Ma come, dirà il solo pubblico cacacazzi, avevi detto che parlavi di vincitori e vinti! Beh, ho mentito. Mi son reso conto che di buona parte dei vincitori non ho molto da dire, mentre invece c’è un sacco di altra roba che ho visto in giro su cui vorrei spendere qualche parola. Quindi, si fottano i bambini sudanesi, quest’anno si parla di quello che secondo me è interessante. Iniziamo, come i più astuti avranno capito, dai lungometraggi.
Giusto per contraddirmi, mi pare indispensabile dire qualche parola in più sul vero vincitore del premio, cioè Mary and Max di Adam Benjamin “Billy” Elliot. Elliot è noto soprattutto per il suo strapluripremiatissimo (e amatissimo dal sottoscritto) Harvie Krumpet, ma ci si chiedeva se sarebbe stato in grado di affrontare un formato differente come il lungometraggio. Beh, sì, anche se, come l’autore stesso ammette, Mary and Max non è altro che una versione estesa del suo cortometraggio più famoso. Stessa tecnica (la plastilina), stesso tono surreale, stesso intervento della voce narrante, stessa ambientazione (a metà, almeno) e, soprattutto, stessa attenzione per le persone con qualche sorta di disabilità che le rende degli outcast se non dei freak; e, naturalmente, stessa sensibilità nel toccare questi argomenti con poesia ma senza retorica. Il film parla della corrispondenza tra Mary, una bambina australiana con una famiglia un po’ difficile, e Max, un newyorkese di mezz’età che soffre della sindrome di Asperger, una forma di autismo. I loro scambi di lettere, tra alti e bassi della loro amicizia e scambi di cioccolato, seguono la crescita e la maturazione di Mary, e il lento sopravvivere di Max alla sua malattia, fino a un finale un po’ strappalacrime ma sicuramente sincero.
Un altro film in concorso su cui vale la pena spendere due parole è Jeh-bool-chal-shee e-ya-gee (sia ringraziato il Dio del Copia e Incolla!), meglio noto come The Story of Mr Sorry, opera coreana di In-keun Kwak, Il-hyun Kim, Ji-na Ryu, Eun-mi Lee e persino di Hae-young Lee. La cifra stilistica di questo assurdo poco-più-che-mediometraggio (63 minuti) è “Che schifo!”. E ora parliamo di cerume. Chi ha visto un po’ di cartoni animati giapponesi sa che in terra nipponica è considerato un atto dal vago sapore erotico farsi pulire le orecchie da una donna, perlomeno per la vicinanza fisica che questo comporta. In Corea si va oltre: secondo questo film esistono dei pulitori di orecchie professionisti a domicilio. Sinceramente non so se si tratta di un’invenzione filmica, ma a naso (anzi, “a orecchio”!) direi che si tratta di realtà. E’ ovvio che un lavoro del genere sia molto umiliante, e infatti l’omino protagonista della storia, il suddetto Mr. Sorry, è un piccoletto brutto, scemo e sgraziato che si fa mettere in piedi in testa da tutti e ha un ragno enorme come unico compagno di giochi (“Che schifo!”), e che ha come obiettivo di vita ritrovare la sorella scomparsa. Un giorno il suo capo gli dà da bere una pozione che lo rimpicciolisce tanto che può entrare nelle orecchie della gente e fare pulizia come nessun altro. E’ a questo punto che l’azione si fa metafisica: pulendo l’orecchio di un cliente, per caso sfonda una parete e si ritrova nel suo cervello, accedendo così al suo inconscio, cosa che poi farà con tutti i successivi clienti. Ed è a questo punto che l’azione si fa confusa, perché interagendo con un politico che aveva avuto a che fare con sua sorella, Mr. Sorry accede al suo cervello stesso. Ed è a questo punto che l’azione si fa morbosa, perché si scopre che il nostro bravo pulitore di orecchie ha sempre concupito la sorella, altro che bravo fratellino che la vuole ritrovare. Ed è a questo punto che l’azione si fa assurda, perché dopo questa scoperta il protagonista si trasforma in un ragno gigante (ehi, come in Coraline!). E (ora la finisco con questa gag) è a questo punto che l’azione si fa pessima, perché si ritorna a una cornice, probabilmente posticcia, introdotta all’inizio in cui in una specie di reality show si dedice se ammazzare o meno il ragno gigante. Sì, lo si ammazza. Che schifo.
