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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Dieci trucchi per cavarsela nelle sit-com americane

1) Sii nero. E’ divertente.
2) Sposati senza timori, dopo vent’anni di matrimonio è normale essere innamorati come il primo giorno.
3) Se sei una ragazza adolescente, puoi scegliere se essere bella e scema oppure una secchiona apparentemente brutta ma in realtà ricca di sensualità nascosta. Non hai altre possibilità.
4) Se sei un ragazzo teenager, devi essere uno scavezzacollo. Non hai altre possibilità.
5) Tre figli è proprio il minimo. Rassegnati.
6) Un progetto di scienze che non sia un modello di un vulcano o del sistema solare è il miglior coronamento di una carriera scolastica.
7) Ai genitori si dice tutto. Intanto, se non glielo dici lo scoprono.
8) Dato che l’unica punizione possibile è farsi rinchiudere in casa, premurati di avere un albero davanti alla finestra per poter uscire.
9) E’ una buona idea avere degli amici con nomi assurdi tipo Scarafaggio, Stinky, Six o Potsie. I loro fallimenti faranno rifulgere i tuoi successi.
10) La cosa più importante: dopo aver detto una battuta, fai una pausa rimanendo immobile. La gente deve avere il tempo di capirla e di ridere

Pierino colpisce ancora: un’analisi semiseria

Mi piace il cinema di genere italiano d’annata, quello che viene anche chiamato “cult” o “trash”. Non sono solo ragioni sentimentali, è che trovo che i film prodotti nel decennio dal 1974 al 1984 circa abbiano in media una dignità e un mestiere che sono rari nel cinema italiano odierno. Attori incapaci come Stefano Accorsi, per dire, non avrebbero trovato posto in un poliziottesco di Umberto Lenzi o una commediaccia con Edwige Fenech.

Pierino colpisce ancora, datato 1982, è uno degli ultimi film di questa gloriosa stagione. Intepretato da Alvaro Vitali per la regia di Mariano Girolami, presenta un soggetto ridotto all’osso che è apparentemente una sequenza di gag, tanto che è stato definito come “film barzelletta”. Infatti, molte delle scene che compongono l’opera sono a me note come barzellette: non so dire se lo fossero anche in precedenza o se in seguito siano assurte a questa dignità, ma a questo punto non è molto rilevante.

Questa struttura pare una negazione del cinema, la cui essenza, al di là degli sperimentalismi, è di raccontare una storia. E se la storia è riassumibile in “Pierino combina guai, Pierino viene spedito in collegio, Pierino torna e combina altri guai”, c’è da essere perplessi sulla dignità di film per produzioni del genere. In realtà si tratta di un giudizio affrettato e superficiale: osservando con attenzione, si possono notare diversi elementi a dir poco interessanti.

 

Ad esempio, esaminiamo il rapporto di Pierino con la scuola. L’istruzione non fa per Pierino, ma non è tutta colpa sua. Agli esami gli vengono rivolte domande oggettivamente stupide. Le sue risposte sono in alcuni casi di insofferenza sarcastica di fronte al più gretto nozionismo:
-Quando è morto Alessandro Manzoni?
– Alessandro Manzoni è morto? Poverino, non sapevo manco che stesse male!
In altri casi le risposte sono formalmente corrette ma tese a sbeffeggiare il professore e le sue domande insensate:
– Fammi una frase col verbo Scorrere.
– Scorre Giava nel suo letto.
In altre circostanze, infine, abbiamo risposte che denotano quella facoltà rara e preziosa nota come intelligenza laterale:
– Se ho nei pantaloni in una tasca centomila lire e nell’altra diecimila lire, che cos’ho?
– Ho i pantaloni di un altro.
E di fronte ad una maestra tanto demente da chiedere ai suoi ragazzi di portare in classe un oggetto che ricordi una
canzone, chiunque con un QI superiore a quello di Forrest Gump non può fare altro che deriderla, portando ad esempio una sega a rappresentare”Solitudine”.

In sostanza, la percezione che si ha è che la scuola sia inadeguata a confrontarsi con un’intelligenza vivace e anomala come quella di Pierino, e che sappia reagire solo nel peggiore dei modi: bocciando il ragazzo. Che risorse preziose sprecate!

