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Revisionismo barzellettiero

Ho già dedicato un articolo alle barzellette, per la verità non pienamente soddisfacente. Riproviamo: ora parlerò delle barzellette fraintese o modificate. Mia nonna spesso raccontava la seguente barzelletta.
Arriva in città il grande mago francese, si reca a teatro ed esclama: "Piangez!". E allora tutti a piangere, piangere tutte le lacrime che potevano. Il giorno dopo si esibisce ancora e comanda "Ridez!" e tutto il pubblico a ridere, ridere a crepapelle. Torna il terzo giorno e dice "Merdez". E ci vollero sei mesi per pulire il teatro.
A me faceva sganasciare, in virtù della piccola trasgressione alle parolacce che mia nonna concedeva, e poi perché la cacca fa sempre ridere. Al di là del francese maccheronico (piangere in francese è pleurer, ridere è rire), però, è ovvio che ci fosse qualcosa che non andava: perché il grando mago francese avrebbe dovuto comandare al pubblico di defecare? Quello che probabilmente mancava era che al mago succedeva qualcosa, magari inciampava, e istintivamente diceva la parola di Cambronne (merde, non merdez). Ma non importa, io ridevo: che si vuole di più da una barzelletta?
Una questione piuttosto diversa è data dalle variazioni (o "sequel") delle barzellette, cioe’ i cloni che partono quando una storiella riscuote un certo successo. Il fatto è che inevitabilmente si scostano dal nucleo piu’ divertente della versione originale, mantenendo solo alcuni tormentoni o personaggi e perdendo cosi’ la quasi totalità dell’efficacia comica.
L’esempio più celebre è dato dai parenti del Fantasma Formaggino. La cosa divertente del vetusto racconto è il paradosso di un fantasma che si chiama "Formaggino", nonsense che viene sfruttato nel finale dall’abile italiano. Nacquero nei primi anni ’80 diversi cloni: il fantasma dalle mani sanguinanti, il fantasma con gli occhi bianchi sono i primi che mi vengono in mente, a loro volta con qualche variazione (il fantasma con un occhio bianco ed uno nero etc.). Lo svolgimento è identico, con francese ed inglese o tedesco che vengono spaventati e l’italiano che trionfa. La differenza sta nella battuta sagace del nostro compatriota, che, partendo da una situazione meno paradossale, risulta sminuita. Dire "Vieni qua che ho portato i cerotti" all’ectoplasma dalle mani sanguinanti oppure "Adesso te ne faccio uno nero" al fantasma dai pallidi globi, in poche parole, è una bella cazzata, e non fa ridere. Citerò solo come curiosità la variante del mio amico di Sassello Daniele Z., che vedeva protagonista il gatto dagli occhi bianchi (suppongo che fosse un gatto fantasma, ma non lo si diceva esplicitamente) che compariva quando il membro di turno della UE andava a buttare la spazzatura. In questo caso viene recuperata parte del paradosso e del nonsense del caseario parente, e sebbene la battuta finale sia fiacca la barzelletta mantiene un minimo di dignità.
Era successo qualcosa di simile nel 1986 in seguito al successo della Rana dalla Bocca Larga allo zoo. Non mi dilungherò troppo, ma anche lì le variazioni sugli altri tipi di rane allo zoo o la Rana dalla Bocca Larga in altri contesti perdevano il doppio significato di Rana dalla Bocca Larga, inteso come caratteristica fisica e come fastidiosa loquacità. Stento ancora a capire il perché del mio interesse nell’analizzare un tipo di intrattenimento che semplicemente non mi diverte. Penso di tratti parzialmente di un sentimento di attrazione per l’orrido simile a quello di chi ama spaventarsi nei film horror, mista ad una curiosità verso le cose che non si capiscono e verso le quali ci si ritiene superiori, quasi da entomologo.
D’altra parte io sono di gusti sofisticati, mica rido per niente. LUPINI!