Schifo di altro genere è un altro film in concorso, di cui ho visto solo metà: My Dog Tulip di Paul e Sandra Fierlinger. Come suggerisce il nome, parla di una cagnetta di nome Tulip. Per i primi minuti si assiste a un signore di mezz’età inglese che racconta il suo rapporto con Tulip. Ok, mi son detto, questa è l’introduzione, poi succederà qualcosa, che so, incontrerà una donna grazie al cane. E invece no. Il film è tutto dedicato al rapporto di questo signore con suo cane. Ne ho retto metà, poi mi sono arreso e sono andato a farmi un giro. Un po’ la cosa mi dispiace, perché mi sono perso dettagli morbosi e scientificamente accurati sulla riproduzione dei cani, cioè come lubrificare la vagina di una cagnetta o come masturbare un cane per favorire l’accoppiamento. Non si sa mai, potrebbe essere conoscenza utile.
Tra le opere fuori concorso merita una menzione, come ho già anticipato, Edison& Leo, di Neil Burns. Mettetevi comodi, vi narro i primi dieci minuti del film, con spoiler a profusione. Allora, c’è Edison, sì, l’inventore, che è mezzo cattivo, e ha una moglie e due figli, di cui quello buono è il protagonista e quello cattivo non lo è. Un giorno riceve a casa sua uno sceicco con una moglie e gli fa vederela sua collezione di memorabilia, tra cui un preziosissimo pugnale orientale che avrebbe ucciso una moglie infedele incidendole il labbro. Contestualmente Edison riceve dalla moglie dello sceicco, che è imburkata da testa a piedi, un invito a un appuntamento notturno. Quando però vi si reca, viene aggredito e al suo risveglio il pugnale è stato rubato, e c’è la donna dello sceicco a terra. A lui sorge un dubbio, le toglie il velo e…tah-dah! E’ sua moglie, avvelenata al labbro inferiore! Lui fa quel che bisogna fare, e con un coltello le taglia il labbro inferiore, per scongiurare la diffusione del veleno. Per guarirla definitivamente, a questo punto, parte in locomotiva e, ciuf! ciuf!, si dirige verso una mesteriosa tribù di donne indiane. Nel frattempo, lo sceicco si libera della sua donna (che era una prezzolata) buttandola giù dalla carrozza. Tale donna giura vendetta nei suoi confronti. Lo sceicco scompare e non si rivedrà mai più. Tornando a Edison, sua moglie viene guarita tramite un rito, ma a condizione che Edison non tocchi il libro sacro che sta nella stessa stanza del rito. Appena le indiane amazzoni voltano le spalle, ovviamente lui lo ruba e si porta via la moglie, lasciando il rito incompiuto e quindi lei catatonica. Non si capisce bene cosa contenga questo libro, probabilmente delle scoperte scientifiche. Non verrà mai detto perché le indiane lo possedevano, e comunque verrà dimenticato ben presto. L’azione si sposta ancora alla pseudo-moglie dello sceicco, che cammina cammina, arriva dalle indiane, si unisce a loro e poiché i loro nemici sono suoi nemici, d’ora in poi non vorrà altro che vendicarsi di Edison, dimenticandosi dello sceicco. Nel frattempo Edison ha messo su una specie di parafulmine in stile Frankenstein, succedono un po’ di casini e la moglie, risvegliatasi per l’occasione, fa da parafulmine, ma conducendo comunque verso il figlio buono. Ella muore, e il figlio buono diventa una centrale elettrica vivente e ammazza tutti quelli che tocca.E qui finiscono i primi 10′ del film e parte il resto… ma direi che ho reso l’idea. Assurdo, incoerente, davvero scemo: come per i fumetti Marvel, è più divertente farselo raccontare che fruirlo di persona.