 

Ma il rapporto di Pierino con la società non si limita alla scuola in sensostretto. Egli è il figlio di un oste romano (intepretato dal grande EnzoLiberti), e come tale non è ricco. In collegio viene a contatto con una brancadella società che raramente mette piede nei quartieri in cui abitava a Roma, palesemente proletari. Il personaggio di Oronzo, il cui nome è scelto per uno scopo ben chiaro, è simbolo di questa disparità. Oronzo, lo studente perfettino e di evidente estrazione alto-borghese se non aristocratica, è antipatico, studia sempre, servile nei confronti della maestra e del preside, afferma di sapere tutto e osa persino sfidare Pierino sul suo terreno, quello dell’arguzia.
Ovviamente perde, e allora ricorre alla violenza: lo sfida ad un incontro di pugilato. Certo, dice “Non è una volgare rissa da strada, ma la nobile arte della boxe”, ma è una chiara mistificazione: la sfida sul ring rappresenta per lui esattamente quello che per Pierino è una scazzottata in strada. La scena dell’incontro di pugilato è il climax del film: la contrapposizione tra Pierino (“So’ gagliardo e so’ carino”) e Oronzo (“Mi sa tanto che sei stronzo”) è una grandiosa metafora della lotta di classe. Non rovinerò la sorpresa svelandovi come va a finire.

 

La famiglia di Pierino, nello specifico il rapporto col padre, è un ulteriore tema interessante. Egli appare disperato per avere un figlio del genere, ma a tratti si intuisce che gli vuole molto bene, e che è solo preoccupato per il suo futuro. Ne è testimonianza il fatto che lo manda in collegio, luogo dove spera, secondo il luogo comune che una volta imperava, che “gli avrebbero insegnato a rigar dritto”. Accompagnato il figliolo a Grosseto in quella prigione per bimbi, al momento di congedarsi assistiamo a questo dialogo:

– Pieri’, hanno voluto un sacco de soldi!
– A papà, fatteli rida’ che ce ne annamo!
– No, non famo scherzi, tu devi studia’. E’ meglio che me ne vado che me sto a commuovere.

Osservate la sovrapposizione, nel padre, della sua sensibilità proletaria al denaro con l’amore per il figlio, con la nozione
dell’importanza della cultura e con la preoccupazione per ciò che lo attende. L’eccessiva attenzione di questo genitore nei confronti di cameriere e belle sconosciute è evidente indice di scarsa felicità coniugale; il suo lavoro non gli dà evidentemente grandi soddisfazioni, la figlia maggiore è sposata e quindi Pierino è tutto quello che gli rimane. La separazione è più dolorosa per lui che per il figliolo.

Ma tutti questi temi sarebbero pallosi se non fossero supportati da scene come la lezione sulle scorregge di Pierino (Alfonso, Pasquale e Roberto Bracco), da Pierino e la carne di elefante, da Pierino che recita l’Iliade. Questa è classe.

Misteri della vita V

Cosa mettono dentro le caramelle Menta fredda per fare in modo che creino una tale dipendenza?

Lavoratori…prrr!

Sono mediamente soddisfatto del mio lavoro di informatico. In tempi come questi già poter contare su uno stipendio abbastanza sicuro non è poco, e comunque sono nelle vicinanze delle cose che mi piacciono. Su molte cose si può (anzi, si deve) migliorare, ma tiro un sospiro di sollievo quando penso alla gente che certi lavori. Ecco la mia top5 dei lavori che farei solo se costretto dalla fame.

1)l’omino che vende i biglietti nella metropolitana di Milano presso la fermata Stazione Centrale. C’è sempre una fila lunghissima di imbecilli che chissà perché non prendono il biglietto nelle edicole in superficie o dalle macchinette automatiche. Questo signore passa la giornata a dare un biglietto in cambio di un euro, senza vedere mai la luce del sole, con vicino i drogati che chiedono spiccioli, senza la possibilità di conoscere i tuoi interlocutori e senza brividi maggiori di quelli che chiedono un biglietto per Sesto o di coloro che pagano con un biglietto da cinquanta.

2)la guardia giurata. Non solo non succede mai niente, non solo devi essere sempre pronto nel caso succeda qualcosa, ma devi anche sperare che non succeda niente. Questa specie di Deserto dei Tartari all’incontrario mi pare la negazione più totale di ogni stimolo all’amore per il proprio lavoro.

3)l’autista di mezzi pubblici urbani. Sarà che non amo guidare i mezzi a più di due ruote, sarà che detesto il traffico, sarà che comunque per me il senso di un viaggio è di andare da un posto all’altro e arrivare il prima possibile, ma passare le giornate su mezzi grossi e lenti in mezzo al traffico mi pare orribile. Più tollerabile è fare il camionista, almeno vedi posti diversi e te la smenazzi di meno con semafori e code.

