Come ha fatto A.S. a, come dice lui, “dare la maturità al penultimo anno e ciononostante metterci sei anni a finire il liceo”?
Giovedì 8
Ieri sono andato al laghetto.
Il lago, in cui che è vicino al Lago delle Donne, si chiama Lago dei Gatti. Prima di andare via, io facevo delle dighe. Dicendo tutto insieme, ci siamo divertiti!
Venerdì 9
Ieri sono andato di nuovo al laghetto.
Eravamo in sei: Daniela, Manuela, io, Chiara, zio Mario, Fabrizio il belga. Quel laghetto era abbastanza profondo. Il punto più profondo era di circa 1 metro.
Io ho battuto tutti stando sott’acqua: 34 secondi!
Questa coppia di giornate passerà alla storia come “la trilogia del laghetto”, perché l’autore non si ricordava come si dice “trilogia” per due elementi.
Una breve introduzione sul concetto di laghetto: a Sassello non c’è né il lago né un fiume propriamente detto, ma piuttosto un torrentello dallo stronzoenciclopedico nome di Rio Sbruggia. Quando questo torrente incontra qualche slargo, l’acqua si placa e viene attribuito il pomposo nome di “lago”. Quando saremmo stati più grandi e forniti di mezzi motorizzati saremmo andati al mitico “Lago dei Gulli”, qualche chilometro più a valle, il più grande della zona, dove si poteva persino giocare a palla in acqua e c’era una specie di microspiaggetta. Probabilmente la cosa più interessante del lotto è la nomenclatura dei laghi: il Lago dei Gulli si chiama così perché evidentemente ci sono i gulli (pesci d’acqua dolce troppo spinosi per essere edibili), ma i gulli ci sono ovunque! Il Lago delle Donne credo che prenda il toponimo dal fatto che è molto basso, buono giusto per pucciarci i piedi o poco più. Quindi una delle due: o le donne sono sceme e non sanno nuotare quindi che vadano al Lago delle Donne dove non affogano o, più probabilmente, era il luogo dove venivano le donne a fare il bucato. Non mi spiego assolutamente, invece, il Lago dei Gatti. Aggiungo anche il lago più vicino a casa mia, il Lago del Mulino, raggiungibile in pochi minuti, che addirittura era talmente profondo da non toccare, e dove ovviamente non c’era alcun mulino. Purtroppo, appunto per questo, non ci si poteva andare quando di era babanotti. Mi stupisce, a questo proposito, che io non abbia citato il nome del lago del nove luglio. Se il lago non aveva un nome, lo si inventava, che diamine!
Si noti inoltre come mi era parso necessario, già a quei tempi, rimarcare il fatto che tra noi ci fosse un belga. Credo che se ci fosse stato un ragazzo di colore non avrei detto “Ahmed, il negro”, ma per Fabrizio mi era parso obbligatorio. Questo spiega molte cose.
Infine, 34 secondi. Il piccolo Maiorca del Rio Sbruggia, non dico altro.
Ma come, dirà il solo pubblico cacacazzi, avevi detto che parlavi di vincitori e vinti! Beh, ho mentito. Mi son reso conto che di buona parte dei vincitori non ho molto da dire, mentre invece c’è un sacco di altra roba che ho visto in giro su cui vorrei spendere qualche parola. Quindi, si fottano i bambini sudanesi, quest’anno si parla di quello che secondo me è interessante. Iniziamo, come i più astuti avranno capito, dai lungometraggi.
Giusto per contraddirmi, mi pare indispensabile dire qualche parola in più sul vero vincitore del premio, cioè Mary and Max di Adam Benjamin “Billy” Elliot. Elliot è noto soprattutto per il suo strapluripremiatissimo (e amatissimo dal sottoscritto) Harvie Krumpet, ma ci si chiedeva se sarebbe stato in grado di affrontare un formato differente come il lungometraggio. Beh, sì, anche se, come l’autore stesso ammette, Mary and Max non è altro che una versione estesa del suo cortometraggio più famoso. Stessa tecnica (la plastilina), stesso tono surreale, stesso intervento della voce narrante, stessa ambientazione (a metà, almeno) e, soprattutto, stessa attenzione per le persone con qualche sorta di disabilità che le rende degli outcast se non dei freak; e, naturalmente, stessa sensibilità nel toccare questi argomenti con poesia ma senza retorica. Il film parla della corrispondenza tra Mary, una bambina australiana con una famiglia un po’ difficile, e Max, un newyorkese di mezz’età che soffre della sindrome di Asperger, una forma di autismo. I loro scambi di lettere, tra alti e bassi della loro amicizia e scambi di cioccolato, seguono la crescita e la maturazione di Mary, e il lento sopravvivere di Max alla sua malattia, fino a un finale un po’ strappalacrime ma sicuramente sincero.
