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La gallinella saggia

Quand’ero piccolo, ad Alassio, in un impeto di campagnolità, tenevamo le galline. Il pollaio, contenente di solito quattro galline, era situato nella fascia del giardino adesso dedicata al sollazzo, quella dove c’è la piscina, e precisamente stava dove adesso è il mio appartamento (sì, so che queste informazioni sono inutili per chi non è mai stato a casa mia, ma giacché la maggior parte dei miei lettori la conosce, io allungo il brodo e lo scrivo. Tutti gli altri facciano finta di non aver letto il periodo precedente, l’articolo funzionerà lo stesso egregiamente).

Io odiavo le galline. Uno dei miei compiti era quello di dare loro da mangiare la domenica e a volte anche nei giorni feriali, se ce n’era bisogno. Dar da mangiare alle galline significava infilarmi nel locale caldaie, buio e pieno di ragni, prendere le granaglie, portarle nel pollaio, schivare tutta la popò, affrontare gli sguardi inquisitori degli uccellacci e infine dare loro da mangiare. Dovevo poi prenere le uova, che spesso erano sporche di guano, e portarle in casa. Ammetto che ci sono incombenze più sgradevoli anche per un bambino, ma avevo preso proprio in antipatia questo lavoretto.

Ma io non ero l’unico a cui le galline causavano problemi: i volatili in questione erano soggetti a ricambio, nel senso che quando diventavano troppo vecchie e non facevano più uova, bisognava ammazzarle e farne buon brodo. Ma nessuno, in famiglia, conosceva le tecniche per accoppare queste bestie. Dopo alcune pantomime, tra cui quella in cui la Piera, la donna che ci dava una mano in casa, cercò di decapitarne una con l’accetta,  ci si rassegnò a rivolgersi ad aiuti esterni.

“Poco male”, direte voi, “tutto questo è nulla in confronto al piacere di avere le uova freschissime quotidianamente in casa!”. Poveri illusi: mai sottovalutare il potere tragicomico di casa Ventimiglia. Ogni uovo, quando veniva raccolto, era marcato con la data, a matita sul guscio. Quando era il momento di consumarne uno, la regola prevedeva che si iniziasse da quelli più vecchi. E poiché la produzione media era di quattro uova al giorno, che non sono poche per una famiglia di quattro persone, si finiva sempre per mangiare uova più vecchie di quelle che si comprano nei negozi.

Poi, a un certo punto, anche i miei si sono rotti. Da allora, comunque, ho capito che non avrei fatto il contadino perché mi scoglionavo a dar da mangiare alle galline. Un’altra strada che mi si chiudeva.