4)il lavascale. A nessuno piace molto fare pulizie in casa, ma ognuno ha un lavoro che destesta più degli altri. Per quanto mi riguarda, si tratta di pulire i pavimenti: scopare e poi lavare per terra. Fare di questa incombenza un mestiere, per di più andando su e giù per le scale, mi risulterebbe decisamente fastidioso. Beh, almeno a furia di fare step avrei delle belle chiappette sode.

5)il vigile urbano. Stare in mezzo al traffico tutto il giorno e respirare gas di scarico nonché rischiare di esser travolto già è poco bello, ma quando a questo si aggiunge che tutti ti odiano c’è da rendere poco invidiabile il mestiere. E non si tratta solo di multe, ma anche del luogo comune (vero? falso? chissà!) per cui "quando c’è un vigile ad un incrocio, il traffico peggiora".

La penso divertamente sui lavori propriamente detti "manuali": facchini, contadini, muratori eccetera. Non mi sono mai occupato di attività del genere, ma ne nutro un enorme rispetto. Non so se possano dare soddisfazione, ma ogni volta che vedo gente sgobbare penso che il vero lavoro sia solo il loro, mentre le cose che faccio io non sono altro che cazzate. E un pochino li invidio…

Milena

Alassio, 1984. Andava di moda un simpatico scherzetto.

-Sai chi è Milena?
-No.
(pugno nelle balle del malcapitato)
-E’ quella che ti castra e che va in giro con una balena.

Vi prego, trovatemi il genio che ha inventato questa gag.

Io e la musica

E’ normale che a uno non abbia interesse ad andare a teatro, o che non gli freghi niente dell’architettura, o che non legga fumetti. Chi poi non guarda la tv è addirittura guardato con ammirazione, mentre meno comune è chi afferma di non andare al cinema; assai più frequenti ma considerati riprovevoli sono coloro che non leggono libri. Insomma, più o meno tutte le forme di arte e di espressioni hanno i loro detrattori.
Eppure, quando asserisco che non mi piace la musica vengo sempre guardato come un deficiente.

-Ma come, la musica è la colonna sonora della nostra esistenza!
-Ma come, è la forma d’arte che più spazia dal popolare al colto, ce n’è per tutti i gusti!
-Ma come, tu che apprezzi la matematica come puoi non vedere la bellezza della musica anche dal punto di vista delle simmetrie e le regolarità che offre?

Sì, ma…per capire, sarete senz’altro lieti di ascoltare

La storia di Luca XX in relazione alla musica

Ho attraversato diverse fasi nella mia storia della fruizione della musica.
Da sbarbatello, diciamo fino ai 13 anni, passivamente accettavo quello che si sentiva in giro. Ho persino acquistato qualche "cassetta" (ai tempi i cd non esistevano nemmeno) di Vasco Rossi, di Madonna, di qualche compilation di hits. Ma c’era poco interesse.
Nella mia adolescenza, poi, è comparsa un personaggio molto importante per me. Era un ragazzo di Acqui Terme, che frequentavo nelle mie estati a Sassello. Tornerò prima o poi sulla figura di Marco Pesce e sulle influenze che ha avuto sul Luchino ragazzino, ma per ora basti pensare che è riuscito a trasmettermi, per qualche anno, la passione per la musica. L’ho un po’ pedissequamente seguito per qualche anno nelle sue peregrinazioni, e l’impronta che lasciava era molto marcata. Si è iniziato con gli Iron Maiden (una delle poche cose che ascolto ancora volentieri), per poi deviare poi sui gruppi satelliti come gli Helloween, indi sul trash metal (Metallica, Megadeth, Slayer…) e approdare infine al punk-hardcore. Gruppi come Dead Kennedys, Negazione, Peggio Punx e tanti altri sfigati minori di cui ho comprato solo io il disco allietavano le mie giornate e alimentavano il mio spleen adolescenziale. I gloriosi anni ’80 della scena hardcore italiana stavano finendo e "100%" dei Negazione ne sono stati il canto del cigno. Stava iniziando la stagione delle posse, delle quali però non sono mai stato un grosso estimatore. Certo, non avevo proprio una mente aperta: mi piacevano certi generi e solo quelli.

