(chi non sa di cosa sto parlando, si legga questo articolo )
Il sole ha brillato per tutta la settimana durante il festival di Annecy 2006, ed è stata una buona edizione. Non è stato semplice raggiungere questo sintetico verdetto, perché non sono mancate le contraddizioni, ma ho raggiunto questa conclusione.
Contrariamente al regime minceur dichiarato e realizzato nel 2005, l’edizione del 2006 è stata grassa. Negli anni precedenti non ho mai avuto un programma così pieno, e le poche programmazioni che ho saltato sono state dovute a problemi puramente logistici o, ehm, fisiologici. Questo significa che oltre alle visioni obbligatorie dei corti in concorso, quelle semi-obbligatorie dei corti di scuola e del panorama e una sbirciatina a qualche lungometraggio, mi sono trovato una serie di anteprime e di retrospettive davvero interessante che ha quasi generato l’imbarazzo della scelta. L’impressione che certuni hanno avuto di un’edizione scadente probabilmente nasce dal fatto che i corti e i lunghi in concorso proponevano accanto ad alcune opere pregevoli altre incontrovertibilmente scadenti. Da questo punto di vista c’è in effetti da criticare il lavoro del comitato di selezione che ha portato in concorso alcune opere vergognose, e lasciato meramente in rassegna altre veramente ottime. Questa cattiva preselezione è stata per fortuna mitigata dall’opera dei giurati che, almeno per quanto riguarda i cortometraggi, hanno premiato esattamente i lavori migliori. Oltre a tutto questo, c’è da segnalare l’interesse sempre maggiore delle major per il festival di Annecy, nel quale stanno proponendo non solo sempre più anteprime, ma anche film in concorso. Può essere l’indizio di un leggero cambiamento di rotta della politca del festival, ma questo lo scopriremo solo nei prossimi anni.
Il concorso dei cortometraggi è stato vinto dalla portoghese Regina Pessoa, con Histoire tragique avec fin heureuse (Storia tragica con lieto fine, immagine a destra), che ha vinto anche un premio minore (il TPS, che in realtà tanto minore non è, dato che si tratta dell’unico che porta soldi!) La storia della ragazza col cuore che batte troppo forte e disturba i vicini, narrata in un bianco e nero espressionista ha conquistato la giuria e il pubblico: non ha vinto il premio relativo, ma nessun altro corto ha avuto un’applauso così fragoroso e sincero.
Il secondo premio è andato all’inglese Joanna Quinn col suo Dreams and Desires – Family Ties.(a sinistra) Storia di una festa di matrimonio tragicomica narrata mediante le riprese di una signora imbottita di teorie cinematografiche, questo corto ha forti debiti con Bill Plympton sia per lo stile grafico che per l’umorismo graffiante e a tratti un po’ disgustoso. Dreams and desires ha rastrellato anche il premio del pubblico e il premio FIPRESCI.
Come menzione speciale finalmente un esponente del sesso forte, il britannico Run Wrake che propone l’originalissimo Rabbit, immagine sotto a destra. Due bambini trovano dentro un coniglio un idolo in grado di trasformare gli oggetti, in particolare le mosche in gemme. La parabola è in qualche modo morale, ma è lo stile grafico con grossi debiti alla grafica pubblicitaria anni ’50 quello che colpisce di più dell’opera.
Il premio della giuria junior è andato al divertente One D di Michael Grimshaw (Canada), che parla di uno strano mondo 1-D citando un mucchio di generi cinematrografici. Dopo anni in cui i bambini giocavano a fare i grandi votando i corti più impegnati, "spessi", finalmente questa giuria ha votato qualcosa che le è davvero piaciuto.
Il premio per l’opera prima è andato al discreto lavoro di Till Nowak (Germania) che nel suo Delivery racconta di un uomo che riceve una scatola che riproduce in piccolo l’ambiente che lo circonda, permettendogli quindi di modificarlo. Non originalissimo, ma discretamente ben realizzato e, francamente, unica opera prima degna di menzione. Completa il parco dei premi ai cortometraggi l’unica opera poco valida, Cherno na byalo del bulgaro Andrey Tsvetkov, una banaluccia parabola sul razzismo.