Infine, merita una menzione Sunshine Barry & the Disco Worms di Thomas Borch Nielsen. Barry è un verme, e i vermi sono considerati i più sfigati nella società degli insetti. Fa l’impiegato e vorrebbe far carriera, ma un giorno per caso scopre la disco-music e da allora la sua vita cambierà nel tentativo di formare un complessino, anche se, come dicono tutti, “Worms can’t boogie!”. Appare evidente che si tratta della solita parabola di riscatto sociale attraverso la musica, già vista milioni di volte in tutte le salse (ivi compresa quella degli insetti!), ma in questo film c’è forse un tocco di sincerità in più rispetto ai soliti film americani, probabilmente dovuto a una caratterizzazione dei personaggi un po’ al di fuori degli schemi dei cartoon in stile Dreamworks. Merita la visione, senza dubbio, anche se la produzione non è abbastanza ricca da comprarsi i diritti delle canzoni dei Bee-Gees.
(Un grazie al mio entourage per la copertura dei buchi di trama che mi mancavano quando mi ero appisolato: Gianluca, Andrea, Paolo, Paolo e Marco)
25 Comments »
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Giusto per fare il pignolo, Edison, l’inventore, _non e`_ Thomas Alva… ;-)
Il tuo entourage e` fiero della citazione e si schernisce! :)
Comment di Botty • 3 Luglio 2009 11:15
Aspetta, vuoi dire che esiste più di un Edison?!?
Comment di xx • 3 Luglio 2009 12:17
Beh… l’inventore noto e famoso nel “mondo reale” (tipo, per capirci, lampadina, grammofono, kinetoscopio… molte, insomma delle invenzioni mostrate nel film) e` T. A. Edison. Quello del film si chiama George T. Edison (non ricordo se venga accennato qualcosa sul significato della ‘T’. Mi piace pensare sia “Thomas”)
Scopro ora dallo strumento del demonio che il primo brevetto di Edison (con tutto il limite che si sa sulla reale paternita` dei suoi brevetti) era una macchina per il voto elettrico, registrato nel 1869. Apparentemente, piu` di 100 anni dopo, l’America era ancora perplessa su queste tecniche ;-)
Comment di Botty • 3 Luglio 2009 13:13
Credo che nel film abbiano cambiato il nome per timore di vendette trasversali degli eredi. :-)
Luca, per aiutare il tuo pubblico (che al 90% è composto da gente che era lì con te, ma fingiamo di no), quando dici che Sunshine Barry ha un tono differente da quello dei film americani, aiuterebbe se dicessi di che nazionalità era. :-)
Comment di Kumagoro • 3 Luglio 2009 15:17
Si sappia che Sunshine Barry è un prodotto danese.
(ma belin, allora non dovevano chiamarlo Edison! magari, che so, “Elison”!)
Comment di xx • 3 Luglio 2009 15:20
Io non c’ero e quindi la precisazione mi ha aiutato, grazie.
Comment di serir • 3 Luglio 2009 15:25
prego non c’è di che.
comunque la cornice di Mr. Sapporo era veramente una merda. Il film invece, cerume a parte, qualche cosa interessante la aveva…
Comment di Marco • 3 Luglio 2009 15:32
La Corea è sempre interessante. Tu Aachi & Ssipak l’avevi visto?
Comment di Kumagoro • 3 Luglio 2009 15:38
Riguardo a Edison, qui c’è un articolo. A parte i discorsi tecnici su AVID e timeline integration engine technology, è notevole il fatto che, strano a dirsi, il Canada non aveva mai realizzato lungometraggi in stop motion prima d’ora. La moda del 3D, esplosa una decina d’anni fa e oggi rientrata in parte nei ranghi, ha avuto come effetto collaterale positivo il rilancio commerciale della stop motion, che probabilmente vive un’epoca di investimenti che mai aveva vissuto, al di fuori dall’area sovietica.
