo un prolungato sciopero della fame. Il tema è pesante, ma c’è dell’umorismo (nerissimo) ed è un film tecnicamente straordinario, ricchissimo di idee, di soluzioni visive, con un ritmo perfetto e testi eccellenti. L’animazione serve anche a questo: a trattare un tema del genere e renderlo fruibile; non riesco ad immaginarlo girato dal vivo. Ah, e si vedono alcune foto di Genova. Yeeee! L’ho visto un po’ dubbioso, mi sono ricreduto dopo due scene. Bellissimo.

Tristi? Rimaniao in tema e parliamo di Arrugas, film spagnolo di Ignacio Ferraras. vincitore del secondo premio. Si tratta di una storia d’amicizia tra anziani in una casa di riposo, tra l’isolamento dal mondo, l’attesa della morte e la minaccia dell’Alzheimer. E’ oggettivamente un bel film, triste ma senza essere patetico, e secondo me, nel lotto dei film di cui sto parlando, è uno dei pochi che forse potremo vedere in Italia.

Due rapidi cenni ad altri due coreani (almeno in parte). Coleur de peau: miel di Laurent Boileau e Jung Henin è una storia di adozione in Belgio di un bimbo coreano che, cresciuto, vorrà ritrovare le sue radici. E’ piaciuto in generale (ha vinto il premio del pubblico – cosa che mi ha sorpreso non poco), ma io non l’ho amato particolarmente, tanto che mi è scivolato via, lo sto dimenticando molto in fretta. Molto più duro e crudo è Eun-sil-yee (The Dearest) di Sun-Ah Kim e Se-hee Park: in un villaggio di campagna una ragazza ritardata è l’oggetto sessuale di diverse persone, muore di parto, e tutti cercano di ammazzare il suo bambino, mentre i servizi sociali e lo Stato sono assenti. Gasp. Al di là del tema, il film non è comunque un granché.

Ok, i più pesanti sono andati. Ronal the barbarian (di Thorbjorn Christofferesen e altri tre signori) è davvero un sacco divertente. Appare come una specie di Dragon Trainer (il vichingo/barbaro “sfigato” in un villaggio di superuomini), ma ha un sacco di riferimenti a un certo mondo gay, al sado/maso e all’iconografia heavy metal: balle volanti! Frustini! Amazzoni non-standard! Metallari ante-litteram! Demoni giganti e fiumi di sangue! Guardatevi un filmatino, dai. Corrisponde più o meno ai titoli di coda.  Si ride davvero tanto in questo film.

Un cenno breve a Tad the lost explorer, una parodia spagnola di Indiana Jones, abbastanza divertente e con alcuni comprimari azzeccati (dovrebbe essere distribuito anche in Italia, secondo il produttore esecutivo che ho conosciuto in coda), e a Le Tableau, una storia un po’ poco riuscita sui personaggi di un quadro alle prese col razzismo (ne ho dormito metà, a dire il vero!).

Infine, non ho visto anteprime, ma di Madagascar 3 ne facevo a meno e gli altri a naso ispiravano poco. Mi spiace però aver perduto Le jour de Corneilles di  Jean-Christophe Dessaint, di cui mi hanno poi detto un gran bene. Ne avevo il biglietto, ma l’ho scambiato per vedere stupri di ragazze ritardate. Sgrunt.

Pinguini in cucina VIII: Pasta del Compagnone

Innanzitutto: donne, pussate via. Oggi cuciniamo un piatto molto semplice, ma che si addice solo ai maschietti. I più sempliciotti potranno chiamarla “pasta con fave e piselli”, ma chiamarla Pasta del Compagnone fa più ridere perché, ora vi spiego, “fava” e “pisello” sono due modi per indicare il membro virile. Siccome solo i maschi lo posseggono,  e il compagnone è un maschio, ecco fatto il calembour.

Prepararsi
Nessuna donna in vista? Ottimo. Ora chiamate il vostro amico compagnone Pierdomenico, detto Gus (pronunciato all’inglese, chiamato così perché emette un sacco di gas) perché vi intrattenga e indossate il vostro grembiule con le donne nude sopra. Cucina virile, ricordate!
Raduniamo gli ingredienti per due persone. Se volete farlo  per una sola, dividete per due. Se non vi ricordate come si divide per due, ripetete la terza elementare.

Abbisognerete di:
– fave fresche, circa 600 g con la buccia
– piselli surgelati, circa 200 g (un attimo, perché le fave fresche e i piselli surgelati? Perché così vuole la tradizione. Vorrete mica cambiare la ricetta?)
– pasta corta, 200 g o anche un po’ di più, se avete fame. E, anche se vi verrà la tentazione visto il tema, non usate le minchiette. Son di cattivo gusto.
– olio extravergine di oliva
– un terzo di cipolla
– (facoltativo) qualche dadino di pancetta dolce, ma non troppa. Diciamo 30g.
– sale
– pepe. Usate quello da macinare al momento, è tutta un’altra cosa.
– grana/parmigiano

E l’attrezzatura:
– una padella col suo coperchio
– un cucchiaio di legno
– pentola + scolapasta
– coltello e tagliere