Un altro film in concorso su cui vale la pena spendere due parole è Jeh-bool-chal-shee e-ya-gee (sia ringraziato il Dio del Copia e Incolla!), meglio noto come The Story of Mr Sorry, opera coreana di In-keun Kwak, Il-hyun Kim, Ji-na Ryu, Eun-mi Lee e persino di Hae-young Lee. La cifra stilistica di questo assurdo poco-più-che-mediometraggio (63 minuti) è “Che schifo!”. E ora parliamo di cerume. Chi ha visto un po’ di cartoni animati giapponesi sa che in terra nipponica è considerato un atto dal vago sapore erotico farsi pulire le orecchie da una donna, perlomeno per la vicinanza fisica che questo comporta. In Corea si va oltre: secondo questo film esistono dei pulitori di orecchie professionisti a domicilio. Sinceramente non so se si tratta di un’invenzione filmica, ma a naso (anzi, “a orecchio”!) direi che si tratta di realtà. E’ ovvio che un lavoro del genere sia molto umiliante, e infatti l’omino protagonista della storia, il suddetto Mr. Sorry, è un piccoletto brutto, scemo e sgraziato che si fa mettere in piedi in testa da tutti e ha un ragno enorme come unico compagno di giochi (“Che schifo!”), e che ha come obiettivo di vita ritrovare la sorella scomparsa. Un giorno il suo capo gli dà da bere una pozione che lo rimpicciolisce tanto che può entrare nelle orecchie della gente e fare pulizia come nessun altro. E’ a questo punto che l’azione si fa metafisica: pulendo l’orecchio di un cliente, per caso sfonda una parete e si ritrova nel suo cervello, accedendo così al suo inconscio, cosa che poi farà con tutti i successivi clienti. Ed è a questo punto che l’azione si fa confusa, perché interagendo con un politico che aveva avuto a che fare con sua sorella, Mr. Sorry accede al suo cervello stesso. Ed è a questo punto che l’azione si fa morbosa, perché si scopre che il nostro bravo pulitore di orecchie ha sempre concupito la sorella, altro che bravo fratellino che la vuole ritrovare. Ed è a questo punto che l’azione si fa assurda, perché dopo questa scoperta il protagonista si trasforma in un ragno gigante (ehi, come in Coraline!). E (ora la finisco con questa gag) è a questo punto che l’azione si fa pessima, perché si ritorna a una cornice, probabilmente posticcia, introdotta all’inizio in cui in una specie di reality show si dedice se ammazzare o meno il ragno gigante. Sì, lo si ammazza. Che schifo.
Schifo di altro genere è un altro film in concorso, di cui ho visto solo metà: My Dog Tulip di Paul e Sandra Fierlinger. Come suggerisce il nome, parla di una cagnetta di nome Tulip. Per i primi minuti si assiste a un signore di mezz’età inglese che racconta il suo rapporto con Tulip. Ok, mi son detto, questa è l’introduzione, poi succederà qualcosa, che so, incontrerà una donna grazie al cane. E invece no. Il film è tutto dedicato al rapporto di questo signore con suo cane. Ne ho retto metà, poi mi sono arreso e sono andato a farmi un giro. Un po’ la cosa mi dispiace, perché mi sono perso dettagli morbosi e scientificamente accurati sulla riproduzione dei cani, cioè come lubrificare la vagina di una cagnetta o come masturbare un cane per favorire l’accoppiamento. Non si sa mai, potrebbe essere conoscenza utile.