Comment di Kumagoro • 3 Luglio 2009 15:55
pensi che sia merito del 3D? Pensavo che fosse piu’ collegato ai successi comemrciali di Nightmare Before Christmas e soprattutto della Aardman (ricordo di aver visto in sala la prima compilation di film Aardman nel ’95)
Comment di paolo • 3 Luglio 2009 16:04
Secondo me sì, la stop motion è diventata commerciale e markettabile nel momento in cui allo spettatore moderno è stato insegnato ad apprezzare l’estetica tridimensionale. D’altronde gli animatori 3D hanno sempre detto che i loro erano “pupazzi elettronici”, più che disegni. I comandi dei programmi d’animazione digitale, nonché tutta l’impostazione della struttura dei modelli, derivano dalle marionette, gli animatori muovono “giunti” per mettere i personaggi nella posa desiderata.
Nightmare, invece, per me è stato un caso troppo isolato, lo stesso Selick ha faticato a trovare fondi per altri film (forse anche in virtù del fatto che “James e la pesca gigante” ha fatto cagare i più). La Aardman certamente ha contribuito, ma è anche vero che può valere il contrario: la Aardman ha inizialmente a sua volta giovato di una situazione favorevole, causata in prima battuta (o contestualmente) dai successi di Pixar, PDI, Blue Sky e clonatori vari.
Comment di Kumagoro • 3 Luglio 2009 16:27
I corti di Wallace & Gromit al cinema erano arrivato persino in Italia, ma come “stranezza per cinefili” (e comunque dopo Toy Story). D’altro canto, erano distribuiti come un film indie, penso che abbiano incassato in totale quanto Coraline fa in una giornata media di programmazione.
Comment di Kumagoro • 3 Luglio 2009 16:30
Beh, Nightmare venne venduto come film di Tim Burton, e forse e’ stata questa la ragione del suo successo.
E, parlando di Selick, e’ stata solo una mia impressione (l’ho visto con gli occhialini), oppure Coraline ha un look “Pixar”, i.e., sembra un film in 3D?
Comment di paolo • 3 Luglio 2009 16:38
Appunto, la compilation del ’95 (vista a Torino) di cui parlavo era l’antologia “Wallace e Gromit e altre storie”
Comment di paolo • 3 Luglio 2009 16:41
Devo ancora vedere Coraline (rimedio in settimana, per fortuna sta reggendo, anche se scopro ora che è stato intitolato “Coraline e la porta magica”, e riconosco tristemente l’urgenza del distributore di stabilire chiaramente il suo posizionamento strategico richiamando Narnia). Però le critiche che sentivo fare ad Annecy erano proprio incentrate sulla non-pupazzosità dei pupazzi, giudicati troppo perfettini e luccicosi dai detrattori.
Comment di Kumagoro • 6 Luglio 2009 00:56
marta
Comment di Anonimo • 18 Agosto 2009 17:17
Pierluigi
Comment di kotekino • 18 Agosto 2009 18:07
Norberto
Comment di Botty • 18 Agosto 2009 19:13
Lasciate stare la mia amica Marta, manica di bulicci!
Comment di xx • 19 Agosto 2009 11:45
Gianfranco?
Comment di kotekino • 19 Agosto 2009 13:05
Osvaldo?
Comment di Botty • 19 Agosto 2009 15:33
Pierfilippo!
Comment di kotekino • 19 Agosto 2009 16:44
Gaspare!
Comment di Botty • 19 Agosto 2009 17:36
Guendalina…
Comment di kotekino • 19 Agosto 2009 18:15
Cordelia…
Comment di Botty • 19 Agosto 2009 21:47