Cucinare
Avete preso tutta l’attrezzatura? Bene, mettetela da parte, perché prima bisogna sbucciare le fave. Sarebbe un lavoro noiosino, se non ci fosse Pierdomenico detto Gus per discutere di cose da uomini. Per iniziare parlerete di motori. Fate pure l’elenco delle macchine sportive che vi piacerebbe comprare, ma poi rilevate che consumano un sacco, e la benzina costa. Entrate pure nel dettaglio tecnico su particolari come il numero di cavalli o lo spazio di frenata. Tempo di arrivare a discutere della scelta dei pneumatici e vualà! le fave sono state sbucciate. Se siete un po’ schizzinosi, potete togliere lo strano più esterno delle fave più grosse, che risulta più duro, ma, guardatemi, non vi pare una cosa poco virile da fare?
Preparate ora il soffritto. Tagliate finemente la cipolla  sul tagliere, e mettetela nella padella con olio e, se vi va, con la pancetta. Fate appassire a fuoco lento la cipolla e la pancetta per qualche minuto girandola col cucchiaio (nel frattempo, se vi va, potete intrattenere Pierdomenico detto Gus dissertando sulla vostra marca di lamette da barba preferita), e poi aggiungete le fave e i piselli. Aggiungete un po’ d’acqua, salate, rimescolate, coprite, e aspettate che si cuociano. Ci vorrà una mezzoretta abbondante: ogni tanto controllate, rigirate e, se vi pare asciutta, aggiungete ancora acqua.

Durante la cottura E’ giunto il momento di parlare di figa con Pierdomenico detto Gus. Raccontate delle bocce della cameriera di quel pub e di tutto quello che le fareste. Esagerate pure un pochino. Proseguite raccontando qualche aneddoto di quella volta che avete rimorchiato una tedesca in spiaggia. Esagerate pure un pochino. Deviate poi sui particolari anatomici delle femmine che preferite. Qui avete abbastanza libertà, ma per essere virili dovete amare le tette grosse. Esagerate pure un pochino. Se, per qualche strana ragione, la conversazione sulla figa non riuscisse a occupare tutto il tempo, parlate di fucili da caccia.

Forse i legumi non sono ancora completamente cotti (assaggiate, non siate timidi! la timidezza non è da Veri Uomini), ma è comunque ora di mettere su la pasta. Sapete come fare, vero? Ne abbiamo già parlato, e poi non siete mica nati ieri. Siete uomini di mondo.
Cuocete per il tempo indicato sulla confezione della pasta. Avrete una decina di minuti di tempo da dedicare al calcio. Non avete ancora parlato di calcio! Che uomini siete? Prendete in giro bonariamente Pierdomenico detto Gus per le sconfitte della sua squadra del cuore, e offendetevi quando lui farà lo stesso. Litigate un po’, ma alla fine convenite entrambi che la Juve ruba e tornate amici.

La pasta è cotta, scolatela e versatela nella padella dei legumi. Rimescolate ben bene a fuoco alto, poi spegnetelo, aggiungete un filo di olio crudo e una spolverata di pepe. Servite in tavola e, se vi piace, aggiungete il formaggio grattato. Ora potete mangiare in santa pace e iniziare a parlare di smalti, borsette e peli superflui.

Bere, varianti e impatto anale
E’ un bel dilemma l’accompagnamento. Nonostante quel che dice Hannibal Lecter, io con le fave vedo meglio un bianco un po’ corposo rispetto a un Chianti. E’ però vero che il vino bianco è meno mascolino del rosso, quindi, ok, andate di Chianti. Niente fegato umano, però, se possibile.
Le varianti possibili sono diverse. Innanzitutto, se togliete la pancetta e il formaggio, viene un piatto vegano. Ma essere vegani è l’antitesi della virilità, quindi, se non vi piace il formaggio sulla pasta e non avete pancetta, come minimo metteteci un po’ di burro. Una variante molto popolare è combinare con fave e piselli anche i carciofi:  la preparazione qui però si complica un po’, e si sa che la cucina complicata è roba da donnicciuole. Infine, molti trovano che il prezzemolo si sposi benissimo con fave & piselli, ma, secondo me, sta poco bene col pepe, e il pepe è da Uomini Veri. Se volete perdere qualche punto-uomo, quindi, potete sostituire il pepe col prezzemolo.
L’impatto anale è abbastanza basso, si digerisce facilmente ma siccome si tratta di legumi, il vostro amico Pierdomenico detto Gus potrà tener fede al suo nome. E i peti, ricordiamolo, sono cose da uomini.