Tra le opere fuori concorso merita una menzione, come ho già anticipato, Edison& Leo, di Neil Burns. Mettetevi comodi, vi narro i primi dieci minuti del film, con spoiler a profusione. Allora, c’è Edison, sì, l’inventore, che è mezzo cattivo, e ha una moglie e due figli, di cui quello buono è il protagonista e quello cattivo non lo è. Un giorno riceve a casa sua uno sceicco con una moglie e gli fa vederela sua collezione di memorabilia, tra cui un preziosissimo pugnale orientale che avrebbe ucciso una moglie infedele incidendole il labbro. Contestualmente Edison riceve dalla moglie dello sceicco, che è imburkata da testa a piedi, un invito a un appuntamento notturno. Quando però vi si reca, viene aggredito e al suo risveglio il pugnale è stato rubato, e c’è la donna dello sceicco a terra. A lui sorge un dubbio, le toglie il velo e…tah-dah! E’ sua moglie, avvelenata al labbro inferiore! Lui fa quel che bisogna fare, e con un coltello le taglia il labbro inferiore, per scongiurare la diffusione del veleno. Per guarirla definitivamente, a questo punto, parte in locomotiva e, ciuf! ciuf!, si dirige verso una mesteriosa tribù di donne indiane. Nel frattempo, lo sceicco si libera della sua donna (che era una prezzolata) buttandola giù dalla carrozza. Tale donna giura vendetta nei suoi confronti. Lo sceicco scompare e non si rivedrà mai più. Tornando a Edison, sua moglie viene guarita tramite un rito, ma a condizione che Edison non tocchi il libro sacro che sta nella stessa stanza del rito. Appena le indiane amazzoni voltano le spalle, ovviamente lui lo ruba e si porta via la moglie, lasciando il rito incompiuto e quindi lei catatonica. Non si capisce bene cosa contenga questo libro, probabilmente delle scoperte scientifiche. Non verrà mai detto perché le indiane lo possedevano, e comunque verrà dimenticato ben presto. L’azione si sposta ancora alla pseudo-moglie dello sceicco, che cammina cammina, arriva dalle indiane, si unisce a loro e poiché i loro nemici sono suoi nemici, d’ora in poi non vorrà altro che vendicarsi di Edison, dimenticandosi dello sceicco. Nel frattempo Edison ha messo su una specie di parafulmine in stile Frankenstein, succedono un po’ di casini e la moglie, risvegliatasi per l’occasione, fa da parafulmine, ma conducendo comunque verso il figlio buono. Ella muore, e il figlio buono diventa una centrale elettrica vivente e ammazza tutti quelli che tocca.E qui finiscono i primi 10′ del film e parte il resto… ma direi che ho reso l’idea. Assurdo, incoerente, davvero scemo: come per i fumetti Marvel, è più divertente farselo raccontare che fruirlo di persona.
Infine, merita una menzione Sunshine Barry & the Disco Worms di Thomas Borch Nielsen. Barry è un verme, e i vermi sono considerati i più sfigati nella società degli insetti. Fa l’impiegato e vorrebbe far carriera, ma un giorno per caso scopre la disco-music e da allora la sua vita cambierà nel tentativo di formare un complessino, anche se, come dicono tutti, “Worms can’t boogie!”. Appare evidente che si tratta della solita parabola di riscatto sociale attraverso la musica, già vista milioni di volte in tutte le salse (ivi compresa quella degli insetti!), ma in questo film c’è forse un tocco di sincerità in più rispetto ai soliti film americani, probabilmente dovuto a una caratterizzazione dei personaggi un po’ al di fuori degli schemi dei cartoon in stile Dreamworks. Merita la visione, senza dubbio, anche se la produzione non è abbastanza ricca da comprarsi i diritti delle canzoni dei Bee-Gees.
(Un grazie al mio entourage per la copertura dei buchi di trama che mi mancavano quando mi ero appisolato: Gianluca, Andrea, Paolo, Paolo e Marco)
Ogni anno, verso fine giugno, i telegiornali aprono sempre con le notizie su cosa sia uscito come tema alla maturità nella prima prova, e anche sugli autori usciti al classico come versione (“Cicerone! Tacito! Wow!”) e addirittura una traccia sulle prove matematiche dello scientifico (di solito esposte con palese ignoranza dell’argomento: “Parabole allo scientifico!”).
Cui prodest? A chi giova tutto ciò?
Fakt: delle prove scritte della maturità non frega niente a nessuno tranne che agli studenti coinvolti negli esami, che però sanno già in cosa consistono le prove.
In realtà ho il sospetto che qualcuno pensi che i temi della maturità possano essere una sorta di termometro culturale della nazione, e che possano quindi in qualche modo riflettere l’andamento sociale dell’Italia. Ovviamente questo non ha senso: se per una volta hanno parlato di qualcosa di vagamente nuovo come i Social Network, c’è pur sempre Svevo che è certamente un autore modernissimo, ma lo era anche due, dieci, cinquant’anni fa.
Sarebbe invece auspicabile che il Marchese dei Temi (sì, per scrivere le tracce devi essere un nobile con un titolo non inferiore al Marchesato) proponesse questa, per l’anno prossimo:
“Di recente, quando mi lavo i denti con lo spazzolino elettrico, mi sporco sempre di dentifricio il polso destro, cosa che non era mai successo in precedenza. Esponga il candidato le sue opinioni a proposito.”
(Scusate la latitanza, amici, ma prima o poi torno a scrivere regolarmente!)