A parte questa eccezione, i premi in effetti coprono i corti migliori, come accennato prima. Meritano una menzione in questa sede solo Wind along the coast di Ivan Maximov e Minotauromaquia, Pablo en el labirinto di Juan Pablo Etcheverry e Ichtys di Marek Skrobecki, lavori di cui parlerò diffusamente negli articoli dettagliati.
I lungometraggi in concorso di solito non sono particolarmente interessanti, ma quest’anno il panorama è stato un po’ differente: sono stati affiancate due grosse produzioni di stile europeo (Wallace and Gromit e Astérix et les Vikings) a due produzioni giapponesi in stile tipicamente anime (XXX-holic manatsu no yo no yume, da un soggetto delel CLAMP e Gin-iro no kami no Agito, dello studio Gonzo) a una produzione semi-autoriale europea, Renaissance (nella foto). Ha vinto quest’ultima, contro tutte le previsioni: personalmente ho visto 10′ di questo film e poi me ne sono andato disgustato, trovando lo stile pseudo-Sin City assai stucchevole e la trama tremendamente già vista e mal narrata. Sono tuttora convinto di non essermi sbagliato. Wallace and Gromit l’abbiamo visto tutti, mentre il nuovo Asterix è un buon film, forse col brodo leggermente allungato rispetto alla compattezza della sceneggiatura originale di Goscinny ma comunque niente male. I film giapponesi non sono piaciuti a nessuno: XXX-holic è un puntatone di una serie banale, l’altro una tipica "gonzata".
Per quanto riguarda i programmi dedicati alla televisione, non ho visto nulla. La priorità delle produzioni televisive è scesa troppo rispetto al resto per potermi permettere di annoiarmi di fronte a produzioni per ragazzini come negli anni passati. Il premio per la serie è andato a Pocoyo (immagine), un 3d spagnolo con target prescolare. Chi l’ha visto ne dice meraviglie, e dal poco che han proiettato durante la premiazione tendo a crederci. Menzione poi al francese Zombie Hotel, che invece mi è parso stupidino, mentre il premio per lo speciale è andato al canadese Petit Wang. Quest’ultimo premio ha sempre meno senso, essendoci in concorso sempre la miseria di due o tre speciali tv, quasi sempre poco interessanti.
L’unica novità importante da segnalare nei corti di scuola deriva dalla presenza pian piano sempre più consistente delle scuole italiane. Dopo anni di produzioni unicamente "artistoidi" pare che i giovani sfornati da Milano e Torino (ma non solo…) stiano iniziando a riscoprire il piacere della gag, del "cartone animato" inteso in senso classico, e i corti presenti qua ne sono una buona testimonianza. La qualità dei lavori esteri però è oggettivamente ancora superiore. Vincitore è stato Astronauts, inglesissimo corto di Matthew Walker. Le tragicomiche avventure di due astronauti sono narrate con aplomb e humour perfettamente britannici. Personalmente però ho amato di più il secondo premio, andato a Walking in the Rainy Day del coreano Hyun-myung Choi (nell’immagine). Una bambina ha l’ombrello rotto in un giorno di pioggia e ne approfitta per fare amicizia con una rana: molto delicato e animato in modo delizioso. Inoltre ci permette di scoprire che in Corea avere l’ombrello rotto è un disonore insopportabile. Menzione poi alla sarcastica parabola di Abigail di Tony Comley (regno unito) e premio dei bimbi allo psicologico e forse un po’ presuntoso Ego di Louis Blaise, Thomas Lagache, Bastien Roger, francesi.
La sezione Panorama è migliorata molto quest’anno, e stupisce come almeno due corti non siano entrati in concorso. Den Danske Dikteren (Il poeta danese, immagine) di Torill Kove, una produzione canadese/norvegese, è una storia poetica di caso e di amore, una specie di commedia romantica ma come gli americani non fanno più. Vennad karusudamed (i fratelli Cuoredorso), estone di Riho Unt narra a pupazzi di tre orsi pittori immersi nella rivoluzione artistica tra la fine dell’impressionismo e l’inizio dell’astrattismo. Il modo in cui le opere dei vari autori, soprattutto Van Gogh, si integrano con gli scenari è sbalorditivo ed è una vera gioia per gli occhi.