Spinguinamenti baltici

L’ultima volta che son stato in Russia, sulla via dell’andata ho fatto scalo a Riga. Ho ridacchiato per un’oretta per la rima, poi mi sono avviato al controllo passaporti, dove un solerte funzionario mi ha tenuto per un bel po’. Mi son cagato un po’ addosso, perché ha controllato il mio passaporto per parecchio tempo con una lente d’ingrandimento cercando qualcosa che non andasse. Ero preoccupato, perché se il tizio della dogana lettone ti dice che il tuo passaporto non è buono (e ovviamente era validissimo), hai voglia trovare qualcuno per far valere le tue ragioni! A un certo punto mi ha chiesto in un inglese stentato se avevo un altro documento. Io, sorpreso, ho preso la mia carta d’identità italiana e gliel’ho data. L’ha controllata, ha rimuginato ancora un po’ e alla fine, con aria un po’ scazzata, mi ha fatto passare.

La settimana scorsa (quindi due mesi dopo!), mentre correvo, ho realizzato all’improvviso che voleva dei soldi, e si aspettava che nel secondo documento ci fosse dentro la mancia.

Luca XX, impermeabile alla corruzione, ma perché non ci arriva.

Suor Pierantida

Oggi, guardando i titoli di Repubblica.it, ho letto il nome “Aston Villa“, che ha scatenato (direi proustianamente) il ricordo di un micro-aneddoto.

Siamo alle elementari, è il 1983, la mia maestra Suor Maddalena è assente e c’è la sua supplente. Quest’ultima, scocciata dalle troppo numerose richieste di andare in bagno e cercando di convincerci a tenerla un po’ di più, argomenta: “Se vi fosse scappata la pipì ieri sera, durante la partita…”  e viene interrotta da un boato della classe che si mette a festeggiare la vittoria della Juventus sull’Aston Villa. Mike M., in particolare, si alza in piedi sul banco e si mette a gridare ripetendo “Juventus tre! Aston Villa uno!”. Nel frattempo la supplente, pentita del suo exploit, cerca di calmare la classe, che, anche se è  dimentica delle proprie necessità fisiologiche, è totalmente fuori controllo. Io ignoravo che la sera precedente ci fosse stata una partita.

Questa supplente si chiamava Suor Pierantida. Ricordo solo di lei questo aneddoto e il fatto che fosse molto più noiosa di Suor Maddalena. Stamane, ricordando questo aneddoto, mi son chiesto: “Ma che diamine di nome è Pierantida?”. Da una ricerca su Google risulta un solo hit, corrispondente però a una suora. Non ho mai visto scritto questo nome quindi potrei averlo inteso male. ‘nzomma, come diamine si chiamava questa suora?

Le regole delle preghiere secondo il piccolo Luca

Luca, otto anni, va a scuola dalle suore, è comunicato, va a messa, si confessa e zia Adelina gli ha insegnato a dire le preghierine. Egli esegue, ma, tuttavia, è una persona precisa, e ci tiene a stabilire alcune regole ed accorgimenti molto mirati.

1) Le preghiere valgono solo se dette in “modalità preghiera”. La modalità preghiera viene attivata col segno della croce (nelnomedelpadredelfigliedellospiritosantoamen) e chiusa nello stesso modo. Se uno si dimentica di chiudere la modalità preghiera, rischia di passare tutto il suo tempo così, e poi chiuderla la volta successiva quando crede di riaprirla. Non è ben chiaro che succede se uno vive in modalità preghiera, ma quel che è certo è che le preghiere dette al di fuori della modalità apposita non valgono.

2) Le preghiere vanno dette di sera prima di dormire. Nei seguenti giorni speciali vanno dette anche al mattino, appena svegli: Natale, Pasqua, e compleanno.

3) Le preghiere vanno sussurrate. Non solo pensate, ma nemmeno declamate ad alta voce. Muovere solo le labbra può essere sufficiente.

4) Le preghiere da dire sono le seguenti, in quest’ordine: Ave Maria, Padre Nostro, Atto di dolore, L’eterno riposo, Angelo di Dio. In caso uno abbia visto un film di paura, è concesso dire più volte l’Angelo di Dio (per essere più protetti da quello scansafatiche) o l’Eterno Riposo (ma solo se il film di paura riguarda fantasmi, vampiri, zombi o gente morta in qualche modo che bisogna tenere buona)

5) Dimenticarsi di dire le preghiere è come dimenticarsi di lavarsi i denti: non serve a niente recuperare il giorno dopo, ormai la frittata è fatta. Probabilmente se una sera scordi uno dei due ti fai qualche secolo di purgatorio, ma se son tutte e due…beh, c’è Belzebù col forcone che ti aspetta!

Completo la trattazione con un micro-aneddoto inconcludente in tema.

Il piccolo Luca racconta la seguente barzelletta:

– Qual è la barzelletta preferita da Andreotti, attuale presidente del consiglio dei ministri?”

– Non sappiamo qual è la barzelletta preferita da Andreotti, attuale presidente del consiglio dei ministri, Luca. Diccelo tu –  risponde il parentame.

– E’ l’Angelo di Dio, perché dice “Reggi il governo a me”.

Risate educate del parentame. Spiegazione:  io avevo capito “Reggi il governo a me”  invece di “Reggi e governa me”, e mi pareva si adattasse ad Andreotti. Il che era anche vero, ma mi sfuggiva perché invece dovesse riguardare me, che non ero presidente del consiglio dei ministri (se non a mia insaputa, almeno).

« PrimaDopo »