Finito il liceo, per ragioni varie ho smesso di frequentare Marco e per la ragione di laurearmi ho iniziato l’università. Lontano dalla provincia, nel mondo nuovo della città, ho conosciuto diverse persone interessanti con cui ho allargato i miei orizzonti musicali. Via libera al grunge (persino io mi vestivo con quei ridicoli camicioni da boscaiolo!) e al crossover, un po’ di grindcore e persino qualche cosa di un po’ meno "rumoroso" (Pink Floyd, Oasis). E mi informavo, leggevo riviste, andavo ai concerti, analizzavo i testi, ascoltavo trasmissioni selezionate alla radio (il buon glorioso Planet Rock!). Diciamo che, ai tempi, la musica era la forma d’arte che più amavo. Tuttavia, per gli impegni di studio che prendevo probabilmente troppo sul serio, mi è sempre mancata l’occasione di iniziare a suonare. Questo è stato probabilmente critico.

Infatti, poi, qualcosa è cambiato. C’è stata un’esperienza disastrosa nel 1997, quando, durante una vacanza in barca con amici, sono stato costretto ad ascoltare musica (e soprattutto jazz) per tutto il giorno, cosa che mi ha insegnato a detestare ferocemente il jazz e ad apprezzare il silenzio. Ci sono state due nuove passioni, per i fumetti e il cinema d’animazione, che hanno focalizzato la mia attenzione e le mie finanze. In quel periodo più otaku della mia esistenza praticamente sentivo solo colonne sonore di cartoni animati. E, soprattutto, in qualche modo, ho cambiato il mio rapporto con l’arte in generale.
Forse è una come conseguenza dei miei studi fortemente basati sulla matematica, ma stento ad apprezzare qualcosa in modo puramente emozionale. Devo capire cosa c’è che mi piace, smontarlo nei suoi meccanismi, analizzare quello che c’è e quello che avrebbe potuto esserci al suo posto. Questo non mi impedisce di godermi le emozioni più forti, ma ho un approccio troppo analitico alla vita per potermi semplicemente rilassare e dire "bello. Non so perché ma bello". Ma per procedere in questo senso è fondamentale essere forniti di un bagaglio di strumenti critici che non è proprio gratuito. Per la letteratura ci ha pensato la scuola, per il cinema e i fumetti sono stato un autodidatta sistematico e tutto sommato efficace (credo!), per le arti figurative mi sto attrezzando solo di recente. Non dico che sono un critico di professione, ci mancherebbe, ma l’approccio che mi piace è questo.

Ma la musica è un discorso a parte. La mia ignoranza è abissale. Sono stato deriso da un istruttore di palestra (categoria che non fa della cultura la propria bandiera, per dirla con un eufemismo) perché mi era sconosciuto il concetto di "battuta":
-Non senti la musica? Devi iniziare l’esercizio quando inizia la battuta!
-Guh?
L’educazione musicale alle scuole medie è stata quasi nulla. Sì, ero tra i migliori della classe a suonare il flauto dolce, ricordo la differenza tra una semicroma e una semibreve, ma non è nulla che mi venga utile. Ho provato a leggere qualche libro, ma li ho trovati terribilmente noiosi, perché la musica teorica è insopportabilmente tediosa, se non supportata dallo smanettamento di qualche strumento. E siccome il mio amore per la musica è scemato non trovo stimoli abbastanza forti per iniziare a suonare uno strumento, col tempo e la costanza che richiede: un piccolo circolo vizioso, a ben vedere. Mi ritrovo così a non essere in grado di giudicare un musicista (a parte gente particolarmente incapace) e, cosa che mi cruccia parecchio, a non saper fornire giustificazioni al fatto che un determinato pezzo mi piaccia. E questo per me è devastante, mi toglie completamente il piacere e, di conseguenza, la volontà di ascoltare musica.
E cosa è rimasto dopo la crisi di fine millennio? Poco. Ho deviato parzialmente verso i cantautori italiani per rifugiarmi almeno nei testi. Fabrizio De Andrè, soprattutto, ha una sensibilità molto vicina alla mia, ma a tratti scopro cose interessanti pure in Giorgio Gaber, in Lucio Battisti, in Rino Gaetano, in Francesco Guccini. Ho la curiosità di provare ad affrontare l’opera lirica, per ragioni simili. Inoltre mentre guido in zone con troppe gallerie per poter sentire la radio o quando faccio attività fisica tornano ogni tanto i vecchi amori, ma sempre gli stessi. Nel mio lettore mp3 adesso ho il primo disco degli Iron Maiden, le canzoni di Creamy e Il viaggio di De Andrè. Un buon riassunto delle stagioni che ho attraversato.

Ogni tanto mi cullo con l’idea che quando avrò più tempo, magari da pensionato, inizierò a studiare uno strumento (uno a fiato, ad occhio, il clarinetto o il flauto traverso), ma in fondo in fondo so che non è vero. Oh, non si può mica sapere tutto di tutto!

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