La nazione dell’anno è stata l’Italia. La butto giù così con indifferenza, ma in effetti c’è di che essere orgogliosi. Non ho visto moltissimo dei sette programmi dedicati all’Italia: mi sono limitato ad un monografico su Bozzetto e Manuli (Bozzetto è in assoluto un genio, non c’è altro da dire) e ad una retrospettiva mista intitolata Tutti frutti, di valore tutto sommato non così esaltante. Tra i programmi che non ho visto diversi lungometraggi, vecchi e nuovi, e altre proiezioni tematiche, tra cui un monografico sulla cosiddetta corrente neo-pittorica.
Anche se non è molto patriottico dirlo, è stato molto più interessante l’altro tema, When animation meets the living, dedicata ai rapporti tra animazione e riprese dal vero. Ben sei programmi, uno al giorno, hanno tematicamente mostrato corti vecchi e nuovi sul tema. Sussiste qualche perplessità su come sia stata organizzata questa serie: ogni programma aveva un tema particolare ma sostanzialmente pretestuoso, e inoltre la composizione era strutturata da un corto "preistorico" dei primi del ‘900, uno di Norman McLaren (sempre benvenuto, ma non sempre calzante. Pas de deux nell’immagine) e da altri dagli anni ’90 in poi. Ancora, la relazione tra animazione e riprese dal vivo in alcuni corti non era affatto chiara, o comunque a tratti pretestuosa. Mi pare eccessivo proiettare un Betty Boop dei Fleischer solo perché è uno dei primi cartoon a fare uso del rotoscopio. Ciò non toglie che la qualità media delle proiezioni fosse molto alta, e al pubblico la cosa non è sfuggita, visto l’affollamento della povera Petite Salle durante questa serie.
Come accennato in precedenza, le anteprime e le proiezioni speciali di quest’anno sono state importanti.
Cars, il nuovo attesissimo film di John Lasseter per la Pixar e’ stato proiettato insieme ad una piccola presentazione da parte della Pixar, e, anche se se non è il capolavoro di questa casa produttrice è comunque un discreto lavoro, superiore alla totalità delle produzioni 3d extra-Pixar degli ultimi anni.
Monster House è una produzione sotto l’ala di Spielberg e Zemeckis che narra un curioso horror per ragazzi, realizzato in 3d. Il film è stato proiettato in anteprima mondiale, con relativo sequestro di videocamere e cellulari e perquisizione prima di entrare, ed è stata una bella sorpresa, una bella variazione sugli schemi dei film di animazione delle major.
Terza ma non meno importante anteprima è stata del nuovo film di Michel Ocelot, Azur et Asmar (un’immagine a destra). In breve, è il capolavoro di questo bravo regista francese e si spera che la distribuzione in Italia saprà valorizzarlo come merita.
Sabato mattina ha fatto la sua comparsa Tim Burton. Darketti da mezza Francia sono venuti ad incontrare il loro beniamino alla proiezione de La sposa cadavere con successivo incontro col regista. Se avessi venduto il mio biglietto invece di regalarlo sciaguratamente mi sarei pagato mezza vacanza.
A tutto ciò si aggiunge la proiezione di alcuni film giapponesi: Nausicaa, Nagasaki 45 e Gen di Hiroshima. Ho visto solo quest’ultimo (in breve, ha gli stesso pregi e difetti del manga relativo) e ho un pizzico di rimpianto per aver perso Nausicaa a causa della concomitanza con la cerimonia di chiusura.
Completa il quadro il concorso dei film su commissione (ha vinto un bello spot sull’Aids, un video musicale con lo zampino di quel geniaccio di Joann Sfar e il solito video sulla violenza sessuale sui bambini. Nessuno nega che siano importantissimi, ma ormai ogni anno ne vince uno!) e qualche programma minore (i "morti", animazione sull’Aids, una proiezione di Silly Simphonies, Spike & Mike).
Mi pare quindi evidente come il festival sia stato più ricco e sfaccettato che mai. Può darsi che questo non sia sufficiente a garantirne la qualità, ma come minimo i motivi di interesse per il festival di Annecy continuano a crescere. Non posso che essere lieto di tutto questo.
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